L'assemblea generale Cgil si esprime sul conflitto israelo-palestinese e ricorda i doveri degli organi internazionali contro la violazione dei diritti umani
La guerra israelo-palestinese al centro di un ordine del giorno dell’Assemblea generale della Cgil, che ha espresso forte preoccupazione per gli accadimenti che si susseguono dal 7 ottobre e ha lanciato iniziative territoriali per la pace. In coerenza con la storia del sindacato e come già fatto con la recente guerra in Ucraina e in altre regioni del mondo, arriva la condanna con forza di ogni forma di terrorismo e di violenza contro la popolazione civile.
Davanti all’elevato numero di morti e di feriti su entrambi i fronti e al rapimento di civili israeliani da parte di Hamas la Cgil sottolinea come “questa guerra si sta consumando, ancora una volta, sul corpo delle donne. Si tratta di un vero e proprio crimine che non ha nulla a che vedere con la causa palestinese, ma si aggiunge alla storia del terrorismo internazionale. Siamo di fronte a un'escalation di violenza e di rischio di espansione del conflitto armato all’intera regione dove la popolazione civile, le democrazie e la costruzione di convivenza pacifica sono le vere vittime”.
Il sindacato ricorda il dovere di tutti di attenersi al rispetto del diritto umanitario internazionale: “Non si può imporre, come sta facendo il governo israeliano un assedio totale sottoponendo la popolazione palestinese della striscia di Gaza a bombardamenti continui, togliendo luce, acqua, cure sanitarie e cibo a oltre due milioni di persone. Se non si riesce a fermare questa ondata, non vi saranno frontiere e barriere al terrorismo e alla guerra”.
Quindi la richiesta ai governi nazionali, all’Unione europea e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di “mettere in campo tutte le risorse necessarie per fermare le operazioni militari, per la liberazione degli ostaggi e per l’assistenza umanitaria alla popolazione civile, evitando un altro esodo e nuovi profughi che si andranno ad aggiungere a quelli che da 75 anni vivono nei campi profughi della regione. Oggi l’unica bandiera che dobbiamo portare è la bandiera della pace”.
La Cgil esprime la necessità che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite convochi una conferenza internazionale di pace per riconoscere lo Stato di Palestina come membro pieno dell’Assemblea delle Nazioni Unite, con confini certi, con piena sovranità e responsabilità, sulla base di quanto accordato tra le parti con gli Accordi di Oslo e riconosciuto dalle Risoluzioni delle Nazioni Unite che dall’inizio del conflitto hanno impostato il quadro legale nella soluzione dei ‘due stati per i due popoli’ con Gerusalemme capitale condivisa.
“Questa è la strada della pace, della convivenza tra i due popoli, della pacificazione del Medio Oriente – si legge nell’ordine del giorno -. Non è più possibile lasciare una popolazione senza patria e uno stato che continua a espandere i propri insediamenti illegali, mentre crescono odio, violenza e terrore. Rinnoviamo il nostro impegno a costruire il dialogo e il rispetto reciproco tra israeliani e palestinesi, soprattutto in questo difficile e doloroso momento, per dimostrare che la pace e la convivenza è ancora possibile ed è l’unica strada per la sicurezza comune”.
“Su queste basi e con questi contenuti – conclude - l’Assemblea generale nazionale della Cgil dà mandato a tutte le strutture dell’organizzazione di costruire e promuovere iniziative sui territori, innanzitutto insieme ai soggetti con cui la Cgil ha sottoscritto il manifesto ‘Israele-Palestina: Fermiamo la violenza, riprendiamo per mano la pace’
Il leader della Cgil ha inviato una lettera ai segretari di Cisl e Uil: "Vediamoci con celerità per definire il percorso e le modalità della protesta"
Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, al termine dell’Assemblea generale che si è svolta oggi a Roma, ha inviato una lettera ai segretari generali di Uil e Cisl, Pierpaolo Bombardieri e Luigi Sbarra.
“Nell’ambito dell’Assemblea - scrive Landini - abbiamo avuto modo di discutere la proposta che la Uil ci ha sottoposto nella giornata di ieri. L'Assemblea generale della Cgil ha condiviso il giudizio sulla fase e la necessità di avviare un percorso di mobilitazione unitaria con manifestazioni e scioperi, per quanto ci riguarda fino allo sciopero generale”.
“Pertanto - conclude il leader - siamo disponibili a incontrarci con celerità nei prossimi giorni per definire percorso e modalità della mobilitazione”.
La premier ha affermato che mai come quest'anno ci sono tanti soldi per la sanità: non è vero. Mancano all'appello 5-6 miliardi, altro che aumento
Quando ci saranno tabelle e numeri si scoprirà il dettaglio della manovra di bilancio presentata lunedì 16 ottobre. Ma valutare quanto conosciuto è certamente possibile. A cominciare da uno dei capitoli più menzionato, quello della sanità.
Giorgia Meloni, rispondendo implicitamente alle richieste della Cgil e di quanti lo scorso 26 giugno da Piazza del Popolo e poi il 7 ottobre da quella San Giovanni che difendeva la Via Maestra, ha affermato che mai nella storia recente tante risorse sono state destinate alla sanità. Non è vero. A dirlo non è soltanto la Confederazione di Corso d'Italia.
I numeri, si sa, difficilmente mentono ma occorre essere onesti e chiari nel rappresentarli. Carlo Cottarelli, si sa, a far di conto è bravo visto che è il suo mestiere, ed è bravo anche ad analizzare la spesa pubblica. Ebbene è lui ad affermare: “Con l’inflazione che abbiamo avuto, – scrive su Repubblica - chiunque capisce che citare la cifra in miliardi per valutare l’adeguatezza dei finanziamenti alla sanità è sbagliato. Con i 136 del 2024 non si comprano le cose che si compravano nel 2019 con 116 miliardi”.
Cosa è stato annunciato in manovra
Tre miliardi sono quelli che la legge di bilancio dovrebbe destinare alla sanità, in più rispetto allo scorso anno. Di questi 2,3 dovrebbero essere destinati agli aumenti già previsti per il personale in forza al servizio sanitario nazionale. Tutto il resto, così ha annunciato la presidente del Consiglio, dovrà servire per abbattere le liste di attesa. Come? Anche rivolgendosi ai privati. Ciò significa che le scarsissime risorse pubbliche per la salute di cittadini e cittadine andranno a finanziare la sanità privata. Dice Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil: “Al di là della propaganda governativa, parla da sola la scelta di finanziare ulteriormente il privato per abbattere le liste di attesa, così come non ci pare di vedere ravvedimenti rispetto alla scelta di portare nel 2026 al 6,1 la percentuale di spesa sanitaria in rapporto al Pil, vero indicatore di una prospettiva di ulteriore ridimensionamento del servizio sanitario nazionale”.
Dove sono le risorse per i farmaci? E quelle per l’aggiornamento e il finanziamento del Livelli essenziali di assistenza? O le risorse per dare gambe a quanto previsto dal Pnrr, dalle case e ospedali di comunità all’integrazione socio-sanitaria, dall’assistenza domiciliare integrale alla presa in carico della non autosufficienza? E quelle per la salute mentale e i consultori? Nulla.
Commenta dunque Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil: “Stando al comunicato della presidenza del Consiglio dei ministri, per il 2024 si prevedono 136 miliardi di euro, ovvero, le stesse risorse che il Def prevedeva per l’anno in corso. Tradotto non c’è traccia dei necessari cinque miliardi aggiuntivi rispetto a quanto già programmato. Se la legge di bilancio dovesse confermare i contenuti della conferenza stampa ci troveremmo di fronte a risorse assolutamente inadeguate per la sanità pubblica, come rimarcato ripetutamente anche dalle Regioni, molte delle quali hanno chiuso gli ultimi bilanci solo grazie a risorse proprie, straordinarie, e come tali irripetibili”.
Durante i mesi più terribili della pandemia medici, infermieri, operatori socio-sanitari e professionisti della salute venivano chiamati eroi. Oggi sono dimenticati. Dice ancora Vannini: “Da nessuna parte si parla di mettere mano a quella che è la principale emergenza che riguarda la sanità: la drammatica carenza di professionisti. Di assumere, per dare respiro a un personale che è sempre meno e che scappa dal servizio pubblico anche, se non soprattutto, per sottrarsi a carichi di lavoro massacranti nel concreto non si parla, anzi. Serve un piano straordinario di assunzioni, ma il governo – questo è chiarissimo – ha scelto la strada di aumentare l’orario di lavoro, seppure per via indiretta, del personale sanitario. Va letta così la scelta di favorire gli straordinari e aumentare il valore delle prestazioni aggiuntive. Sui contratti leggeremo l’articolato, ma ci piacerebbe sapere che conti hanno fornito al ministro quando afferma sulla stampa che i 2,3 miliardi dichiarati sono il quadruplo di quanto stanziato per il contratto precedente, che ha distribuito circa 1,7 miliardi solo per il comparto”.
A porre la questione è stata ancora Meloni, dicendo che più di quante risorse vengono stanziate è importante che esse vengano spese bene. Anche volendo darle ragione, ci domandiamo: sono ben spese le risorse usate per pagare a gettone oltre 100.000 turni all’anno nei reparti di emergenza e urgenza invece che assumere personale? E magari a coprire i turni in pronto soccorso cittadini e cittadine trovano ginecologi al posto di traumatologi o anestesisti e rianimatori? Perché, quindi, ci domandiamo non vengono stanziate risorse adeguate per rinnovare contratti e reclutare personale? E perché non viene tolto il tetto di spesa per il personale bloccato al 2004?
I calcoli del professor Cottarelli sono chiari: “Se si adegua lo stanziamento per la sanità all’aumento dei prezzi si scopre che la spesa sanitaria per il 2024 scende, in termini di potere d’acquisto, del 1,5%. Questo segue al taglio del 2,7% operato da questo governo nel 2023. Si tratta quindi di un taglio cumulato del 4,1%, come dire 5-6 miliardi in meno per la nostra sanità”. Altro che incremento più alto di sempre. E non finisce qui, è sempre nei documenti ufficiali targati Meloni che si trova in altro numero, nei prossimi anni si scenderà ancora arrivando a toccare il 6,1% del Pil per la sanità nel 2026.
“Occorre ricordare - aggiunge Barbaresi - che per raggiungere la spesa media europea al servizio sanitario nazionale occorrerebbero 27 miliardi di euro in più all’anno e oltre 80 miliardi per raggiungere la spesa di Paesi come la Germania. Il nostro giudizio misurerà la riduzione, o meno, di queste distanze. A oggi, le cifre annunciate dal governo sembrano ben lontane dalla media Ue. Pensare poi che 250 milioni per il 2024 e 350 milioni per il 2025 possano essere considerate cifre adeguate al potenziamento dell’assistenza territoriali non desta solo una forte preoccupazione, ma dopo la rimodulazione della Missione 6 del Pnrr, con il taglio di 414 Case della Comunità (-31%), 96 Ospedali di Comunità (-24%) e 76 Centrali Operative Territoriali (-13%), fa decisamente indignare”.
Che fare? Certo non è possibile lasciar passare imprecisioni e mistificazione della realtà. Allora, in attesa che gli organismi dirigenti di Cgil e Uil definiscano le prossime tappe di mobilitazione, Barbaresi suggerisce: “Anche a sostegno dei dieci punti della piattaforma confederale, è importate che venga sollecitata in tutti i Consigli comunali l’approvazione di ordini del giorno che chiedano alle rispettive Regioni e Province autonome di assumere iniziative verso il governo nazionale per stanziare le necessarie risorse per il servizio sanitario nazionale”
L’alluvione dello scorso 17 maggio ha inciso molto sul mondo del lavoro. Tanti i danni alle aziende e tanti i posti di lavoro, purtroppo, venuti a mancare. Marinella Melandri, segreteria generale della Cgil di Ravenna, traccia il quadro della situazione attuale nella nostra provincia, a seguito dei fatti di maggio che hanno accentuato un contesto già complicato di suo, dal punto di vista economico. Fra l’altro proprio le Camere del lavoro Cgil hanno animato la grande manifestazione di sabato scorso a Forlì, a cui hanno partecipato oltre 3mila persone.
In merito a istituti di sostegno ai lavoratori, come la Cassa integrazione mai attivata e ai fondi stanziati dal Governo ma non ancora arrivati, Melandri aggiunge che “la Cassa integrazione era difficile da utilizzare: non prevedeva né l’anticipo né il confronto sindacale che avrebbe consentito di chiedere l’integrazione al 100% del trattamento economico. Sono poche le aziende che l’hanno utilizzata ed il Governo ha fatto cassa sulle quote stanziate e non spese”.
“Solo 370 milioni, su oltre un miliardo stanziato – prosegue la segreteria generale della CGIL – sono stati destinati agli indennizzi, che fra l’altro non sono ancora arrivati a chi ne ha bisogno perché mancano le ordinanze per fissare i criteri per rimborsi e perizie. Sono ritardi inaccettabili, visto che in Emilia-Romagna abbiamo già sperimentato procedure molto più veloci ed efficaci. Per chi è stato danneggiato il trascorrere del tempo senza certezze è un’altra mazzata. Se anche nella legge di bilancio non ci saranno gli oltre 4 miliardi necessari alla ricostruzione sarà evidente che l’alluvione della Romagna non è una priorità di questo governo. Per questo la Cgil continuerà a battersi in tutte le sedi ed a tutti i livelli”.
“Come diciamo fin dall’inizio: bisogna tenere insieme emergenza e ricostruzione. Quindi bisogna partire immediatamente con gli indennizzi a cittadini e imprese: nessuno, anche chi ha la liquidità necessaria, affronta spese ingenti senza una prospettiva chiara. Lo strumento del credito d’imposta garantito dallo stato sarebbe uno strumento efficace. Poi bisogna ultimare al più presto i lavori di somma urgenza per evitare che con l’arrivo del maltempo ci siano nuovi danni e ripristinare interamente la rete infrastrutturale. Infine è necessario progettare la messa in sicurezza idrogeologica del territorio, dalle colline fino alle zone più basse della pianura, considerando che fenomeni così intensi potrebbero diventare sempre più frequenti. Se non si interviene subito e con chiarezza ne risente l’attrattività dell’intero sistema economico romagnolo, disincentivando anche investimenti e nuovi insediamenti produttivi” conclude Marinella Melandri.
Confermato il taglio del cuneo fiscale, nulla di più per sanità e istruzione. Ferrari, Cgil: “Decontribuzione e riforma Irpef davvero poco per i lavoratori”
ncora non è dato sapere i numeri veri: a sentir Meloni, Giorgetti e Salvini in conferenza stampa si ha l’idea che qualche confusione o imprecisione aleggi anche dalle parti del governo. Il Consiglio dei ministri ha approvato lo “schema del disegno di legge di bilancio dello stato 2024” che verrà inviato a Bruxelles. La presidente del consiglio, insieme ai due vice presidenti Tajani e Salvini, e al ministro dell’Economia Giorgetti ha illustrato il provvedimento nel corso di una conferenza stampa. Ad ascoltarli, non tutte le dichiarazioni coincidono perfettamente. Ma l'essenza è chiara: qualche provvedimento bandiera, tanti titoli, poca sostanza. E un segno evidente: nulla oltre quel che già c’era per lavoratori e pensionati, anzi, grande attenzione a partite Iva, imprese e autonomi, nulla per tutto ciò che è pubblico. Nessuna lotta all’evasione e un fisco sempre più a favore di chi già ha.
Sono 24 i miliardi complessivi della manovra, 16 in deficit il resto da tagli di spesa. Parte consistente delle risorse sarà destinata alla conferma del taglio del cuneo fiscale per lavoratori e lavoratrici dipendenti con redditi fino a 35 mila euro, vale 10 miliardi. Nulla di nuovo, verrebbe da dire: è la conferma di quanto realizzato dal governo Draghi su richiesta dei sindacati, e anche questa volta la misura non è strutturale ma vale solo per il 2024. E al primo step della riforma fiscale saranno destinati circa 4,5 miliardi. Serviranno ridurre le aliquote Irpef e per rimodulare le detrazioni.
“È prematuro – in assenza di testi scritti e cifre esatte – esprimere un giudizio compiuto sulla manovra di bilancio”. Lo afferma Christian Ferrari, segretario nazionale della Cgil che – come tanti – ha ascoltato la conferenza stampa- “In base a quanto dichiarato dalla presidente del Consiglio – aggiunge - possiamo desumere che ci si limiterà a confermare la decontribuzione che avevamo chiesto (e cominciato a ottenere) fin dal governo Draghi. E ci mancherebbe anche che i lavoratori si trovassero, a partire dal prossimo gennaio, un taglio secco in busta paga. I salari, comunque, hanno perso dal 2021 a oggi qualcosa come il 17-20% di potere d’acquisito, a causa di un’inflazione da profitti che si è deciso di non contrastare in alcun modo. Non solo la decontribuzione non copre neanche lontanamente la perdita senza precedenti, ma il caro energia, l’impennata dei mutui e il definanziamento del welfare, a partire dalla sanità (624 euro di spesa media in sanità privata per le famiglie), hanno già mangiato per intero anche quel piccolo beneficio”. Per non parlare poi della riforma fiscale, secondo il dirigente sindacale: “Anche l’accorpamento dei primi due scaglioni dell’Irpef avrà un impatto limitatissimo, quasi impercettibile, in busta paga”.
Molto irritata la premier che in conferenza stampa ha sostenuto: “Sono menzogne le cose ascoltate negli scorsi giorni, noi raggiungiamo il più alto investimento mai previsto in sanità”. Peccato che non sia così. Se è vero che sono previsti 3 miliardi in più rispetto allo stanziamento dello scorso anno, non solo rispetto al Pil vi è un arretramento dello 0,3%, ma quelle risorse dovrebbe andare a finanziare tutto, compresa la detassazione degli straordinari per gli operatori sanitari e l’abbattimento delle liste d’attesa attraverso anche il ricorso ai privati. Nulla per il piano di assunzione straordinario, nulla per superare il tetto di spesa per il personale ma circa 600 milioni andranno – appunto - ai privati. Non solo: probabilmente quei tre miliardi non saranno nemmeno sufficienti a compensare l’aumento dei costi da inflazione.
È uno dei capitoli raccontati con più enfasi: un miliardo le risorse che vi sono destinate, serviranno per alleggerire la contribuzione previdenziale alle lavoratrici con più di due figli e a rendere – in prospettiva – gratuito l’asilo nido dal secondo figlio in poi. Mentre viene annunciata l’eliminazione dell’abbattimento dell’Iva sui prodotti per la prima infanzia e l’aumento di un mese per i congedi parentali.
Ape sociale e opzione donne spariranno per confluire in un fondo unico per la flessibilità in uscita. Da quota 103 si dovrebbe passare a quota 104, mentre, secondo quanto affermato da Meloni, salterebbe il divieto ad andare in pensione solo al raggiungimento dell’età definita con il calcolo interamente contributivo se l’importo dell’assegno non raggiunge 1,5 il minino. Per le pensioni in essere anche quest’anno sembra non venga corrisposto a tutte e tutti il recupero dell’inflazione. Anche in tal caso il giudizio di Ferrari è netto: “L’altra notizia è il ritorno, ormai a pieno regime, della legge Fornero, smentita clamorosa degli impegni assunti in campagna elettorale. In sostanza, nulla che possa contrastare efficacemente l’impoverimento brutale di milioni di lavoratrici e pensionati e che possa risollevare l’economia italiana, che dopo la frenata del secondo trimestre resterà debole anche nel terzo e nel quarto, avviandosi a una crescita dello ‘zero virgola’ nel 2024”.
Finché non verranno pubblicati testi e tabelle occorre stare agli annunci. Tra quelli ascoltati nell’incontro con i giornalisti meritano di esser ricordati i nuovi tetti per i Fringe Benefit portati a 1.000 euro per tutti a 2.000 per i lavoratori con figli. Ancora, è prevista una riduzione (si parla del 15%) per le aziende che assumono (con quali contratti? A tempo determinato o indeterminato?). infine il vice premier Salvini ha annunciato che sono stati confermati i 12 miliardi destinati al ponte sullo Stretto e ridotto da 90 a 70 euro il prelievo in bolletta del canone Rai.
“Altro che rilancio. Un taglio di questa entità rischia di dare un colpo netto alla capacità produttiva dell'azienda”. È quanto commenta Riccardo Saccone, segretario nazionale Slc Cgil, sull’annunciata decurtazione di 20 euro del canone Rai: “Ha più il sapore di un provvedimento elettorale che una scelta ponderata, rispetto allo stato attuale dell’azienda”.
E poi dovrebbero essere disponibili 7 miliardi per i rinnovi dei contratti pubblici (due dovrebbero servire per quelli della sanità), soprattutto per i comparti della sicurezza
Il segretario confederale della Cgil dopo il tavolo a Palazzo Chigi: "Non ci sono risposte, la nostra mobilitazione continua" ASCOLTA L'AUDIO
Si prospetta manovra all'insegna del ritorno all'austerità, totalmente inadeguata ad affrontare le esigenze sociali del Paese". Lo ha detto Christian Ferrari della Cgil al termine dell'incontro a Palazzo Chigi per l'illustrazione della manovra. "La questione salariale, di fronte a un'inflazione che sta tagliando qualcosa come il 17% del potere d'acquisto, non ci sono risposte. Nemmeno la posta annunciata da Giorgetti sul rinnovo contratti pubblici - ha aggiunto Ferrari - è lontanamente avvicinabile ad un obiettivo di tutela del potere d'acquisto".
"Non ci sono risposte sulla sanità, le poche risorse aggiuntive non invertono una curva che tende a tagliare la spesa sanitaria e far implodere il sistema nazionale pubblico. C'è la conferma della legge Fornero sulle pensioni, non ci sono politiche industriali, non si è parlato di Pnrr che è in congelatore. "Un'altra manovra è possibile, bisogna andare a prendere le risorse dove ci sono: contrastare l'evasione - ha detto il rappresentante della Cgil - e tassare gli extraprofitti di tutti i settori, invece si fa finta di farlo con le banche. Attaccare i grandi patrimoni". "Per questo noi ne discutere prossimi giorni, ma la nostra mobilitazione - ha concluso - andrà avanti per chiedere un cambiamento"