Il documento unitario dedica grande spazio alle politiche industriali. Miceli, Cgil: "Il Paese è isolato in Europa, rischiamo di scivolare indietro"
Politiche industriali, investimenti pubblici e privati, pieno utilizzo delle risorse del Pnrr e dei fondi di coesione europei e nazionali. Alla “crescita sostenibile” del Paese serve tutto questo. Cgil, Cisl e Uil lo dicono chiaramente nel documento unitario con cui chiamano alla mobilitazione le lavoratrici e i lavoratori italiani.
Ma la crescita non basta. C’è da “governare in modo partecipato e condiviso” la grande sfida del presente: la transizione digitale, green ed energetica. Temi d’elezione del segretario confederale Cgil Emilio Miceli, per un approfondimento che rimette l’Italia pienamente dentro il contesto europeo e disegna il necessario nuovo modello di sviluppo.
Iniziamo dalle politiche industriali. A che punto siamo?
Se dovessimo fare un raffronto tra gli obiettivi di politica industriale che via via sono stati definiti dai governi e la realtà materiale in cui ci troviamo, credo si possa tragicamente dire che non abbiamo fatto passi avanti. I grandi punti di crisi sono rimasti tali. E i grandi filoni su cui concentrare gli investimenti, in ordine sia ai processi digitali sia a quelli legati al cambio energetico, sono ancora lì a manifestarci con chiarezza i ritardi di cui soffre il Paese.
Di quali ritardi stiamo parlando? Ad esempio?
Facciamo grandi discussioni sull’idrogeno, e su questo punto l’Italia marca un ritardo pesante. Lo stesso possiamo dire per la produzione di batterie. Tutti avvertono l’importanza di segnare una propria sovranità tecnologica e industriale: anche qui nessun passo avanti. Se poi stiamo al grande tema del passaggio al digitale, occorre dire che la vicenda Telecom, intorno cui ruota il cuore dello sviluppo delle reti del Paese, continua a non trovare risposta, anzi, a registrare drammaticamente un progressivo indebolimento. Possiamo dirla così: la differenza tra ciò che succede e ciò che s’immagina si possa fare, è talmente grande da farci nutrire grandi preoccupazioni.
Questi ritardi, però, potrebbero essere colmati dalle risorse del Pnrr. Non è così?
Il Piano, in realtà, già scontava una debolezza strutturale in tema di politiche industriali. Nel confronto europeo, notiamo che la Germania continua a indirizzare, sulla base dei propri interessi, gli obiettivi di politica industriale continentale in asse con la Francia. Un esempio? Il consorzio tra i due Paesi sulle batterie. E sempre in ambito europeo, a differenza di Germania e Francia che collaborano per sperimentare e mettere in campo iniziative industriali comuni, l’Italia è sempre più sola e isolata.
Dovrebbe essere compito del governo rompere questo isolamento…
Ecco, appunto. Alle difficoltà che potremmo definire strutturali del Paese, si aggiunge un esecutivo che si vanta di essere orgogliosamente isolato in Europa e che minaccia di bloccare il processo di sviluppo dell’Unione, scontando un ruolo progressivamente sempre più debole nel suo rapporto con le istituzioni continentali.
Anche in questo caso: un esempio di questa crescente debolezza?
Un caso emblematico è la trattativa su carburanti e sistema elettrico. La Germania ha perfino fatto adottare il metano sintetico, che i più non conoscono, mentre l’Italia non è riuscita a far entrare nelle decisioni europee i biocarburanti, conosciuti e di produzione italiana, che sono anche un possibile utile strumento per governare la transizione. Non abbiamo, quindi, né una politica dell’oggi legata a questa fase e a questa condizione storica della transizione, né un’idea compiuta di Paese che rivendichi a pieno titolo di essere tra i fondatori dell’Unione e seconda solo alla Germania per presenza industriale.
Veniamo al Pnrr: quale giudizio dare?
Abbiamo affrontato il Piano separando erroneamente la questione della transizione da quella dell’industria, mentre la transizione è il denominatore comune del futuro industriale. Questo è il vizio di fondo del Pnrr. Una parte importante del nostro sistema produttivo prima o poi si troverà di fronte a un bivio: o delocalizzare nelle aree del mondo a basso costo, seguendo il vecchio modello dell’economia fossile, o cambiare, facendo leva sugli investimenti necessari, con il tempo necessario a che questi investimenti possano decollare.
Un’alternativa che sembra preoccupare la Cgil.
A fronte del rischio di un’ulteriore polarizzazione dell’economia mondiale e di una nuova divisione internazionale del lavoro tra una parte del mondo - la più numerosa - che rimane collegata al sistema fossile, e l’altra - che semplicisticamente definirei più occidentale - che invece produce una forte riconversione attraverso le nuove tecnologie e le nuove risorse energetiche, e senza dimenticare la scarsa propensione agli investimenti che c’è in Italia, è legittima la preoccupazione di uno scivolamento all’indietro dell’industria di base del nostro Paese.
L’apprensione per un arretramento è più che ragionevole. In che condizione, dunque, è l’Italia?
Se la nostra ottica è quella della politica industriale, siamo senza dubbio in una condizione particolare. Noi siamo un Paese di trasformatori, ma non siamo né troppo grandi per sostenere grandi processi d'investimento, né troppo piccoli per poter utilizzare, come si è fatto in questi anni, la leva della svalorizzazione del lavoro per poter mantenere alta la nostra competitività. Siamo un Paese ‘intermedio’, che deve tenere assieme la capacità di cambiare il modello industriale e la valorizzazione del lavoro.
Cosa ostacola, dunque, l’avanzamento del Paese?
Dobbiamo tener conto dei nostri limiti: il forte indebitamento pubblico, la debolezza dei suoi asset finanziari, i bassi livelli demografici - non siamo un grande mercato -, la limitata presenza di grandi concentrazioni industriali. Di questi limiti dovremmo farci carico per una riflessione più attenta sia sul ruolo dello Stato e del sistema pubblico sia sulla capacità d’investimento del nostro sistema d'imprese. Su queste enormi questioni, invece, si procede con banalizzazioni e semplificazioni progressive.
Torniamo, in conclusione, al nostro punto d’inizio: la politica industriale. Cosa bisognerebbe fare?
Il nodo della politica industriale italiana sta qui: nell’assenza di ambizione a poter raggiungere gli obiettivi che gli altri Paesi stanno perseguendo. Questi sono temi che vivono o muoiono nella dimensione europea: se noi saremo capaci di batterci per un’integrazione strutturale delle istituzioni europee, in quella sede potremo trovare almeno il quadro di riferimento essenziale per fare un balzo in avanti.
Altrimenti?
Saremo costretti a gestire la vecchia ‘italietta’, che mi pare essere il sogno dell’onorevole Meloni: “italiani, razza bianca, le nostre imprese, i nostri interessi”… e nessuno sguardo attorno a noi. Un linguaggio che era già fuori contesto nella fase della prima globalizzazione e che continua ad animare il dibattito e i titoli dei giornali. In questo senso essere pessimisti è un dovere
Il 25 Aprile è la data del calendario civile in cui tutti i cittadini e le cittadine ricordano la Liberazione, e quindi, la Resistenza che ha cambiato la storia d’Italia con la sconfitta del nazifascismo. Con la Costituzione repubblicana e antifascista si sancì la conquista della democrazia e di libere Istituzioni.
Il 25 Aprile, che pose fine alla tragedia della guerra, fu preceduto da un ventennio di lotte antifasciste, durante il quale decine di migliaia di italiani furono perseguitati, arrestati, confinati, deportati e uccisi perché contrari al regime di Mussolini.
Ogni anno celebriamo questo giorno e rinnoviamo l’impegno in difesa di quei valori.
Quest’anno lanciamo un appello affinché il 25 Aprile sia caratterizzato da una straordinaria partecipazione unitaria di donne e uomini, giovani, famiglie, popolo.
Esprimiamo preoccupazione per dichiarazioni, decisioni e comportamenti di alcuni rappresentanti delle istituzioni e della politica che, in vari casi, sono apparse divisive e del tutto inadeguate rispetto al ruolo esercitato.
Si impone una netta condanna del fascismo, mentre si moltiplicano episodi di violenza e di apologia del fascismo stesso di cui si rendono protagonisti gruppi che si ispirano a quella ideologia e a quelle politiche, riaffermando in questo giorno che unisce tutti gli italiani il significato più profondo della Liberazione.
Aggiungiamo l’allarme per la grave situazione economica e sociale in cui versa l’intero Paese a causa degli effetti perversi di tante crisi che si sono sovrapposte e intrecciate, e la necessità e l’urgenza, a più di un anno dall’aggressione russa all’Ucraina, di spingere il governo italiano e l’Unione Europea a dare vita a una iniziativa diplomatica per aprire uno spiraglio di trattativa che crei le condizioni di una pace giusta e duratura.
Sosteniamo lo spirito e la lettera della Costituzione, di cui ricorre il 75° anniversario dell’entrata in vigore, che disegna una Repubblica parlamentare, antifascista, una e indivisibile, dando forma alle speranze e ai sogni di futuro di quanti combatterono e diedero la vita.
Per queste ragioni pensiamo che i valori dell’antifascismo e della Resistenza, incarnati nella Costituzione, non siano mai stati così attuali come oggi: è bene che libertà e liberazione, piena democrazia ed eguaglianza sociale, lavoro, pace, solidarietà orientino le Istituzioni della Repubblica e la vita quotidiana dei cittadini.
Per questi obiettivi e su questi valori fondativi chiamiamo cittadine e cittadini, affinché il 25 Aprile di quest’anno sia una grandissima festa unitaria, pacifica, antifascista e popolare a sostegno della democrazia e a difesa della Costituzione della Repubblica.
11 aprile 2023
Il Forum delle Associazioni antifasciste e della Resistenza:
ANPI – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
AICVAS – Associazione Italiani Combattenti Volontari Antifascisti in Spagna
ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati nei campi nazisti
ANEI – Associazione Nazionale Ex Internati
ANFIM – Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri
ANPC – Associazione Nazionale Partigiani Cristiani
ANPPIA – Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti
ANRP – Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia
FIAP – Federazione Italiana Associazioni Partigiane
FIVL – Federazione Italiana Volontari della Libertà
ADERISCONO ALL’APPELLO:
ACLI
Archivio Audiovisivo Movimento Operaio e Democratico
ARCI
Articolo 21
Associazione per il Rinnovamento della Sinistra
Associazione Nazionale Giuristi Democratici
Associazione Volere la Luna Odv
AUSER
CDC – Coordinamento Democrazia Costituzionale
CGIL
CISL
Comitati Democrazia Internazionale
Comitati Dossetti per la Costituzione
Coordinamento Antifascista Torino
Emergency
Femministorie
FNSI
Fondazione CVL
Futura Umanità
Gruppo Abele
IRIAD – Istituto Ricerche Internazionali Archivio Disarmo
Istituto “Alcide Cervi”
Legambiente
Libera
Ordine dei giornalisti del Lazio
Rete degli Studenti Medi
Rete #NOBAVAGLIO
RIPD – Rete Italiana Pace e Disarmo
Salviamo la Costituzione
UIL
UISP
Unione degli Universitari
USIGRAI
Dalle pagine di Repubblica, il segretario generale della Cgil mette in fila le scelte sbagliate dell'esecutivo su lavoro, fisco, Pnrr, Def, salari, 25 aprile. E rilancia le manifestazioni unitarie di maggio
"Il governo sta facendo scelte sbagliate sulle politiche per il lavoro e il fisco". Lo ha detto a La Repubblica Maurizio Landini, segretario generale della Cgil. "Prosegue senza un disegno, con interventi non strutturali. Ci fa arretrare sul Pnrr. Ha fatto un Def sbagliato che taglia la spesa pubblica. E procede solo a colpi di propaganda. I lavoratori sono stufi dei salari troppo bassi e di essere il bancomat per chi fa grandi profitti e non paga le tasse. Noi ci mobiliteremo. Lo faremo, assieme a Cisl e Uil, con tre manifestazioni interregionali il 6 maggio a Bologna, il 13 a Milano e il 20 a Napoli. E andremo avanti fino a quando non avremo risposte alle nostre richieste dal governo. Anche con lo sciopero se necessario".
"Vogliamo aumentare i salari - ha aggiunto Landini -. Chiediamo un taglio di 5 punti del cuneo fiscale. E il fiscal drag, l'adeguamento delle detrazioni all'inflazione, per garantire aumenti reali di salari troppo bassi. Chiediamo di superare la precarietà anziché procedere a colpi di voucher e liberalizzazione dei contratti a termine senza causale. Chiediamo una riforma fiscale che sani disuguaglianze ormai non più accettabili con il lavoro tassato al 40%, la rendita immobiliare al 21%, quella finanziaria fino al 20%, il reddito degli autonomi al 15%. Vogliamo una vera riforma delle pensioni. Chiediamo di non tagliare, come fa il governo nel Def, la sanità e la scuola pubblica. Il governo sta smantellando il servizio sanitario nazionale. Ci sono liste d'attesa di anni. E per accedere alle prestazioni sanitarie troppo spesso bisogna pagare il privato. Medici e infermieri sono allo stremo. Serve un piano
RIFORME. Schlein, Conte, Fratoianni e altri alla Casa delle Donne. Gelo del leader 5 stelle sul Pd: «Non mi fido»
Assemblea per una agenda sociale condivisa presso la casa internazionale delle donne, Roma 22 aprile 2023. ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Metti un pomeriggio a Trastevere, alla Casa delle donne, tutti i leader dell’opposizione a confrontarsi con la Rete dei numeri pari (network di centinaia di associazioni laiche e cattoliche) su una agenda sociale che mette al centro la lotta alle diseguaglianze. Ci sono Elly Schlein (in videocollegamento), Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Luigi De Magistris e Maurizio Acerbo di Rifondazione.
La Rete, per bocca del coordinatore Giuseppe De Marzo e del giurista Gaetano Azzariti chiede un «tavolo permanente» con le forze politiche, per «elaborare insieme un pensiero critico», che significa costruire un fronte fuori e dentro il Parlamento per fare argine alla destra e rimettere al centro della politica la Costituzione. Che vuol dire, innanzitutto, fare muro contro l’autonomia differenziata «che distruggerebbe lo stato sociale». E poi contro le politiche che generano precarietà e bassi salari, quelle sui migranti. E, in positivo, per il diritto all’abitare e la conversione ecologica. Barbara Tibaldi, della Fiom, ricorda come «il fascismo inizio a finire tra gli operai della Fiat con una serie di scioperi del 43 che nascevano da rivendicazioni salariali». E lancia il cuore oltre l’ostacolo: «Abbiamo liberato il paese una volta, possiamo farlo ancora».
Sulla natura della destra al governo ci sono pochi dubbi. «Quella di La Russa è propaganda fascista, non post fascista», dice Maura Cossutta. Anche Conte non si tira indietro. «C’è un progetto neoconservatore molto ambizioso, con venature reazionarie e autoritarie, che va contrastato in ogni modo. Questo governo è stato sottovalutato». Conte risponde sì all’appello sul tavolo permanente, e così fa anche la coordinatrice del Pd Marta Bonafoni, che segnala la novità avvenuta con
Viaggio tra Ramallah, Gerusalemme, Betlemme e Gaza, per raccontare le grandi contraddizioni di un territorio, di un'economia e di una società ormai a pezzi, e a un passo da una nuova sollevazione popolare
La Palestina è in frantumi. La Palestina ha troppi confini, troppe barriere, ha troppe voci. Attraversando la fitta rete di strade costruite per i soli coloni israeliani; costeggiando i muri e le recinzioni elettrificate; superando a fatica i posti di blocco, permanenti o momentanei che siano; osservando da lontano gli insediamenti; scrutando il grande Muro di separazione; viene da pensare che non esista una sola Palestina. Ne esistono molte. Quindi forse nessuna.
Una cosa è Gerusalemme Est, un'altra è Ramallah; una cosa sono i campi profughi disseminati lungo i territori occupati, un'altra i piccoli villaggi tra le montagne, un'altra ancora è Gaza. In ogni caso, ovunque dominano muri, recinzioni, blocchi, check-point. E per chiunque vivere qui è diventato un vero e proprio percorso a ostacoli.
Secondo diversi osservatori, però, lo spostamento a destra dell'asse nel governo israeliano, la tattica attendista di Hamas e la debolezza di Fatah rischiano di far precipitare gli eventi. In molti temono una nuova fiammata di violenze su scala più ampia, una nuova sollevazione popolare. Un'altra intifada, insomma. Le diverse anime della Palestina così, come spesso è già accaduto in passato, potrebbero ritrovarsi di nuovo accomunate. Ma solo dalla rabbia.
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Nei prossimi giorni sarà pubblicato come ogni anno l’Osservatorio regionale sull’Economia e il Lavoro realizzato da IRES Emilia-Romagna, uno strumento ormai diventato fondamentale per analizzare, sulla base dei dati disponibili, l’evoluzione della nostra regione da molteplici punti di vista: della demografia, del sistema economico, del mercato del lavoro, della società. Una particolare attenzione è stata data negli ultimi anni anche ai temi dell’ambiente e del territorio. Queste le anticipazioni in materia ambientale.
I dati sulla qualità dell’aria in regione per il 2022 suggeriscono una doppia lettura. Si conferma, infatti, il rispetto dei limiti di legge in materia di concentrazione di particolato PM10 e PM2,5: 27 microgrammi per il primo a fronte dei 40 da non superare e 16 microgrammi per il secondo a fronte dei 25 del limite di legge (fonte ARPAE).
Occorre però ricordare che quelle stabilite dalla legge sono soglie molto superiori a quelle indicate dall’OMS come limiti da non superare per evitare danni alla salute umana. È peggiorato inoltre nel 2021, come ricorda il rapporto Ecosistema Urbano di Legambiente 2022, il posizionamento dell’Emilia-Romagna tra le regioni d’Italia: Modena risulta tra i primi cinque capoluoghi più esposti e la Regione nel suo insieme torna a ricoprire i primi posti per la concentrazione di particolato PM10. Occorre sottolineare che non si tratta di un vero e proprio peggioramento, quanto piuttosto dell’esito del miglioramento degli altri territori italiani. Dove si è fatto di più prima, come in Emilia-Romagna, oggi i risultati sono meno rilevanti. Ovviamente questo deve essere uno stimolo a fare ancora meglio.
La grande attenzione dedicata alla riduzione del particolato, infine, non sembra avere riscontri se ci riferiamo ad altri inquinanti come l’anidride carbonica (CO2), causa dell’effetto serra e quindi concorrente al peggioramento della qualità dell’aria e del clima.
Il 2021 ha segnato nuovi record in materia di anomalie climatiche: le precipitazioni cumulate da gennaio a luglio sono state le più basse dal 1961. La scarsità delle piogge ha determinato la crisi idrica che ha coinvolto la Romagna e l’appennino bolognese, favorendo gravi sofferenze per le specie arboree. Ma alla siccità è anche dovuta la crisi idro potabile che si è avuta in settembre nei comuni dell’alta valle dell’Arda.
A soffrire di più il riscaldamento sono state le zone a ridosso della via Emilia e le zone, anche interne, delle province di Forlì-Cesena, Rimini e della montagna modenese. Anche la scarsità delle piogge coinvolge l’intera regione, dalla pianura alle zone montuose, dove l’anomalia delle precipitazioni è in larghissima parte negativa (vedi Fig. 1).
Le attività economiche più esposte al rischio siccità sono l’agricoltura, gli allevamenti intensivi e il settore del turismo invernale, i cui consumi idrici, oltre a rendere queste attività sempre meno economicamente sostenibili, rischiano di aggravare una situazione – quella della carenza d’acqua – già molto problematica.
Nonostante la Legge Regionale 24/2017 indichi come priorità la riduzione del consumo di suolo fino all’obiettivo del saldo zero da raggiungere entro il 2050, anno dopo anno il suolo consumato in regione aumenta.
Nel 2021 l’Emilia-Romagna ha perduto altri 661,2 Ha, accrescendo dello 0,33% il suolo consumato e portandolo all’8,9%. L’Emilia-Romagna è così la quarta Regione in Italia per incremento di suolo consumato nel 2021, dopo Abruzzo, Piemonte e Campania (vedi Tab. 1). Tutte le province emiliano-romagnole contribuiscono a questo incremento, a partire da Modena e Ravenna, che portano il suolo consumato a quota, rispettivamente, 11 e 10,2%. Più consumate di così sono solo Reggio nell’Emilia, con l’11%, e Rimini, con il 12,4%. Si consideri, inoltre, che Ravenna faceva registrare il primato di incremento del suolo consumato in regione già nel 2020, l’anno della pandemia.
Il consumo di suolo in Emilia-Romagna non risparmia le zone esposte a rischi idrogeologici anche diffusi. Le aree con pericolosità franosa e idraulica coperte, rispettivamente, per l’8% e 8,1% (Pericolosità idraulica 3 e Pericolosità franosa 2, 3 e 4), sono infatti superiori a quelle rilevate mediamente per l’Italia (6,3 e 7,2%). Il primato per il suolo coperto in aree ad elevata pericolosità idraulica spetta alle provincie di Rimini e Forlì-Cesena (24,9% e 12,7%). La provincia con il maggior consumo di suolo in aree a pericolosità franosa elevata o molto elevata è Modena, con il 4,3%.
Stando ai dati diffusi dall’Ispra, nel 2021, l’Emilia-Romagna incide per il 9,6% della produzione nazionale di rifiuti, la terza regione dopo la Lombardia (16,1%) e il Lazio (9,7%). Rispetto al numero degli abitanti il dato emiliano-romagnolo continua ad essere il più significativo: 640,7 Kg per abitante, a fronte dei 479,9 Kg in Lombardia e i 504,5 Kg del Lazio. La provincia di Reggio nell’Emilia detiene il record di produzione per abitante (763 Kg), seguita da Ravenna e Piacenza, con 735 e 720 Kg.
Pur facendo registrare il quinto valore più elevato in Italia di differenziazione dei rifiuti (72,3%), i dati sui quantitativi di rifiuti prodotti riducono il senso di quello che dovrebbe essere un buon risultato. Va da sé, infatti, che a fronte di quantitativi così elevati, le tonnellate di indifferenziato finiscono per essere maggiori di quelle prodotte in zone con minore cura nella raccolta.
Si registra inoltre molta disomogeneità in ambito regionale: si va dall’82% della provincia di Reggio Emilia al 67% della Città Metropolitana di Bologna, fino al 62,1% di Ravenna.
Questi dati ci confermano che le maggiori criticità nei sistemi di raccolta si verificano nelle aree ad elevata attrazione turistica, oltre che in quelle montuose più interne dove la stagionalità delle presenze e l’utilizzo delle abitazioni a fini diversi da quello abitativo si intreccia alla complessità morfologica dei territori.
“La grande mole di dati riportati nel rapporto di IRES si presta a diverse considerazioni – ha dichiarato Massimo Bussandri, segretario generale della Cgil dell’Emilia-Romagna -. È evidente che alcuni degli obiettivi e degli impegni contenuti nel Patto regionale per il Lavoro e per il Clima vengono confermati non solo nella loro importanza ma anche nella loro urgenza”.
“Qualità dell’aria, cambiamento climatico, consumo del suolo e produzione e smaltimento dei rifiuti sono tutte tematiche fortemente interconnesse tra di loro, che occorre affrontare avendo ben chiaro che non ci si può più limitare a tamponare i fenomeni e a “tirare a campare” – ha aggiunto -. Bisogna avere la capacità di guardare avanti, affrontando i problemi alla loro radice e facendo evolvere anche le attività produttive, senza traumi occupazionali, verso sistemi di produzione sempre meno impattanti e più sostenibili”.
“Sulla qualità dell’aria la Giunta regionale ha appena adottato un nuovo piano di interventi che prevedono uno stanziamento importante di risorse, ma è chiaro come a questo tema siano strettamente connesse anche altre grandi questioni come quelle della mobilità, non solo delle persone ma anche e forse soprattutto delle merci, e dei consumi energetici per la produzione e il riscaldamento. In tema di interventi volti a prevenire il dissesto idrogeologico, l’utilizzo delle risorse messe a disposizione dal PNRR, e in gran parte già acquisite, è un’occasione da non perdere per finanziare i molti interventi necessari su un territorio complesso com’è il nostro”, ha dichiarato.
“Occorrerà tornare a riflettere sul tema del consumo di suolo – ha proseguito -, perché il fatto che esso continui a crescere anche nella nostra regione rischia di vanificare alcuni degli obiettivi del Patto per il Lavoro e per il Clima e di ripercuotersi anche su altre criticità di carattere ambientale. In tal senso, la programmazione di nuove coperture dentro e fuori le nostre città non può essere affrontata con leggerezza. Grande attenzione dovrà essere dedicata anche al tema della produzione e della differenziazione dei rifiuti urbani: anche in questo caso le tendenze in atto, pur migliorative, rischiano di essere insufficienti al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Patto”.
“Infine – ha concluso – anche il tema del cambiamento climatico richiede interventi urgenti, non solo per impedire una sua ulteriore accelerazione, i cui effetti rischierebbero com’è noto di essere drammatici, ma anche per mettere in campo da subito politiche di adattamento, ad esempio in tema di risparmio delle risorse idriche, attraverso la riduzione degli sprechi produttivi nel suo utilizzo e anche della ancora troppo elevata dispersione della rete. Aspetto quest’ultimo sul quale il ruolo delle multiutility a maggioranza pubblica può essere fondamentale”