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La Camera approva. Scacchetti: "Ulteriore riduzione dei diritti alla protezione e all'asilo"

 Foto: Tiziana Bagnato

Con l'approvazione di oggi alla Camera del decreto Cutro si è voluto, ancora una volta, trattare l’immigrazione come una mera questione di emergenza nazionale e di propaganda politica. Un decreto che rappresenta uno schiaffo in faccia al senso di umanità e a tutti i parenti dei 94 morti a Steccato di Cutro e a tutte le vittime dei numerosi naufragi di queste settimane nel Mar Mediterraneo. Una brutta pagina per l’Italia”. Lo afferma, in una nota, la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti.

“Il dispositivo - spiega la dirigente sindacale - ripristina di fatto gran parte dei decreti sicurezza del 2018, che cancellarono la protezione umanitaria, con l’azzeramento della protezione speciale, che peggiorarono le condizioni di soggiorno di chi arriva, riducendo l’accesso all’accoglienza dei Sai gestiti dai Comuni e finanziando la costruzione di nuovi Centri per i rimpatri. Strutture, queste ultime, spesso denunciate per il trattamento inumano dei migranti, e dove un migrante privo di status può essere rinchiuso per mesi, senza i diritti garantiti in un carcere comune”.

Per Scacchetti “non è tollerabile la violazione dei diritti fondamentali delle persone: la negazione dell’asilo e di un’adeguata protezione e accoglienza. Valuteremo le azioni possibili per ripristinare il pieno diritto alla protezione, così come continueremo a mobilitarci affinché sia garantito un diffuso sistema di accoglienza”.

“Infine, per quanto riguarda la gestione dei flussi, da tempo denunciamo l’attuale sistema, è insufficiente e inefficace. Va cancellata radicalmente la legge Bossi-Fini, permettendo: l’ingresso di stranieri alla ricerca di un lavoro, l’emersione degli stranieri già presenti irregolarmente nel Paese e adottando, nel caso di grandi afflussi migratori, la direttiva 55/2001 (già applicata giustamente per la popolazione Ucraina)”, conclude Scacchetti

Il calo dei prezzi all'ingrosso continua, ma sulla spesa degli utenti incide il taglio degli sconti, arrivato con il decreto Bollette di fine marzo.

 

 

Dopo 3 mesi di riduzioni la bolletta del gas torna a crescere. Per la famiglia tipo in tutela (con consumi medi di 1.400 metri cubi annui) ad aprile la spesa sale del 22,4% rispetto a marzo.

L’incremento, pur in presenza di un prezzo medio all’ingrosso in leggero calo nello scorso mese, è dovuto principalmente alla riduzione, prevista dal recente ‘decreto Bollette’ (DL 34/2023), della componente di sconto UG2, utilizzata nell’ultimo anno a beneficio dei consumatori per compensare gli aumenti.

“L’aumento sarà probabilmente percepito meno, perché arriva nel periodo dell’anno in cui i riscaldamenti sono ormai spenti e i consumi gas delle famiglie tendono al minimo – afferma Stefano Besseghini, presidente Arera – Dobbiamo tener ben presente che abbiamo imboccato la strada di un ritorno alla normalità, in cui il sistema energetico è chiamato all’equilibrio senza il ricorso a finanze dello Stato per fronteggiare la crisi”.

Come noto, la componente del prezzo del gas a copertura dei costi di approvvigionamento (CMEMm), applicata ai clienti ancora in tutela,viene aggiornata da Arera come media mensile del prezzo sul mercato all’ingrosso italiano (il PSV day ahead) e pubblicata entro i primi 2 giorni lavorativi del mese successivo a quello di riferimento.

Per il mese di aprile, che ha registrato una quotazione media all’ingrosso leggermente inferiore rispetto a quella del mese di marzo, il prezzo della sola materia prima gas (CMEMm), per i clienti con contratti in condizioni di tutela, è pari a 44,83 €/MWh.

L’aumento complessivo per l’utente tipo, per i consumi del mese di aprile rispetto al mese precedente, è quindi determinato da un leggero calo della spesa per la materia gas naturale, – 3,1%, da un calo della tariffa legata alla spesa per il trasporto e la misura, -4%, controbilanciato dall’aumento degli oneri generali per la parte legata all’UG2, +29,5%. Si determina così il +22,4% finale per la famiglia tipo, spiega l’Autorità per l’energia.

Anche a fronte dell’aumento complessivo della bolletta per il mese di aprile, in termini di effetti finali, la spesa gas per la famiglia tipo nell’anno scorrevole (maggio 2022-aprile 2023) è di 1.532,49 euro, registrando un -3,9% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente (maggio 2021- aprile 2022).

Si ricorda che il ‘decreto Bollette’ n. 34 del 2023, per il II trimestre 2023 ha previsto la riduzione dell’Iva al 5% per il gas e azzerato i restanti oneri generali di sistema. In considerazione della costante riduzione dei prezzi del gas all’ingrosso, le aliquote negative della componente tariffaria UG2, applicata agli scaglioni di consumo fino a 5.000 metri cubi all’anno, sono state invece confermate in misura ridotta, pari al 35% del valore applicato nel I trimestre 2023.

 

Emilia-Romagna tra le regioni più a rischio idrogeologico, 11,6% della superficie ad alto rischio. Eventi metereologici estremi in aumento: 18 solo nel 2022. 

 Legambiente: stop al consumo di suolo, rinaturazione dei corsi fluviali e uscita dalle fonti fossili, queste le azioni non più rimandabili per l’adattamento ai cambiamenti climatici 

Legambiente Emilia-Romagna APS | Bologna 

Piove sul bagnato in Emilia-Romagna: i danni causati dall’evento meteorologico estremo che si è verificato negli ultimi giorni, con picchi di pioggia oltre i 200mm in 24 ore, mostrano ancora una volta la vulnerabilità del nostro territorio agli effetti del cambiamento climatico. La Regione Emilia Romagna ha chiesto lo stato di emergenza nazionale, ma allo stesso tempo perde tempo sulle misure di adattamento alla crisi climatica, rischiando di precipitare in uno stato di allerta perenne.  

 

Il Rapporto sul dissesto idrogeologico 2021 di ISPRA mostra come l’Emilia-Romagna sia una delle regioni più a rischio alluvioni: seconda solo alla Calabria, la superficie ad alto rischio di pericolosità idraulica in regione è pari a 2599,6km2, pari all’11,6% della superficie totale; mentre ammontano rispettivamente al 45,6% e al 47,3% le aree esposte a rischio idraulico di media e bassa entità. Se diamo uno sguardo a livello provinciale, la situazione è ancora più grave: le province di Ferrara e Ravenna hanno una superfice esposta a rischio elevato rispettivamente del 23,9% e 22,2% della superficie provinciale, con Ferrara che raggiunge quasi il 100% della superficie provinciale a rischio idraulico medio. Questi rischi si ripercuotono sulla popolazione residente, con 86.639 di abitanti residente in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, di cui un 26,7% anziani.  

 

A questo quadro di vulnerabilità ed esposizione al rischio si va a sommare l’intensificarsi di fenomeni estremi sul territorio regionale: da quanto emerge dal nostro Osservatorio CittàClima, nel 2022 erano stati 18 gli eventi estremi che hanno colpito l’Emilia-Romagna, il numero più finora in un trend in costante crescita. Basti pensare che negli ultimi dieci anni si contano 38 allagamenti da piogge intense e 12 esondazioni fluviali.  

 

Ora più che mai, per fronteggiare la nuova normalità climatica che attanaglia di anno in anno la nostra regione, serve introdurre le seguenti misure: 

  • Consumo di suolo zero netto ad effetto immediato e mappatura delle zone per la desigillazione: il suolo è il più grande alleato nell’adattamento alla crisi climatica, grazie al suo effetto drenante delle piogge. L’Emilia-Romagna, terza regione in Italia per consumo di suolo, è nettamente in ritardo nel contrasto all’avanzata del cemento. Di fronte ai gravi ritardi nell’attuazione effettiva della legge 24/2017, i danni causati dall’alluvione sono l’ennesimo monito che non possiamo più impermeabilizzare terreno vergine. Su questo punto di vista, importante insistere su opere di desigillazione in contesto urbano per ridare respiro alle città laddove possibile. 
     
  • Rinaturazione dei corsi fluviali e creazione casse di espansione: le esondazioni degli scorsi giorni mostrano l’inefficacia delle opere rigide e dell’artificializzazione dei corsi d’acqua. Di fronte a precipitazioni sempre più intense, è fondamentale ridare spazio ai fiumi, ampliando gli spazi esondabili per favorire la laminazione naturale delle piene, evitando gli allagamenti in contesto urbano. 
     
  • Uscita dalle fonti fossili: oltre ai piani di adattamento è vitale puntare al 100% di energia rinnovabile, come previsto dallo stesso Piano per il Lavoro e il Clima della Regione, l’abbandono del trasporto su mezzo privato e l’efficientamento energetico delle abitazioni. Di fronte all’aggravarsi della crisi climatica è inaccettabile che la Regione si faccia promotrice di progetti come il Rigassificatore di Ravenna o il Passante di Nuova Generazione di Bologna. 
     

“I cittadini della nostra regione stanno pagando caro l’inazione della Regione Emilia-Romagna e del Governo rispetto all’adattamento alla crisi climatica” – commenta Legambiente Emilia-Romagna – “l’aggravarsi del rischio di anno in anno dev’essere un monito per non prendere la situazione sottogamba, ma agire tempestivamente nella prevenzione. In questo momento di grave crisi climatica, legata alla dipendenza dalle fonti fossili in primis, ogni anno che passa senza un piano di adattamento che introduca azioni strutturali e non emergenziali è una pedina persa nella scacchiera dell’incolumità del territorio Emilia-Romagnolo e dei suoi cittadini.” 

 

il 6 maggio In marcia a Ravenna per 3 no e un sì: no al Rigassificatore, no alle estrazioni di idrocarburi in Adriatico, no alle tecnologie fallimentari (CCS), sì alle rinnovabili, unica via percorribile e sensata  

cropped-logo-legambiente-grande.jpg – #legambienteterracina

 

Stiamo assistendo a un’operazione di pura conservazione di un modello di sviluppo sbagliato, economicamente e ambientalmente insostenibile, legato a doppio filo all’industria fossile, che fa impantanare lo sviluppo degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili e contemporaneamente sostiene la realizzazione di impianti, come i nuovi rigassificatori, dannosi per l’ambiente e per la transizione ecologica del sistema energetico. Questa operazione si sta realizzando in alcuni territori della penisola italiana e uno di questi è Ravenna: per questo il 6 maggio alle 14 Legambiente sarà proprio a Ravenna per manifestare il dissenso alla conservazione del modello economico fossile e il sostegno al processo di decarbonizzazione dell’economia italiana. 

 

Il territorio romagnolo è oggi il luogo in cui si contrappongono questi due modelli di sviluppo, secondo Legambiente: “Da una parte vediamo l’industria del fossile che cerca di sopravvivere ricorrendo all’installazione di nuovi impianti che confermano la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di materie a uso energetico, come il Gas Naturale Liquefatto (GNL) proveniente dall’estero, dall’altra parte il settore delle fonti rinnovabili, con i 600 MW del nuovo hub energetico eolico e fotovoltaico nel tratto di mare tra Ravenna e Bellaria e il parco eolico da 330 MW a Rimini. È evidente però la diversità di trattamento riservata a queste due tipologie progettuali: l’iter autorizzativo per il nuovo rigassificatore è stato ridotto a 120 giorni (senza contare la possibilità di installazione di un secondo impianto “gemello”), mentre i progetti rinnovabili stanno passando attraverso la classica procedura di valutazione d’impatto ambientale.” 

 

“Ora più che mai è necessario e urgente esprimere il nostro dissenso contro chi sta mettendo a rischio il futuro del nostro Paese e del pianeta, attraverso scelte che trovano un consenso pressoché unanime da parte dei decisori politici” – commenta Legambiente Emilia-Romagna – “Non è a rischio soltanto il clima del pianeta Terra, che già oggi sta cambiando mettendo in crisi i nostri territori, come dimostra la scarsità delle precipitazioni nevose dello scorso inverno e lo stato di emergenza già preventivato per la prossima estate. Puntare sulle fonti fossili, in questo momento, è una scelta che riduce la capacità dell’Italia di provvedere autonomamente al proprio fabbisogno energetico, aumentando al contempo la dipendenza dalle importazioni.”   

 

“Dall’insediamento del governo Meloni, abbiamo già visto ridurre il divieto di trivellazioni dalle 12 alle 9 miglia, nonostante la costante subsidenza delle coste adriatiche. A Ravenna assistiamo nel contempo al sostegno dell’Amministrazione comunale, guidata da Michele De Pascale, alla ripresa delle estrazioni contenuta nel decreto Aiuti ter, che ha demolito le previsioni del PITESAI (Piano della Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee). Dobbiamo ribadire per l’ennesima volta” - chiosa l’associazione - “che concedere nuovi permessi per la ricerca di idrocarburi, oltre ad entrare in conflitto con la protezione degli habitat marini e della stabilità delle coste, può essere soltanto un palliativo rispetto al fabbisogno energetico del Paese sul lungo termine. In più, il clima della Terra continua a modificarsi compromettendo la nostra qualità della vita.” 

 

“Inoltre, la città di Ravenna è stata, nel corso degli anni, il teatro in cui il settore Oil&Gas ha cercato di proporre una serie di progetti pilota, senza mai prendere in considerazione il totale decomissioning delle piattaforme abbandonate e un investimento nelle rinnovabili mature. Pensiamo ad esempio al progetto di ENI sullo sfruttamento dell’energia da moto ondoso, fino alla proposta di realizzazione di processi di cattura e stoccaggio di carbonio (Carbon Capture and Storage, CCS)” - ricorda Legambiente.  - “Quest’ultima, in realtà, è una tecnologia che nella stragrande maggioranza dei casi non è riuscita a ottenere un processo di sequestro di CO2 in modo energeticamente sostenibile e che è sempre stata invece legata a operazioni di estrazione di ulteriore gas dai pozzi in cui il carbonio è stato immesso, realizzando di fatto un circolo vizioso a sostegno dell’economia fossile.” 

 

“Saremo a Ravenna per mostrare che l’unica via possibile e percorribile è quella della transizione energetica e delle fonti rinnovabili, incarnate lungo le nostre coste dai progetti di Agnes ed Energia Wind2020, capaci complessivamente di coprire il fabbisogno energetico di 1,2 milioni di famiglie.” - conclude Legambiente. - “Quella dell’industria fossile è una falsa promessa e gli investimenti nel gas avranno un effetto boomerang sull’economia italiana, oltre a far aggravare la crisi climatica. Il ruolo dei movimenti ambientalisti, in questo momento storico, è quello di rappresentare il desiderio di un futuro sostenibile per le generazioni presenti e prossime, e di indicare chiaramente le responsabilità delle classi dirigenti incapaci di affrancarsi da questa dipendenza fossile e dalle pressioni dell’industria dell’Oil & Gas. Per questo, invitiamo tutti i cittadini ravennati e dell’Emilia-Romagna a essere presenti e a far sentire la propria voce questo sabato.”  

 

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Il segretario generale della Cgil a Potenza torna all'incontro di ieri a Palazzo Chigi: "Metodo sbagliato. Non c'è alcun confronto, così non si ascoltano lavoratori, pensionati e giovani"

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"Il metodo non può essere quello di essere chiamati la domenica sera per provvedimenti già decisi, così il confronto sindacale non esiste". Così il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, commentando l'incontro col governo in occasione del Primo Maggio. "Essere chiamati dopo quattro mesi senza confronto - aggiunge -. Un metodo di questa natura significa non riconoscere a lavoratori, pensionati e giovani il ruolo che il sindacato deve avere per far crescere e migliorare questo Paese".

"L'abbiamo detto in modo molto chiaro, bisogna cambiare il metodo che è sostanza. Nel merito, i cambiamenti sul cuneo contributivo vanno nella nostra direzione, è un primo risultato ma è un'una tantum, transitorio e non strutturale. Un aumento di 50-60 euro al mese che si aggiungono a quelli già ottenuti. Una misura importante, ma insufficiente a rispondere al problema del potere d'acquisto dei salari".

Nello stesso provvedimento, intanto "si allarga la precarietà: si ragiona sull'aumento dei voucher nel turismo, si liberalizzano i contratti a termine, si fa cassa tagliando sul reddito di cittadinanza. Tutto questo è sbagliato, significa non dare un futuro ai giovani. Intanto si vuole fare una riforma fiscale che va verso la flat tax, senza affrontare il problema di fondo

La vertenza Gkn ha un piano: sociale, ecologico e industriale.

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Un piano che, se realizzato, costituirebbe un precedente a favore di tutte e tutti. Di fatto avremmo scardinato, dal basso, sia un processo di delocalizzazione sia quello delle false reindustrializzazioni, sia la tattica dell’investitore fantasma che non arriva mai, sia quella dei tavoli istituzionali che spariscono nel nulla e riappaiono solo per essere inconcludenti.

Il tutto rivendicando una transizione ecologica reale e un modello di fabbrica socialmente integrata con il territorio e i suoi bisogni, sociali, associativi, mutualistici e culturali.

Proprio per questo, siamo certi, tutto verrà provato pur di impedire questo precedente. Siamo consapevoli della complessità di tale piano e della nostra fragilità: veniamo da 21 mesi di assemblea permanente e 7 mesi senza stipendio.

Se il futuro è incerto, il passato in parte è stato scritto. Noi non abbiamo inteso con questa lotta dettare modelli o insegnamenti. Abbiamo fatto semplicemente quello che era necessario per provare a vincere.

Tuttavia alcuni elementi ci sembrano oggi emergere. Il rafforzamento dello strumento sindacale classico con altre forme di sindacalismo partecipativo, come il Collettivo di Fabbrica, i delegati di raccordo, ci ha permesso di reggere le sfide dell’assemblea permanente.

Non reggi la ferocia e la complessità delle tattiche della controparte, sia essa la speculazione finanziaria, immobiliare o la massimizzazione del profitto a tutti i costi, se il luogo di lavoro non è un luogo di comunità con i propri strumenti di mutualismo solidale.

Per questo abbiamo creato, appellandoci all’articolo 11 dello Statuto dei Lavoratori, una Aps Società Operaia di Mutuo Soccorso. L’avremmo dovuto fare molti anni fa, in verità.

L’intervento pubblico è una variabile imprescindibile per contrastare precarietà e licenziamenti. Lo Stato avrebbe potuto chiudere in positivo la nostra partita in cinque minuti: legiferando contro le delocalizzazioni, decretando la sospensione dei licenziamenti, adottando una politica industriale di transizione ecologica reale dell’automotive, facendo intervenire Invitalia, ecc.

Non esiste oggi alcun processo di reindustrializzazione dove il grande capitale non invochi a larghe mani i soldi pubblici. Il punto è che quasi sempre li chiedono per prolungare l’agonia delle aziende, non per farle ripartire.

L’intervento pubblico positivo che oggi noi invochiamo non esiste nell’etere astratto. Si dovrebbe comporre di personale tecnico, di ricerca, di organi preposti alla politica industriale. Tutto questo, se mai è esistito come avremmo voluto, è stato smantellato. I legami che la classe riesce a creare con le competenze solidali, scientifiche, industriali e di ricerca, diventano per questo fondamentali.

Il recupero cooperativistico dell’azienda, in assenza di un intervento pubblico complessivo, diventa in verità l’intervento pubblico più avanzato nel contesto dato, e scardina completamente l’immobilismo sia del grande capitale sia della politica.

Anche questo l’avremmo dovuto fare prima. Una vertenza, qualsiasi vertenza oseremmo dire, non vince parlando di sé o a sé. In un paese dove la povertà assoluta è triplicata in quindici anni, in un mondo che corre verso la terza guerra mondiale, nel pieno del disastro climatico, in un mondo del lavoro dove il lavoro precario è stato introiettato, non vinci parlando di te o a te.

La convergenza della lotta sindacale, sociale, climatica, antifascista, contro il patriarcato, non è semplicemente un ideale. È l’unica tattica di lotta che ci è sembrata adeguata ai compiti.

In Francia gli spezzoni operai e ambientalisti cantano nei cortei contro la controriforma pensionistica: lotta climatica: “Retraites, climat, méme combat. Pas de retraitès, sur une planet brulèe” (Pensioni, clima, stessa lotta. Non puoi andare in pensione su un pianeta bruciato).

In questa vicenda purtroppo non dipende tutto da noi, ma da noi tutti. E la vittoria minima sarebbe non ripetere gli errori passati e lasciare almeno qualcosa da tramandare.

Noi ci auguriamo che questo qualcosa non siano quei 500 posti di lavoro bruciati dalla delocalizzazione. Se non vi riusciremo, almeno si lasci la consapevolezza di quello che è stato.

Tutti gli aggiornamenti sulla vertenza Gkn su www.insorgiamo.org  o sulle pagine social del Collettivo di Fabbrica (Fb e Instagram).

È in corso il reward crowdfunding per la prima capitalizzazione della cooperativa che chiederà di ripartire in regime di workers buy out.

Tutte le info sul nostro piano su: https://www.produzionidalbasso.com/project/gknfor-future/