Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Emilia-Romagna prima per asserzioni e prescrizioni, 458 nel 2021. Legambiente: “tenere alta l’attenzione sul tema per non rischiare infiltrazioni mafiose nell’uso del PNRR” 

 

Presentato “IPOSSIA MONTANA” (2022), inchiesta finalista del Premio Morrione 2022 per il Giornalismo Investigativo, dedicata alle infiltrazioni mafiose nell’Appennino bolognese

 

 

IN ALLEGATO LA “RADIOGRAFIA” SULLE ECOMAFIE IN EMILIA-ROMAGNA

 

 

Ad una settimana dalla Giornata Contro tutte le Mafie, Legambiente Emilia-Romagna porta a Bologna la presentazione dei dati dello storico dossier dell’associazione, Ecomafia 2022. La serata, che si è tenuta presso lo Spazio Cultura di CUBO, è stata un momento di confronto sullo stato dell’arte del monitoraggio sugli ecoreati in regione, a 8 anni dall’entrata in vigore dalla Legge 68/2015.  

 

Dal quadro complessivo presentato da Enrico Fontana, Responsabile osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente, emerge l’efficacia dell’apparato di controllo ambientale in regione, dato l’alto numero di asseverazioni e prescrizioni registrate: 458 nel 2021, il dato regionale più alto in Italia. Un dato, però, che conferma il contributo della nostra regione agli illeciti ambientali: l’Emilia-Romagna, infatti, oltre alla posizione di rilievo per gli illeciti di ordine amministrativo, risulta collocata al dodicesimo posto nella classifica generale dell’illegalità ambientale in Italia, avendo "accumulato” dal 2017 al 2021 oltre cinquemila reati ambientali (esattamente 5.184), con 4.497 persone denunciate, 1.520 sequestri e cinque ordinanze di custodia cautelare, segnalate dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto.   

 

Tra i relatori della serata i protagonisti delle indagini sugli ecoreati. Hanno portato la propria esperienza il Tenente Colonnello Enrico Risottino, Comandante Gruppo Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica di Venezia, con competenza anche nella nostra regione; Morena Plazzi, Procuratore aggiunto della Procura di Bologna e coordinatrice del gruppo Ambiente; Maria Luisa Caliendi e Luca Boccuzzi, presidente e avvocato del CEAG – Centro di Azione Giuridica di Legambiente Emilia-Romagna. 

 

Particolare attenzione è stata dedicata durante la serata all’informazione e al ruolo del giornalismo investigativo nel sensibilizzare amministratori e cittadini su questi temi, grazie alla collaborazione con il Premio Roberto Morrione per il Giornalismo d’Inchiesta, rappresentato nella serata dalla portavoce Mara Filippi Morrione.  

 

Ha chiuso la serata, infatti, la visione dell’inchiesta “Ipossia Montana”, finalista della 22esima edizione del Premio Roberto Morrione, di Cecilia Fasciani, Andrea Giagnorio e Sofia Nardacchione. Al centro dell’inchiesta la permeabilità delle aree interne della nostra regione - nello specifico l’Appennino bolognese - ad infiltrazioni mafiose. La riflessione offerta dai due co-autori presenti, Giagnorio e Nardacchione, è che i territori di queste aree marginali non possono essere lasciati soli nella gestione dei fondi PNRR, ma che al contrario debbano essere supportati adeguatamente per evitare che i fondi finiscano nelle mani sbagliate.  

 

“I quasi 7 miliardi che stanno arrivando in Regione grazie ai fondi PNRR, di cui quasi il 10% destinati alle aree montane e interne, rischiano di essere un esca per attività illecite sui territori.” – commenta Legambiente Emilia-Romagna – “Come mostrato dall’inchiesta, le infiltrazioni mafiose sono una realtà con cui il nostro tessuto sociale deve fare i conti. In questo contesto, bisogna saper affiancare i piccoli comuni che saranno sicuramente in difficoltà nella gestione corretta dei fondi europei. Servono dunque competenze e sostegno affinché il pacchetto aiuti dall’Europa possa davvero risollevare le sorti delle aree interne e non viceversa consegnarle dell’illegalità ambientale.”  

 

--
Ufficio Stampa - Legambiente Emilia Romagna
 
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

L’illegalità ambientale in Emilia Romagna (2017-2021)

 

l’illegalita’ ambientale in emilia romagna dal 2017 al 2021

 

Reati

Persone Denunciate

Persone Arrestate

Sequestri

 

L’illegalità ambientale in Emilia Romagna dal 2017 al 2021

5.184

4.497

5

1.520


Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

 

L’ILLEGALITA’ AMBIENTALE IN EMILIA ROMAGNA DAL 2017 AL 2021

Provincia*

Reati

Persone denunciate

Persone Arrestate

Sequestri

Rimini

1.160

1.011

0

325

Ravenna

925

870

1

302

Forlì Cesena

580

519

1

153

Bologna

369

308

1

169

Modena

350

291

0

114

Reggio Emilia

347

348

0

115

Parma

301

277

1

126

Piacenza

260

158

0

71

Ferrara

174

124

0

24

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (2017/2021)

*esclusi i dati dei Carabinieri Tutela Ambiente e Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale

 

 

 

 

 

l’illegalita’ contro la fauna IN EMILIA ROMAGNA dal 2017 al 2021

 

Reati

Persone Denunciate

Persone Arrestate

Sequestri

 

L’illegalità contro la fauna in Emilia Romagna dal 2017 al 2021

1.734

1.383

0

616


Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

 

 

 

l’ILLEGALITÀ CONTRO LA FAUNA IN EMILIA ROMAGNA DAL 2017 AL 2021

Provincia

Reati

Persone

denunciate

Persone

Arrestate

Sequestri

Ravenna

570

574

0

219

Rimini

541

484

0

100

Forlì Cesena

190

132

0

95

Parma

97

44

0

37

Piacenza

91

12

0

13

Bologna

90

43

0

57

Reggio Emilia

79

59

0

42

Modena

56

26

0

43

Ferrara

19

9

0

10

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

 

 

 

 

l’illegalita’ nel ciclo dei rifiuti IN EMILIA ROMAGNA dal 2017 al 2021

 

Reati

Persone Denunciate

Persone Arrestate

Sequestri

 

L’illegalità nel ciclo dei rifiuti in Emilia Romagna dal 2017 al 2021

1.318

1.653

2

550


Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

 

 

L’ILLEGALITA’ NEL CICLO DEI RIFIUTI IN EMILIA ROMAGNA DAL 2017 AL 2021

Provincia*

Reati

Persone denunciate

Persone Arrestate

Sequestri

Rimini

171

180

0

77

Reggio Emilia

164

189

0

60

Forlì Cesena

158

166

0

50

Parma

118

154

0

72

Bologna

111

165

0

65

Ravenna

96

98

1

51

Modena

84

98

0

56

Piacenza

72

100

0

51

Ferrara

54

45

0

9

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

*esclusi i dati dei Carabinieri Tutela Ambiente

 

 

 

l’illegalita’ nel ciclo del cemento IN EMILIA ROMAGNA dal 2017 al 2021

 

Reati

Persone Denunciate

Persone Arrestate

Sequestri

 

L’illegalità nel ciclo del cemento in Emilia Romagna dal 2017 al 2021

1.093

895

2

200


Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

 

 

L’ILLEGALITA’ NEL CICLO DEL CEMENTO IN EMILIA ROMAGNA DAL 2017 AL 2021

Provincia*

Reati

Persone denunciate

Persone Arrestate

Sequestri

Rimini

243

219

0

96

Forlì Cesena

132

164

1

6

Ravenna

132

91

0

27

Modena

114

107

0

8

Bologna

81

58

1

39

Ferrara

65

57

0

5

Reggio Emilia

64

59

0

7

Parma

32

41

0

5

Piacenza

30

27

0

5

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

*esclusi i dati dei Carabinieri Tutela Ambiente

 

 

gli incendi dolosi - colposi – generici IN EMILIA ROMAGNA dal 2017 al 2021

 

Reati

Superfice boscata e non boscata

(ha - ettaro)

Persone

Denunciate

Persone

Arrestate

Sequestri

Emilia Romagna in Fumo dal 2017 al 2021

472

177,98

142

1

18

Fonte: Elaborazione Legambiente su dati del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari Carabinieri (CUFA) e dei Corpi forestali delle regioni a statuto speciale e su dati EFFIS (European Forest Fire Information System) (dal 2017 al 2021).

 

gli incendi dolosi - colposi – generici IN EMILIA ROMAGNA dal 2017 al 2021

Provincia

Reati

Persone

Denunciate

Persone

Arrestate

Sequestri

Forlì Cesena

84

34

0

1

Modena

72

22

0

4

Rimini

71

21

0

2

Bologna

65

20

0

0

Piacenza

57

6

0

0

Parma

46

16

1

8

Ravenna

31

15

0

3

Reggio Emilia

26

7

0

0

Ferrara

20

1

0

0

Fonte: Elaborazione Legambiente su dati del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari Carabinieri (CUFA) e dei Corpi forestali delle regioni a statuto speciale (dal 2017 al 2021).

 

 

 

 

L’ARTE RUBATA IN ITALIA DAL 2017 AL 2021

 

Furti d’opere d'arte

Denunce

Arresti

Sequestri effettuati in attività di tutela

Totale oggetti d'arte recuperati

L’Arte Rubata 2017/2021

3.110

7.318

152

2.209

1.628.047

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

 

 

 

 

la classifica dell’arte rubata dal 2017 al 2021

Regione

Furti opere d'arte

1

Lazio

462

2

Campania

445

3

Toscana

319

4

Lombardia

269

5

Emilia Romagna

244

6

Puglia

225

7

Sicilia

203

8

Sardegna

151

9

Veneto

148

10

Piemonte

132

11

Liguria

110

12

Marche

86

13

Umbria

73

14

Calabria

60

15

Abruzzo

57

16

Friuli Venezia Giulia

44

17

Molise

40

18

Trentino Alto Adige

25

19

Basilicata

11

20

Valle D'Aosta

6

Fonte: elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine e Capitanerie di porto (dal 2017 al 2021)

LETTERA APERTA . Intervenire per costruire la pace. Un appello alla responsabilità a tutte le forze della sinistra

Per una iniziativa diplomatica di pace dei progressisti 

Ci rivolgiamo, innanzitutto, al Pd, al M5S, a Verdi-Sinistra presenti in Parlamento affinché prendano una significativa iniziativa unitaria per la trattativa di pace. La guerra in Ucraina si fa sempre più tragica per la sua popolazione, per tutti i giovani militari, ucraini e russi, e minacciosa per la pace in Europa e nel mondo.

A un anno e più dal suo inizio con l’aggressione di Putin, la cui condanna riconfermiamo nettamente, la situazione è dominata da un’incessante escalation di armi e minacce perfino nucleari. L’Unione europea dal canto suo si è limitata, sul piano militare, a fornire armi all’Ucraina e a mettersi strategicamente nelle mani degli anglo-americani e della Nato la cui estensione scervellata nell’Est europeo negli anni passati ha favorito la ripresa del nazionalismo russo. La stessa cosa sta facendo il governo italiano di destra in nome di un oltranzismo atlantico sempre più divergente dagli interessi veri dell’Europa.

Come affermato dai promotori della marcia straordinaria per la pace Perugia-Assisi del 24 febbraio scorso “la politica deve riconoscere che è interesse degli ucraini, ma anche dei russi e nostro, che la guerra finisca al più presto e che si cominci a costruire la pace con ‘soluzioni concordate, giuste e stabili’”. Ma, per ora, sul piano diplomatico, nel novero delle proposte avanzate dalle grandi potenze c’è solo un piano cinese che si esplica in 12 punti di principio.

Tutti, nel campo ‘progressista’ della variegata sinistra − e non solo −, dicono che sulla guerra in Ucraina c’è bisogno di un’iniziativa diplomatica per la pace. Ma questa volontà conclamata non prende unitariamente corpo in Parlamento. Assistere all’ultima discussione parlamentare, conclusasi con una maggioranza di destra compatta anche nel voto concernente l’Ucraina, contrapposta a un campo progressista e pacifista diviso e frantumato, è stato penoso.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

I crimini di guerra vanno perseguiti tutti

Tanto più che in ogni mozione di Pd, M5s, Sinistra-Verdi si invitava il governo a sollecitare l’Europa a prendere un’iniziativa diplomatica volta alla trattativa e alla pace. Siamo consapevoli che sull’invio di armi all’Ucraina ci sono opinioni discordi, anche fra i ‘progressisti’, i quali, però, hanno più volte concordemente manifestato la volontà che l’Europa faccia sentire la sua voce, finora assente, per il compromesso, la trattativa e la pace.

Come sempre, specialmente a sinistra, occorre mettere l’accento sulle cose che uniscono e non su quelle che dividono. È necessario e urgente che i progressisti e i pacifisti italiani si facciano promotori in parlamento e nel paese di una posizione unitaria che concretizzi la conclamata e condivisibile esigenza pacifista di non lasciare solo la parola alle armi. Nel parlamento italiano e nell’europarlamento.

In tal senso il piano cinese va valutato e utilizzato seriamente nel suo complesso, a cominciare dal primo punto là dove si dice: “Rispettare la sovranità di tutti i paesi. Il diritto internazionale universalmente riconosciuto, compresi gli scopi e i princìpi della Carta delle Nazioni Unite, deve essere rigorosamente osservato”; al punto2: “Tutte le parti dovrebbero …. contribuire a creare un’architettura di sicurezza europea equilibrata, efficace e sostenibile”; e al punto 3: “Sostenere la Russia e l’Ucraina” per “riprendere il dialogo diretto il più rapidamente possibile” e per “raggiungere infine un cessate il fuoco globale.”

È ora che la variegata sinistra progressista passi dalle petizioni di principio sulla necessità dell’iniziativa diplomatica a posizioni e proposte concrete e unitarie. Nell’interesse della pace e della sicurezza degli ucraini, dei russi e di tutti gli europei.
—————————
Primi firmatari
Con Luciana Castellina e AldoTortorella, hanno firmato (in ordine alfabetico): Adriana Buffardi, Celeste Ingrao, Pasqualina Napoletano, Piero Bevilacqua, Carmelo Caravella, Eduardo Aldo Carra, Giulio De Petra, Sergio Gentili, Giorgio Mele, Sandro Morelli, Corrado Morgia, Aldo Pirone, Battista Sangineto, Enzo Scandurra, Vincenzo Vita

Il governo approva il decreto che prevede per il prossimo trimestre la conferma di alcune agevolazione per le famiglie e benefici per le aziende

 Foto: Frauke Riether da Pixabay 

Pochi articoli, decisi a tavolino, e spacciati come sconti generosi per tutti. A guardar bene, invece, il decreto varato ieri dal governo con una dotazione da 4,9 miliardi di euro, conferma alcune riduzioni nelle bollette, ma porterà aumenti per la maggioranza delle famiglie.

"Siamo assolutamente insoddisfatti – dichiara Michele Carrus, presidente di Federconsumatori -, perché avevamo chiesto al governo di prorogare anche per il prossimo trimestre tutti gli sgravi per gli utenti domestici, l’azzeramento degli oneri di sistema per energia elettrica e gas, e la riduzione dell’aliquota Iva, oltre che il potenziamento dei bonus sociali per i nuclei più deboli. Le nostre richieste sono rimaste inascoltate, l’esecutivo ha deciso tutto senza consultare le associazioni dei consumatori e con questo provvedimento di fatto avvantaggia le imprese a scapito delle famiglie”.   

Bonus sociali

Partiamo dalle buone notizie. Confermati per altri tre mesi, da aprile a giugno, i bonus sociali rafforzati per le famiglie in condizioni di disagio economico e fisico, così come formulati finora: compensazione totale delle bollette per i nuclei con Isee non superiore a 9.530 euro (o a 20 mila euro per le famiglie numerose cioè con almeno 4 figli a carico) o titolari di reddito o pensione di cittadinanza. Agevolazione ridotta all’80 per cento per quanti hanno un Isee compreso tra 9.530 e 15 mila euro.  Il valore dell’agevolazione sarà determinato dall’Arera, Autorità di regolazione per energia reti e ambiente. Confermato anche il taglio dell’Iva al 5 per cento per gli usi civili e industriali per il prossimo trimestre, che viene esteso al teleriscaldamento e all’energia termica prodotta con il metano. 

“Il governo però ha dimenticato due provvedimenti che reclamiamo da tempo – prosegue Carrus -. Una disciplina che dia uno stop ai distacchi per morosità incolpevole, necessaria in questo periodo di crisi, e una norma ad hoc per la rateizzazione delle bollette, che non peserebbe sulle finanze pubbliche ma si sosterrebbe attraverso il sistema bancario”.

Onesi sì, oneri no

Tornano nella bolletta elettrica gli oneri generali sistema, fino a oggi azzerati sia nelle fatture della luce che in quelle del gas per consentire alle famiglie di fare fonte agli aumenti di questi due anni.  Una voce che pesa per circa il 20-25 per cento: quindi, una fattura dell’energia che nel precedente bimestre era di 100 euro, nel prossimo sarà di 120 euro.

“Questo vuol dire che ogni famiglia pagherà almeno 300 euro in più da aprile a fine anno - dice Carrus -, sempre che consumi i famosi 2700 kW/h, fascia presa a riferimento ma che non rispecchia più la realtà. La nostra proposta era di proseguire con l’azzeramento degli oneri di sistema e usare questa fase transitoria per ragionare su una riforma complessiva della struttura della bolletta”.

Si tenga presente che alcune voci pensano per un terzo in più, altre per il 50 per cento rispetto al resto dell’Europa. Senza contare che gli utenti pagano l’Iva anche su imposte spesso frutto di retaggi storici, un vero paradosso che andrebbe risolto. Nella bolletta del gas rimane invece la sterilizzazione degli oneri di sistema fino a fine giugno, mentre si riduce il contributo che era stato introdotto a favore dei consumatori fino a 5000 metri cubi.

Più benefici alle imprese

Mentre si riducono gli aiuti alle famiglie, aumentano quelli per le imprese. Fino al 30 giugno lo schema dei crediti di imposta differenziati per tipologia diventa migliorativo: i benefici passano al 40 per cento per le aziende non energivore, per i quali l’aliquota era pari al 35 per cento nel primo trimestre, e rimane al 45 per cento per le industrie energivore, a patto che nel primo trimestre 2023 abbiano registrato un incremento del prezzo delle bollette di luce e gas superiore al 30 per cento rispetto al primo trimestre del 2019.

Alle famiglie viene comunque fatta una promessa nel decreto bollette: un bonus da definire, che partirà dal primo ottobre prossimo e riguarderà tutti i nuclei, eccetto quelli che godono del bonus sociale, se il prezzo del gas supererà una certa soglia. Il beneficio avrà una quota fissa e una differenziata a seconda della zona climatica in cui l’utente risiede.

Tremila euro in più

“Le famiglie hanno bisogno di misure di alleggerimento delle bollette, che pesano sulle nostre tasche non solo in maniera diretta ogni due mesi, ma perché gli aumenti si riverberano sui prezzi di tutti i beni di largo consumo – conclude il presidente di Federconsumatori -. Abbiamo calcolato che il maggiore aggravio dato dai rincari per ogni nucleo è pari a circa 3 mila euro annui, che corrispondono a due mensilità di stipendio medio e a tre mensilità per chi percepisce la pensione. Sei milioni di persone, tra cui tanti bambini, vivono in condizione di povertà energetica, non possono cucinare e raffreddare gli alimenti, far andare la lavatrice, riscaldare casa. Un problema enorme, che il governo non sta affrontando”

Il nuovo portavoce dell'Alleanza contro la povertà, Antonio Russo, riflette sui rischi di impoverimento nel Paese e sugli strumenti per fronteggiarli

 Foto: Ansa

Quel che è certo è che dal primo settembre oltre 600mila persone si ritroveranno senza reddito di cittadinanza. Qual che non si sa e che cosa succederà. Il Documento del governo su come ipotizzano di sostituire il Rdc lascia più incertezze che sicurezze. Serve una strategia multidimensionale e serve una infrastrutturazione sociale. Oltre che politiche attive del lavoro vere. A ragionare con noi Antonio Russo, neo portavoce dell’Alleanza contro la povertà

Sei stato appena eletto portavoce dell'Alleanza contro la povertà, un impegno importante e gravoso. Quale responsabilità ti senti sulle spalle?

Una responsabilità molto grande. La mia elezione arriva dopo dieci anni di impegno dell'Alleanza contro la povertà e do due soli dati per capire come è cambiato lo scenario e il grado di responsabilità. Quando l’Alleanza è nata i poveri assoluti erano 2.028.000, oggi sono sei milioni. Da allora è triplicata la povertà ed è aumentata la marginalità sociale. Certo, prima il Covid e ora la guerra nel cuore dell’Europa, hanno amplificato e aggravato una condizione del nostro Paese, quella di “produrre” fragilità. Da qui la necessità di interventi strutturali, oltre che urgenti. Non possiamo adattarci all’idea che la povertà sia un fattore strutturale. Per questo sentiamo, con le organizzazioni che compongono l’Alleanza, la responsabilità di un nuovo inizio.

Allora, insieme alla Grecia, eravamo gli unici in Europa a non avere una misura diretta di contrasto alla povertà. È grazie all’impegno delle organizzazioni della società organizzata, dei sindacati, se arrivammo al Rei. Da allora a oggi, sono cambiati governi e maggioranze e la misura è cambiata per ben cinque volte senza mai raggiungere un approdo definitivo. Insomma il Paese non riesce a dotarsi di un sistema di politiche strutturali che attraverso un disegno preciso possa assicurare nel tempo sostegno e accompagnamento al superamento della condizione di povertà. Certo, il Reddito di cittadinanza è perfettibile ma è innegabile che, insieme al reddito di emergenza, erogato nel periodo del Covid, ha impedito che un ulteriore milione di persone scivolassero in povertà. Sappiamo che il Rdc potrebbe essere sostituito da una nuova misura (la Mia). Ne discuteremo quando ci sarà un documento ufficiale del governo. Oggi possiamo semplicemente ripetere che la multidimensionalità delle forme di fragilità sociale abbisogna di politiche che si sviluppino universalmente in continuità e attraverso strumenti certi di contrasto.

Facciamo un passo indietro. Perché la società italiana impoverisce?
Il Paese si impoverisce per una serie di ragioni spesso correlate. In primis la mancanza di lavoro, di lavoro di qualità. Quindi, il lavoro povero, sottopagato, nero o grigio non fa altro che creare nuova povertàIl Reddito di cittadinanza, pur considerando le critiche che gli abbiamo mosso, prevedeva la possibilità che alcune forme di lavoro potessero essere coniugate con la misura stessa. Lo ripeto, c'è un problema di qualità del lavoro che necessita di essere creato quando non c’è e, regolamentato quando non è regolare. La seconda ragione dell’impoverimento del Paese è la crisi economica aggravatasi a seguito della pandemia e della guerra. Il sistema Paese ha bisogno di un nuovo impulso affinché si creino condizioni diffuse di sviluppo. Terza ragione, la mancanza di un sistema di infrastrutturazione sociale capace di svilupparsi diffusamente nel Paese e non a macchia di leopardo. Purtroppo oggi la povertà ha cambiato volto: non si è poveri solo perché non si ha lavoro, si è poveri anche perché non si fa parte di reti di protezione, soprattutto quelle territoriali, che consentano una presa in carico nei momenti di difficoltà della vita. Nell’Italia diseguale, dentro la quale convivono sistemi sociosanitari differenti tra regioni diverse, è ancora fortemente disatteso l’Articolo 3 della Costituzione. Dovremo impegnarci a realizzarlo integralmente visto che, mentre è relativamente facile cadere in povertà, è difficilissimo uscirne.

Il governo ha deciso di eliminare il Reddito di cittadinanza e di sostituirlo con un alto strumento di cui si sa abbastanza poco.
Come anticipavo prima, la scorsa settimana è circolato un documento che potrebbe indicare una direzione di riforma del Rdc. L’Allenza contro la Povertà esprimerà un giudizio compiuto solo a fronte di atti ufficiali. Se ciò che abbiamo letto risponda a una bozza di riforma, non del tutto è chiaro. Si parla di una misura di inclusione attiva che dividerebbe in due il bacino dei percettori di sostegno economico, da un lato i non occupabili e dall’altro i cosiddetti occupabili. Per accedere alla misura si ridurrebbe l’Isee. La platea dei potenziali percettori ne risulterebbe diminuita. Gli occupabili dovrebbero essere poco più di 680mila, di cui circa 440.000 con un titolo di studio inferiore alla terza media e senza esperienze di lavoro da oltre tre anni. Se questo fosse l’impianto della riforma, alcune domande vengono spontanee: come i potenziali occupabili faranno a trovare lavoro? Chi si farà carico in un processo di inclusione socio-lavorativa ? Insomma, dal 1° settembre gli occupabili non riceveranno più il Rdc, cosa succederà al momento non è chiaro. Per contribuire a fare chiarezza e per offrire un contributo fattivo dell’Alleanza, abbiamo chiesto un incontro al ministro del lavoro e delle politiche sociali. Siamo in attesa di essere convocati. Quello che noi pensiamo indispensabile è un intervento in due direzioni: da un lato un piano straordinario sulle politiche attive per il lavoro; dall’altro una strategia di presa in carico del territorio. Ovviamente sono indispensabile risorse adeguate nell’una e nell’altra direzione. Serviranno risorse, investimenti aggiuntivi rispetto a quelli stanziati nelle scorse annualità. Servirà altresì una visione complessiva di riforma che tenga conto di un sistema coordinato di politiche che aiuti chi vive una situazione di disagio sociale a uscire dall’isolamento e dalla povertà. Se l’obiettivo è la riduzione delle diseguaglianze, potrebbe essere un errore strategico affrontare questa nuova fase con l’assillo di risparmiare

Cristina Faciaben (Comisiones obreras) e Jesús Gallego (Ugt) commentano le misure che hanno rilanciato l'occupazione e rovesciato i mantra neoliberisti

Risultati immagini per immagini Cristina Faciaben (Comisiones obreras) e Jesús Gallego (Ugt)

GUARDA IL VIDEO

 

Il report di Legambiente sugli ostacoli che frenano lo sviluppo delle fonti pulite

 

Italia in forte ritardo nella realizzazione di nuovi impianti da rinnovabili

Sono 1364 quelli in lista d’attesa e ancora in fase di valutazione. In Emilia-Romagna 23 gli impianti in attesa di valutazione.

Legambiente Emilia-Romagna: "È il momento che l’intera classe dirigente dell’Emilia-Romagna prenda una posizione netta a sostegno della realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili sul nostro territorio"

A pesare la lentezza degli iter autorizzativi e le lungaggini burocratiche

 di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, i due principali colli di bottiglia dei processi autorizzativi. A Rimini ancora fermi 330mw di energia pulita del Parco Eolico Off-shore

Cartella stampa digital (mappa, tabelle, videointerviste, videoscheda)

In Italia lo sviluppo delle rinnovabili continua ad essere una corsa ad ostacoli. A pesare in prima battuta norme obsolete e frammentate, la lentezza degli iter autorizzativi, gli ostacoli e le lungaggini burocratiche di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali i due principali colli di bottiglia dei processi autorizzativi. Il risultato finale è che nella nostra Penisola l’effettiva realizzazione di nuovi impianti da fonti pulite resta timida e insoddisfacente, quasi un miraggio nel 2022. A parlar chiaro i numeri del nuovo report di Legambiente “Scacco matto alle rinnovabili 2023” presentato questa mattina alla Fiera K.EY di Rimini insieme ad un pacchetto di proposte e ad un’analisi su 4 legge nazionali e 13 leggi regionali che frenano la corsa delle fonti pulite.

Ad oggi nella Penisola sono 1364 gli impianti in lista d’attesa, ossia in fase di VIA, di verifica di Assoggettabilità a VIA, di valutazione preliminare e di Provvedimento Unico in Materia Ambientale a livello statale. Il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. A fronte di questo elevato numero di progetti in valutazione - e nonostante le semplificazioni avviate dall’ex Governo Draghi e l’istituzione e il potenziamento appena stabilito delle due Commissioni VIA-VAS che hanno il compito di rilasciare un parere sui grandi impianti strategici per il futuro energetico del Paese - sono pochissime le autorizzazioni rilasciate dalle Regioni negli ultimi 4 anni. Nel 2022 solo l’1% dei progetti di impianti fotovoltaici ha ricevuto, infatti, l’autorizzazione. Si tratta del dato più basso degli ultimi 4 anni se si pensa che nel 2019 a ricevere l’autorizzazione sono state il 41% delle istanze, per poi scendere progressivamente al 19% nel 2020, al 9% nel 2021. Ancor peggio i dati dell’eolico on-shore con una percentuale di autorizzazioni rilasciate nel 2019 del 6%, del 4% nel 2020, del 1% nel 2021 per arrivare allo 0% nel 2022. In questo quadro, l’Emilia-Romagna si classifica tra le regioni con meno eolico approvato nel 2022.  Dati nel complesso preoccupanti se si pensa che negli ultimi anni sono aumentati sia i progetti presentati sia le richieste di connessione alla rete elettrica nazionale di impianti di energia a fonti rinnovabili, quest’ultime sono passate da 168 GW al 31 dicembre 2021 ad oltre 303 GW al 31 gennaio 2023. Altro campanello d’allarme è rappresentato anche dalla lentezza delle installazioni, come emerge dagli ultimi dati Terna, appena 3.035 MW nel 2022 - e l’incapacità produttiva del parco complessivo di sopperire alla riduzione di produzione. Le fonti rinnovabili, fotovoltaico a parte, nel 2022 hanno fatto registrare, tutte, segno negativo. L’idroelettrico, complice l’emergenza siccità, registra un meno 37,7% a cui si aggiunge il calo del 13,1% in tema di produzione da pompaggi che portano il contributo delle rinnovabili, rispetto ai consumi complessivi, al 32%. Ovvero ai livelli del 2012.

In questa corsa ad ostacoli, oltre alla lentezza degli iter autorizzativi e all’eccessiva burocrazia di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, a pesare sono anche i no delle amministrazioni comunali e le opposizioni locali NIMBY (Not In My Backyard) e NIMTO (Not In My Terms of Office). Ostacoli che Legambiente racconta anche nella mappa aggiornata dei luoghi simbolo con storie, che arrivano dal Nord al Sud della Penisoladi progetti bloccati e norme regionali e locali che ostacolano le rinnovabili. Ventiquattro le nuove storie sintetizzate nella mappa, che si aggiungono alle 20 dello scorso anno. Tra i casi più emblematici ritroviamo il Parco Eolico Offshore di Rimini, con i suoi 330mw di energia rinnovabile ferma in fase di VIA. già segnalato nell’edizione precedente. Legambiente rilancia oggi le sue proposte per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e l’effettiva realizzazione degli impianti a partire dall’aggiornamento delle Linee Guida per l’autorizzazione dei nuovi impianti ferme al 2010 e un riordino delle normative per arrivare, attraverso un lavoro congiunto, tra il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero della Cultura, per arrivare ad un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato, dia tempi certi alle procedure. In questa partita rimane centrale il dibattito pubblico, uno strumento strategico sia per migliorare l’accettabilità sociale dei progetti sia per accelerare i processi autorizzativi ed evitare contenziosi inutili.

"È il momento che l’intera classe dirigente dell’Emilia-Romagna prenda una posizione netta a sostegno della realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili sul nostro territorio" - commenta Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna - "Alla luce degli ambiziosi impegni del Patto per il Lavoro e il Clima, che dovrebbero vedere il 100% di produzione di energia da fonti rinnovabili al 2035, e degli iter autorizzativi non sempre fluidi raccontati dal nostro dossier, continua a manifestarsi l’opposizione di esponenti politici di diversi partiti e Amministrazioni al rafforzamento del parco impianti regionale: questo sta avvenendo in tutti i territori, dalla montagna alla costa. È il momento invece di prendere coscienza di quanto sia urgente affrancarci dalle fonti di energia fossili e ridurre la nostra dipendenza dall’importazione di energia dall’estero.”

“Questo ritardo culturale è ancora più grave a fronte della rapidità con cui è stato approvato il progetto del nuovo rigassificatore di Ravenna, in soli 120 giorni, per decisione del Governo nazionale e con l’appoggio della Giunta regionale.  A questo punto occorre procedere celermente con la chiusura dell’iter autorizzativo del parco eolico offshore di Rimini e discutere costruttivamente del progetto proposto per Ravenna, due asset chiave per la transizione ecologica a livello regionale e nazionale, con 930MW di energia complessiva in attesa di approvazione."

“Le fonti rinnovabili, insieme a politiche serie e lungimiranti di efficienza energetica, rappresentano una chiave strategica non solo per decarbonizzare il settore energetico, priorità assoluta nella lotta alla crisi climatica, ma anche per portare benefici strutturali nei territori e alle famiglie e per creare opportunità di crescita ed innovazione in ogni settore. Se è vero che non esiste l’impianto perfetto - commenta Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente - è altrettanto vero che questi impianti possono essere integrati al meglio ed essere valore aggiunto per i cittadini e le cittadine che vivono quei territori. Per questo è fondamentale non depotenziare uno strumento prezioso come quello del dibattito pubblico, come rischia di fare il Governo Meloni con la nuova proposta del Codice degli Appalti. La partecipazione dei territori e il loro protagonismo sono parte essenziale della giusta transizione energetica”.

Controesempi da prendere come modello: Due le buone pratiche raccontare da Legambiente. Quella della Campania, dove prima del 2021 erano presenti 183 istanze di autorizzazione per impianti da fonti rinnovabili ferme, alcune addirittura dal 2006. La Regione è intervenuta sulla Legge Regionale n.37 del 2018 e grazie alla modifica apportata, è stato possibile riaprire una call per tutti i progetti che risultavano bloccati. In Calabria dal 16 maggio 2022 la Regione ha disposto che i procedimenti di Autorizzazione Unica degli impianti da fonte rinnovabile e le procedure connesse saranno molto più agevoli.

--

Ufficio Stampa - Legambiente Emilia Romagna

E-mail: ufficiostampa@Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Web: www.legambiente.emiliaromagna.it