ValSAT strumento già debole in partenza. Legambiente: "Strumento assolutamente utile per comprendere gli impatti dei processi di trasformazione del territorio; va rafforzata e non indebolita”
Serve chiarezza sulla delibera del 7 agosto: “Non è possibile emendare la legge urbanistica regionale senza un passaggio in assemblea legislativa"
Negli ultimi giorni si è accesa la discussione a livello regionale sulla delibera di Giunta approvata in data 7 agosto con la quale la Regione Emilia-Romagna si è espressa sul ruolo di ARPAE nell’ambito della procedura di ValSAT (Valutazione preventiva della Sostenibilità Ambientale e Territoriale) nei procedimenti di approvazione dei piani urbanistici comunali e delle loro varianti.
La ValSAT è stata introdotta dalla Regione Emilia-Romagna con la Legge Urbanistica del 2000, anticipando il legislatore europeo e nazionale, che ha introdotto la VAS (Valutazione Ambientale Strategica) sugli strumenti di pianificazione solo nel 2006.
All’interno della successiva Legge Urbanistica LR 24/2017 è stato rafforzato il richiamo alla sostenibilità ambientale e alla ValSAT. Il processo di approvazione dei Piani comprende anche un parere dell’ARPAE, l’esito del quale può venire accettato o meno: in caso negativo, la scelta deve essere giustificata da marcate motivazioni.
La delibera del 7 agosto scorso, che risulta poco chiara, sembra ridurre il ruolo di ARPAE e ridurne la possibilità di intervento indipendente sulle ValSAT.
“La valutazione ambientale e territoriale prevista per i piani urbanistici costituisce uno strumento assolutamente utile per comprendere gli impatti dei processi di trasformazione del territorio. Nonostante ciò, si tratta di uno strumento che finora è stato quasi sempre considerato una parte trascurabile dei piani”, commenta Legambiente Emilia-Romagna. “La scelta della Giunta regionale di indebolire – se non addirittura rendere facoltativa - l’espressione del parere di ARPAE, inerente la dimensione degli impatti ambientali, appare sostanzialmente incomprensibile: occorrerebbe al contrario rafforzare lo strumento della ValSAT, rendendolo realmente efficace nell’orientare la valutazione dei decisori politici.”
Uno strumento che già allo stato attuale è tutt’altro che incisivo nella riduzione degli impatti ambientali della pianificazione del territorio: “è difficile, infatti, trovare una ValSAT che dia un giudizio negativo sui piani urbanistici proposti dai Comuni, giudizio che viene espresso in tale contesto dalla Provincia di riferimento, autorità competente per il rilascio del parere di ValSAT. La difficoltà nell’esprimere pareri negativi sui piani urbanistici comunali è d’altra parte inevitabile se si considera che tale parere viene dato da un ente pubblico, la Provincia appunto, che è espressione degli stessi sindaci del territorio.”
“Riteniamo sia necessario un chiarimento sui contenuti della delibera del 7 agosto, anche rispetto alla legittimità della decisione che pare indebolire i contenuti della legge 24/2017: dal testo della delibera non viene contemplata l’approvazione della stessa da parte dell’Assemblea Legislativa, che sarebbe necessaria se la delibera prevede una modifica della LR 27/2017. In questo contesto sarebbe utile anche una seria valutazione sull’efficacia della ValSAT e sul suo utilizzo.”
Maurizio Landini spiega sul Corriere della sera il percorso di mobilitazione della Cgil fino, se necessario, allo sciopero generale
La premier Meloni non ha risposto alla lettera del 28 agosto: “È grave che il governo continui a non volersi confrontare seriamente col sindacato”. Così Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, nell’intervista pubblicata questa mattina (4 settembre) apparsa sul Corriere della Sera a firma Enrico Marro e in cui annuncia un percorso di mobilitazione che, se necessario, arriverà allo sciopero generale.
L’obiettivo dell’azione del sindacato, e delle sue richieste, è chiaro, spiega Landini: “Vogliamo risolvere i problemi. E per farlo bisogna cambiare le politiche del governo. Aumentare i salari e le pensioni, contrastare la precarietà, non allargare voucher e contratti a termine. Cancellare il sistema degli appalti e subappalti, invece di modificare il codice e introdurre i subappalti a cascata come ha fatto il governo”.
Occorre anche “cancellare i contratti pirata con una legge sulla rappresentanza. Introdurre il salario minimo per legge e investire su sanità e istruzione. Il governo anziché tassare le rendite e tutti gli extraprofitti usa dipendenti e pensionati come bancomat. Infatti, vorrebbe tagliare l'indicizzazione delle pensioni”.
Il primo appuntamento di questa mobilitazione è fissato per il 7 ottobre, con la manifestazione “La via maestra. Insieme per la Costituzione”, “perché ormai metà delle persone non va più a votare, pensiamo che i valori fondamentali della Costituzione debbano essere applicati e non messi in discussione”.
Ma non solo: parte infatti una consultazione con la quale la Cgil chiederà ai lavoratori “di votare sulle nostre proposte e di impegnarsi a sostenerle con la mobilitazione, fino allo sciopero generale, se necessario”. E ancora: “Aspetteremo la Nota di aggiornamento del Def e faremo le nostre valutazioni. Se le nostre proposte non verranno accolte nella legge di Bilancio, scenderemo di nuovo in piazza”.
Quanto alla solita obiezione che le risorse disponibili sono poche, il leader delle Cgil replica a Marro che “si trovano andandole a prendere dove stanno, con la lotta all'evasione e la tassazione delle rendite. Il contrario di quanto sta facendo il governo”.
Prima ancora, il 12 settembre, la Cgil organizzerà a Bologna una grande assemblea sulla contrattazione, “per mettere a punto una linea precisa. Insieme alla contrattazione serve una legislazione di sostegno, dalla rappresentanza alla validità erga omnes dei contratti, al salario minimo, escludendo da incentivi e sgravi le imprese che non rinnovano i contratti, reintroducendo l'indennità di vacanza contrattuale. In ogni caso, per noi non è più accettabile che ci siano contratti a 5-6 euro”, spiega Landini.
Infine un passaggio sulla tragedia di Brandizzo: “Quello che è successo dimostra che il sistema delle manutenzioni va cambiato, non solo nei trasporti ma in tutte le attività”. Invece, il governo procede in maniera totalmente diversa: “Ha liberalizzato il subappalto a cascata e quando abbiamo scioperato anche per rivendicare più investimenti in sicurezza, il ministro Salvini non ha trovato di meglio che pensare alla precettazione”
Un incremento di fatturato del 34% in un anno. Il sindacato: "Sia la base per lo sviluppo della contrattazione"
Quattro grandi player assicurativi di livello internazionale - Generali e Unipol dalle radici italiane, Allianz ed Axa con importanti realtà nel nostro Paese - hanno registrato nel primo semestre dell'anno un utile complessivo pari a 11,3 miliardi di euro, in crescita del 34% sullo stesso periodo dello scorso anno. A rilevarlo è un report su di un campione di quattro grandi compagnie assicurative europee dell'Ufficio Studi e Ricerche della Fisac Cgil.
"Un quadro positivo per il settore, sia in termini di resilienza che di forte redditività, in un contesto macroeconomico estremamente complesso - osserva la segretaria generale della categoria, Susy Esposito - Dati che dovranno essere la base per lo sviluppo della contrattazione, ora e in avanti, a tutti i suoi livelli, nazionale, aziendale e di gruppo. Con questi risultati è ora di fare passi in avanti sul fronte della contrattazione, ampliandola all'intera filiera assicurativa, iniziando dal rinnovo dei contratti Anapa e Anagina".
Al risultato complessivo del campione hanno contribuito soprattutto i rami danni che registrano complessivamente nel semestre di quest'anno un utile operativo tecnico di 8,9 miliardi di euro, con un incremento del 33% sullo stesso periodo dello scorso anno, mentre i rami vita hanno presentato un utile operativo tecnico di 6,7 miliardi, con una crescita più contenuta, pari al 7%, dovuta alle minusvalenze sui titoli obbligazionari, causate dal rialzo dei tassi di interesse, sviluppatosi nel corso del 2022 e ancora in corso, oltre ai correlati riscatti di polizze vita.
La causa del New York Times a OpenAI per violazione del copyright riporta all'attenzione le contraddizioni dell'AI. Quella meno esplorata è l'impatto energetico e l'impronta ambientale che la tecnologia comporta
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La possibile causa intentata dal New York Times a OpenAI per la violazione del copyright da parte di ChatGPT ha riportato all’attenzione le contraddizioni dell’utilizzo di meccanismi di intelligenza artificiale. Tra queste quello meno esplorato è l’impatto energetico e l’impronta ambientale che l’utilizzo di queste tecnologie comporta.
Quali sono gli elementi da considerare per valutare questi parametri? Di certo l’energia utilizzata per far funzionare il sistema, strettamente connessa alla potenza dell’hardware e poi la quantità di energia utilizzata per “educare” l’algoritmo e quella per alimentare i data center.
Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa (AI), quella che è alla base di chatbot come ChatGPT, ossia strumenti in grado di produrre testi o, nelle versioni più evolute, persino opere d’arte, video o musica originali a partire da un testo, necessita di una grande potenza di calcolo. Bisogna tenere conto che la cosiddetta IA generativa utilizza delle architetture che sono basate su reti neurali (modelli matematici composti da neuroni artificiali che si comportano come il cervello umano), dunque prevede milioni di parametri che devono essere addestrati.
Ed è proprio nella fase di addestramento che il consumo di energia è massimo. All’algoritmo devono essere forniti milioni di esempi perché possa imparare e l’utilizzo di grandi numeri di Gpu (unità di elaborazione grafica) richiede un consumo energetico rilevante.Tutto questo rende l’impatto energetico molto forte.
Del resto è noto che l’industria ITC, già negli anni scorsi, ha generato emissioni di carbonio pari a quelle del sistema di aviazione. E tutti sappiamo che l’utilizzo di acqua per raffreddare i data center (secondo uno studio di Nature Google ha utilizzato 15,8 miliardi di litri nel 2021e Microsoft ha dichiarato l’utilizzo di 3,6 miliardi di litri) così come la necessità di metalli rari per costruire i componenti di hardware rendono le nuove tecnologie ad alto impatto ambientale.
Secondo alcune ricerche pare che i data center cinesi siano alimentati per il 73% da elettricità generata dal carbone, il che rende evidente che anche la fonte energetica ha un peso sostanziale sull’impronta ecologica complessiva della tecnologia digitale. L’università del Colorado Riverside e dell'università del Texas di Arlington hanno poi calcolato che l’addestramento di ChatGPT-3 ha consumato 700.000 litri di acqua dolce solo per il raffreddamento del data center. Per avere una idea almeno approssimativa dell’impatto che ciascuno di noi può comportare utilizzando nuove tecnologie è bene sapere che, da quanto si calcola, scambiando solo 20 messaggi con ChatGPT, si consuma mezzo litro di acqua.
Se pensiamo che l’intelligenza artificiale è diventata gradualmente più integrata nelle nostre attività (pensiamo ad Alexa o Siri o alla navigazione con Google Maps, alla domotica e all’internet delle cose) e sempre più lo sarà e che un sempre maggior numero di aziende utilizza sistemi di intelligenza artificiale, poter misurare l’impatto ambientale di questi meccanismi diventa fondamentale.
Nessuno mette in discussione i vantaggi che le applicazioni di IA possono portare. Sappiamo ad esempio che l’applicazione di meccanismi di IA nel settore petrolifero e del gas è utile per monitorare e migliorare la sicurezza ma anche per aumentare le prestazioni operative e per fornire modelli predittivi. Di sicuro l’uso dell’IA potrebbe migliorare significativamente la gestione delle catene di approvvigionamento.
La trasformazione della rete elettrica in smart grid, distribuite uniformemente a tutti i livelli della filiera elettrica, con i sistemi di IA che permettono di ottimizzare anche i consumi finali degli utenti addestrando la rete e permettendole di interagire con il sistema di produzione in un continuo interscambio di dati, sarà un passo avanti determinante per ottimizzare produzione, distribuzione e consumo di energia
Allo stesso modo la gestione con meccanismi di IA degli impianti di distribuzione dell’acqua per ridurre le perdite e prevenire le rotture è elemento di grande importanza anche dal punto di vista ambientale.
Ma la tecnologia è di per sè stessa fonte di contraddizioni per cui il rischio che si corre è che l’uso dell’IA, come abbiamo detto, sia di sicuro estremamente positivo ma che non si valuti correttamente il fabbisogno energetico di queste tecnologie e la loro impronta ecologica.
Ad oggi non esistono studi completi ed esaustivi sull’impatto ambientale e il consumo energetico dell’IA, in larga parte per la scarsa trasparenza delle aziende nell’indicare i processi e la complessità dei modelli utilizzati, in modo da poter effettuare una valutazione corretta.
Secondo uno studio di Sasha Luccioni (https://arstechnica.com/gadgets/2023/04/generative-ai-is-cool-but-lets-not-forget-its-human-and-environmental-costs/) la complessità di un LLM (un algoritmo deep learning in grado di riconoscere contenuti, di generarli, tradurli e anche prevederli) è determinata dai parametri, cioè dalle connessioni che gli consentono di imparare.
Più sono i parametri maggiore è l’efficacia. Ma quanti sono i parametri utilizzati, ad esempio, per ChatGPT ultima versione? La non trasparenza dei dati impedisce una corretta valutazione. Dunque, mentre in Europa si legifera con l’IA Act, regolamentando l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, sarebbe parimenti opportuno, anche ai fini della contrattazione dei nuovi modelli produttivi, che se ne valutasse la sostenibilità ambientale imponendo trasparenza a produttori e utilizzatori, in modo da consentire scelte ragionate e applicazioni che, pur efficientando filiere e consumi, non comportino un saldo finale negativo.
Cinzia Maiolini è segretaria nazionale Filctem Cgil
La conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile scrisse quasi trent’anni fa Alex Langer. La citazione di un intervento del grande teorico e attivista ecologista è stata fatta ieri dal portavoce di Sbilanciamoci Giulio Marcon in apertura del tredicesimo forum dell’Altra Cernobbio-La strada maestra che continua oggi a Como. Mentre al forum Ambrosetti a Villa d’Este a Cernobbio si fantasticava su scenari distopici legati alla denatalità e all’intelligenza artificiale, tipici delle mitologie capitaliste sull’apocalisse e sull’automazione digitale totale, l’apertura del contro-vertice ha invece assunto il desiderio, e il conflitto che esso comporta, come il terreno dove può nascere una politica basata sulla partecipazione.
Il nome dato a questa suggestione, già da qualche mese, è: “Alleanza clima lavoro”. Promossa dalle 51 associazioni che compongono Sbilanciamoci!, Fiom e Cgil Piemonte, Kyoto club, Transport&Environment Italia, Motus-E, Wwf e Greenpeace ieri l’iniziativa è stata riproposta alla luce dei problemi, e delle contraddizioni, imposte dalla situazione italiana. L’approccio non poteva non essere più lontano da quello emerso dal Forum Ambrosetti, senz’altro più distante dei dieci chilometri che dividono Cernobbio da Como, città dove il contro-vertice è stato organizzato dopo il divieto di tutte le manifestazioni – anche quella di stamattina promossa da Usb – imposto dal Comune di Cernobbio e dal Questore di Como per non disturbare la pace fittizia e terrificante in cui si baloccano banchieri e imprenditori.
Dagli interventi di Giovanni Mininni (Flai Cgil) e Michele De Palma (Fiom Cgil), di Stefano Malorgio (Filt Cgil) e Giorgio Airaudo (Cgil Piemonte), come in quelli di Pino Onufrio (Geenpeace), Enrico Giovannini (Asvis) o Mariagrazia Midulla (Wwf) è emersa la drammatica consapevolezza per cui la “transizione” tanto evocata dall’alto, e spoliticizzata nel Pnrr, è un conflitto in cui i lavoratori dell’automotive o nell’agricoltura, come i cittadini che chiedono sicurezza sociale e mobilità pubblica garantita, rischiano di farne le spese. L’esigenza di una transizione democratica è l’asse sul quale è costruito il percorso – chiamato «la strada maestra» ispirata alla Costituzione – che porterà alla manifestazione a Roma del 7 ottobre indetta dalla Cgil e da molte associazioni. Di questa alleanza parlerà l’assemblea dei delegati Fiom convocata a piazza del Popolo il prossimo 22 settembre.
Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte commenta la strage di Brandizzo: oltre all'azione della magistratura serve andare oltre la logica del massimo ribasso per il massimo profitto
Quando si verificano incidenti come quelli della stazione di Brandizzo esistono colpe individuali, certo, ma anche responsabilità dell’azienda. Per garantire sicurezza dei lavoratori, ma anche di passeggeri e cittadini, occorre abbandonare la logica del massimo profitto e del massimo ribasso, ridurre l’utilizzo degli appalti e modificare l’organizzazione del lavoro. Ne parliamo con Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte.
È appena arrivata la notizia che la Procura di Ivrea ha riscontrato “gravi violazioni nella procedura sulla sicurezza” tanto che i lavoratori non avrebbero dovuto trovarsi sul posto dove sono stati investiti. Questo è quello che emerge dai primi accertamenti sull'incidente dell'altra notte. Per questo la Procura sta valutando l'ipotesi di dolo eventuale per i reati di disastro ferroviario e omicidio plurimo. Insomma, possiamo proprio dire che questa strage si poteva e si doveva evitare...
Sì, assolutamente. È chiaro fin dall'inizio che questa strage si poteva e si doveva evitare. Al tempo del digitale, alla vigilia dell'intelligenza artificiale, non esiste che un treno passi dove dei lavoratori operano. Però io ci tengo a dire che, al di là delle responsabilità penali che individuerà la magistratura, c'è una responsabilità che non può non essere attribuita a chi organizza i processi produttivi, in questo caso il processo della manutenzione della rete ferroviaria. E questa responsabilità non può non essere attribuita all'impresa Rfi: c'è qualcosa che non ha funzionato nel processo produttivo della manutenzione e c'è qualcosa che non ha funzionato nelle garanzie di sicurezza e nei rapporti con le imprese di subappalto.
E, peraltro, per come è stata la modalità dell'incidente, in realtà poteva finire anche peggio
Ma sì, penso che sappiamo tutti che i rischi potevano andare ben oltre. Se quel treno fosse deragliato, avrebbe travolte delle abitazioni, visto che quel tratto di linea passa in mezzo alle case. Potevano esserci conseguenze molto più gravi, come purtroppo è avvenuto in altri casi. Quindi io penso che ci sia qualcosa che vada cambiato nei modi in cui è organizzato quel processo produttivo e organizzativo. Così come andrebbe cambiato il rapporto coi lavoratori e le lavoratrici del subappalto che ovviamente, perché è questa la logica dei subappalti, sono costretti a lavorare di corsa. Spesso vengono da percorsi di precarietà, di solito vengono retribuiti con salari più bassi della media o di chi opera nelle manutenzioni dirette. Siamo ormai arrivati al limite. La logica è sempre quella del massimo ribasso per garantire il massimo profitto e alla fine restano i lavoratori con la loro vita e con i loro corpi, e quando si arriva alla vita, ai corpi, si rischia di perderla.
Fermiamoci un momento su questo punto. È vero che questi cinque lavoratori erano dipendenti di una ditta altra da Rfi, ma è Rfi che fa i capitolati d'appalto e sia i costi che le procedure sono nei capitolati d'appalto.
Sì, così come nei capitolati d’appalto ci sono anche i meccanismi di controllo e di verifica. Questa strage non è una fatalità, ha delle responsabilità che, al di là di quelle penali, non possono che essere nel modo in cui l'azienda si organizza, costruisce questi capitolati, individua le imprese e anche in come le imprese trattano i lavoratori. Se l’azienda appaltatrice deve eseguire un lavoro in due o tre ore perché gli hanno tagliato i tempi, altrimenti paga delle penali, ad esempio, cosa che succede non solo in quel comparto, è ovvio che si invitano i lavoratori a correre. Questo modo di procedere deve cambiare a tutela dei cittadini, dei passeggeri e a garanzia dei lavoratori che operano, che siano edili o dipendenti di Rfi. Trovo sia una grave leggerezza del ministro Salvini parlare di errore umano. Quasi che si voglia attribuire la colpa a chi è vittima, ai lavoratori che sono caduti su quella massicciata, non aspettandosi che un treno li investisse. Come non penso possa bastare dal punto di vista sindacale, che la magistratura individui la responsabilità penale di singoli o di alcuni ingranaggi nel sistema di organizzazione della manutenzione di Rfi. Penso che ci sia una responsabilità dell'azienda, dell'impresa committente, che deve dare un segnale di cambiamento.
Proprio il ministro dei Trasporti a luglio ha fatto saltare uno sciopero dei lavoratori delle ferrovie, guarda caso uno sciopero indetto per chiedere maggiore sicurezza.
Ci auguriamo che Salvini conosca il pentimento, visto che si dichiara credente. Quella precettazione si dimostra essere stato un gesto ostile a un'esigenza di sicurezza che è palese. Ci sono quasi 1.800 cantieri in subappalto, i subappalti sono stressati sui tempi di lavoro, sul rischio delle penali e le procedure di sicurezza non sono così solide. Credo che Salvini abbia impedito ai lavoratori di aprire una vertenza sulla propria sicurezza, in qualche modo si è frapposto alla tutela della salute di quei lavoratori e, indirettamente, della nostra comunità.
Oggi esistono una serie di tecnologie, ne facevi riferimento anche tu, che consentirebbero una maggiore sicurezza. È accettabile che queste tecnologie, dai sensori ai visori, Rfi le abbia posizionate solo sulla linea ad alta velocità e non sulle altre linee?
C'è chiaramente una scelta: sostenere la sicurezza sulle linee più redditizie, lasciando le altre indietro rispetto a questo processo di innovazione. È una scelta di politica aziendale che, al di là della programmazione dei tempi che uno si può dare, è assai discutibile. Peraltro, nei piani industriali di Rfi è capitato di leggere che loro stessi riconoscono che il 40% delle linee sono obsolete, ma nello stesso tempo dicono che deve passare più trasporto merci proprio su quelle linee. E allora mi chiedo: se si riducono i tempi di intervento delle imprese di subappalto, e contemporaneamente si ha la consapevolezza dell’obsolescenza della rete, sembra che la mano destra non sappia cosa fa la mano sinistra. E a pagare l’assenza di coerenza sono i lavoratori. Oggi è toccato agli edili in appalto, se il treno fosse deragliato sarebbe toccato ai macchinisti, e forse agli abitanti delle case limitrofe ai binari. La magistratura accerterà le responsabilità individuali, dimostrerà dove le procedure non hanno funzionato. Quel che è chiaro che questo sistema non funziona perché l'eccesso di precarietà e di subappalti determina una competizione al ribasso.
Lunedì prossimo 8 ore di sciopero a Vercelli...
La scelta dello sciopero a Vercelli è una scelta di responsabilità verso una comunità che ha avuto morti che non dovevano esserci. La maggioranza erano infatti residenti in quella provincia, e lì ha la sede l'impresa subappaltatrice. E quindi le 8 ore di sciopero unitario saranno accompagnate da una marcia silenziosa che in queste ore vede una sensibilità che sta andando oltre la nostra Regione – ricevo telefonate da pensionati della Lombardia, dalle strutture dell'Emilia Romagna – che si sta allargando a tutto il Piemonte. Così ci sarà lo sciopero unitario di 8 ore di tutti i lavoratori dell'edilizia e quello dei trasporti promosso da Cgil e Uil. Dobbiamo provare a fermare questa carneficina, non so definirla in altro modo. Dobbiamo chiedere più ispettori, più ispezioni. Voglio ricordare che abbiamo indicato 25 aziende piemontesi da ispezionare e in alcune di queste si sono verificati incidenti proprio mentre vi erano gli ispettori, a dimostrazione di quanto avessimo ragione a denunciare violazioni e insufficienze rispetto alla sicurezza. Abbiamo bisogno che ci sia un'azione preventiva fatta anche di ispezioni e di aumento di ispettori, fatta di una sensibilità alla sicurezza che non può durare solo finché vive l’emotività, che non può finire con l'individuazione degli errori umani, che non può concludersi solo col lavoro della magistratura, ma che deve determinare cambiamento nell'organizzazione del lavoro, nelle condizioni di lavoro, nei contratti di lavoro. Cioè c'è bisogno di una riscossa del lavoro e di un ritorno alla sicurezza