La fine del 2020. Per noi, per il manifesto, questi sono gli ultimi giorni che ci separano dai 50anni di vita. Sperando in un 2021 migliore, tanti auguri alle compagne e ai compagni, alle lettrici e ai lettori che ci accompagnano da sempre
Abbiamo vissuto un anno terribile, sconvolgente, senza uguali. Il virus-killer è arrivato tra noi mentre eravamo alle prese con appuntamenti di grande rilevanza politica (il referendum costituzionale, le elezioni regionali, i processi di Salvini…), ignari di quel che stava per capitare.
Poi tutto è successo. Sofferenza, dolore, lutti. E non solo per l’Italia ma per miliardi di persone, costretti, per la prima volta, a fronteggiare un nemico presente in ogni angolo del Pianeta.
Un nemico forte, particolarmente spietato nel nostro Paese, terreno fertile per la sua micidiale missione distruttiva: strutture sanitarie fragili e insufficienti; confusione organizzativa, debolezza decisionale e disorientamento del governo centrale, spinte centrifughe delle Regioni.
Con un protagonismo mediatico eccessivo di una parte della comunità scientifica, artefice di messaggi contraddittori e irresponsabili (ricordate il “virus clinicamente morto” secondo il medico di Berlusconi?).
E infine i cittadini, non sempre capaci di rispettare le poche e banalissime regole, utili per evitare il diffondersi del virus, più che visibile. Perché economicamente capace di ridurre l’Italia allo stremo, facendo perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro, chiudendo una valanga di attività in quasi ogni settore produttivo, distruggendo tessuto sociale, cultura, vita collettiva.
Con le donne e i giovani drammaticamente penalizzati, vittime eloquenti, specchio fedele dell’arretratezza del paese. Tuttavia qualche luce è rimasta accesa nel buio di Covid-19 e altre speriamo stiano per accendersi.
Abbiamo visto donne e uomini sacrificarsi – anche fino allo stremo – per assistere, curare, salvare. Medici, infermieri, l’intero personale sanitario hanno dimostrato quanto possono essere importanti la nostra Sanità e chi ci lavora, nonostante il massiccio definanziamento degli ultimi decenni. E nonostante le incapacità di alcuni amministratori che hanno determinato, come è avvenuto in Lombardia, dei vuoti assistenziali spaventosi.
L’altra luce è il vaccino.
Mai prima era accaduto che l’intera comunità scientifica e l’apparato farmaceutico/industriale fossero impegnati per uno stesso obiettivo. Che in meno di un anno è stato raggiunto. Pur sapendo che il vaccino, da solo, non potrà traghettare il Mondo fuori dall’emergenza epidemica. C’è un’altra luce che si intravvede (siamo tutti obbligati all’ottimismo della volontà), non meno importante: la complicata risalita dalla pandemia economica e sociale.
Il governo nei mesi scorsi è riuscito a rispondere, almeno in parte, al disastro che ha devastato l’economia italiana come di tanti paesi. Il nostro più di altri: la Caritas stima che nel 2020 i nuovi poveri siano passati dal 31 al 45 per cento. E nessuno è innocente se le diseguaglianze esplodono insieme all’evasione fiscale calcolata, solo per l’Irpef, al 30 per cento.
Quando si dice che questo micidiale ospite ha svelato altre perniciose malattie del nostro tempo, costringendo l’establishment a brusche e radicali revisioni, dobbiamo innanzitutto pensare al ruolo positivo quanto disconosciuto della mano pubblica, dello Stato, del peso crescente del welfare state, non più residui novecenteschi ma architravi del futuro.
Erano i giorni dell’esplosione epidemica, con Mario Draghi che invitava i governi “a un significativo aumento dei debiti pubblici”. Improvvisamente l’Europa di Maastricht, arcigna guardiana del liberismo, pronta a sorvegliare e punire gli aiuti di Stato, travolta dai lockdown che facevano precipitare la ricchezza delle nazioni in una depressione più forte di ogni storico precedente dell’epoca, ha cambiato verso inaugurando, con il Next Generation Eu, la stagione del debito pubblico europeo destinato a tutti i paesi.
E, ironia della sorte, assegnando proprio all’Italia, tra i paesi più indebitati del mondo, la fetta più grande della torta.
Ed è a questo punto che, mentre il governo Conte era sballottato tra le montagne russe dell’emergenza sanitaria, a insidiare l’appetito del Coronavirus è piombata l’idea di un governo di salvezza nazionale con Renzi e Salvini, da entrambi reclamato e perciò da temere come una calamità nazionale.
Un governo di disgrazia pubblica. In profonda sintonia con il manifesto di Confindustria che indicava la rotta: prima la borsa poi la vita.
Nel frattempo mentre le opposizioni urlavano in Tv e in Parlamento contro il presidente del consiglio accusato di essere “un criminale”, sul fronte centrosinistro, proprio nell’anniversario del 25 Aprile, la Fiat stampava il suo marchio su Repubblica mettendo in campo le notevoli armi di persuasione rispetto agli assetti politico-istituzionali, presenti e futuri. Con la blasonata testata, sventolata e applaudita dalle destre in Parlamento.
Con De Benedetti al lavoro per fondare un altro quotidiano, mentre giurava in tv che Conte faceva più danni di Berlusconi.
Con Renzi, proprio lui, che invocava la resistenza in difesa della Costituzione contro il dittatore di palazzo Chigi. Salvo poi acconciarsi tutti a votare il primo scostamento di Bilancio di 55 miliardi di euro assegnati a famiglie, disabili, spettacolo, lavoro di cura, debiti della pubblica amministrazione, imprese.
Una pioggia di bonus sotto la quale tutti gli ombrelli sono rimasti accuratamente chiusi per bagnarsi meglio e di più.
L’autogol di una crisi di governo con lo sbocco elettorale, criticata ieri dalla Cgil di Landini (“non è il momento di votare”), accompagna questi ultimi giorni del 2020, con il paradosso che le spinte più forti anti-governative non vengono dalle opposizioni ma dalla stessa maggioranza, e principalmente da un politico, giovane promessa del passato, che ama i folli giri di giostra e che anche questa volta, potrebbe farsi male, pur cadendo dalla minima altezza della sua credibilità.
Il governo rischia molto, appare fragile, diviso e combattuto tra spinte diverse. E anche se incassa la fiducia sulla legge di Bilancio dovrà arrivare alla prova del nove del Recovery plan, crocevia politico delle settimane che ci aspettano.
Per noi, per il manifesto, questi sono gli ultimi giorni che ci separano dai 50anni di vita. Nonostante la spada di Damocle dei Fondi dell’Editoria pesi sulle nostre spalle, come i lettori ben sanno, sarà un 2021 importante, l’occasione per prendere, dalla nostra lunga e straordinaria storia, l’energia necessaria per guardare ai prossimi decenni del giornale e della sinistra.
In un Continente cambiato dall’emergenza sanitaria; in un Pianeta stravolto da una crisi climatica giunta a un punto di non ritorno e foriera di trasformazioni geopolitiche; in un mondo che vede uscire Trump se non dalla scena, certamente dalla Casa Bianca, un giornale politico, una testata storica come il manifesto, ha ancora molto lavoro da fare.
Sperando in un anno migliore, tanti auguri alle compagne e ai compagni, alle lettrici e ai lettori che ci accompagnano da sempre.
Commenta (0 Commenti)La tragedia della pandemia ci ha messo di fronte alle ragioni ultime della convivenza: ciò che porta a formare una società è, prima di tutto, la tutela della vita e la tutela dei diritti considerati fondamentali (salute, lavoro, cura). Ci ha anche ricordato che il contratto sociale si basa su valori etici, come la dignità e l'uguaglianza. Infine, ci ha ricordato che i poteri costituiti devono essere al servizio dei diritti, ma che non sono strutture di potere in conflitto tra loro. Se usiamo questa griglia di giudizio, appare in tutta la sua chiara evidenza la distanza che separa la realtà del vivere dall'agire politicamente, sempre ai giochi di palazzo.
Da un lato centinaia di morti al giorno, l'impossibilità di guarigione (e non solo nel caso dei covid), la precarietà delle condizioni materiali (economiche, ma anche esistenziali); dall'altra le polemiche spezzate, le "posizioni" dei vari partiti politici, la ricerca di visibilità mediatica, l'acidità dello scherzo sprezzante. Stiamo assistendo al declino della politica come "governo della polis" e al trionfo dell'autonomia autoreferenziale dei soggetti di governo.
Lasciamo ora da parte la questione dei poteri centrali (Governo e Parlamento) - su cui ci siamo più volte soffermati - guardiamo alla vicenda dei poteri locali. Quello che è emerso in questi mesi "eccezionali" è che, a fronte delle evidenti difficoltà di tutte le Regioni a tutelare i diritti fondamentali nei loro territori, si è assistito ad un aumento delle polemiche strumentali. Il riflesso istituzionale - dei presidenti-governatori - è stato quello di agire come controparti del governo centrale. Posizioni oscillanti, tra richieste di maggior rigore e insofferenza per i limiti imposti, ma sempre tese a rivendicare entro i propri confini tutto lo spazio decisionale politico. Con meno clamore, ma una simile convinzione, anche i sindaci hanno cercato di sperimentare una sorta di sovranità comunale.
Il Capo dello Stato ha cercato di ricordarci che prima di rivendicare poteri, gli amministratori locali dovrebbero pensare all'unità nazionale, perché questa è la posta in gioco oggi. Ma l'istinto ha prevalso: più i morti aumentavano, più i "governatori" scaricavano le loro responsabilità sugli altri, non riuscendo a sentirsi parte di un destino comune. Nessuno è senza colpa e più di un errore è stato commesso dal centro. Ma in mezzo alla pandemia, l'aver visto le Regioni stabilire regole di sicurezza e libertà fondamentali in contrasto con quelle definite a livello nazionale mostra come sia stato raggiunto il limite della rottura dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica.
Quanto a quanto può essere accaduto, la ragione principale è da ricercare nell'affermazione di un modello autonomo di natura "competitiva", lontano da quello originariamente previsto dalla Costituzione, che è di natura "solidale". Una trasformazione che viene da lontano, ma che ora, nel profondo della crisi più grave, rischia di mettere in discussione i principi supremi della convivenza. Basta guardare indietro per capire la parabola del regionalismo italiano.
Molto tempo dopo l'istituzione delle Regioni Ordinarie, la sinistra ha cercato di affermare uno "Stato di Autonomia", puntando sulla partecipazione, sulla centralità delle assemblee e dei consigli regionali, provinciali, comunali e distrettuali. È stato il principio della "differenziazione", non quello della "concorrenza", a legittimare l'attribuzione di poteri agli enti locali, che hanno operato dimostrando una diversa capacità di amministrazione. Il "modello emiliano" era l'orgoglio della sinistra perché meglio di altri poteva dimostrarsi buona amministrazione fornendo servizi pubblici locali. Tuttavia, questa prospettiva è stata abbandonata dai suoi stessi creatori.
La svolta per le Regioni arriva nel 1999 quando, per legge costituzionale, si decide di abbandonare
LORI CAMBIA LEGGE CONTESTATA, "ORA VERIFICA SU CONSUMO SUOLO" (DIRE) Bologna, 16 dic. -
La giunta fa marcia indietro all'ultimo momento e i rossoverdi festeggiano. E' stata ascoltata la richiesta avanzata in particolare da Emilia-Romagna Coraggiosa di stralciare gli articoli della nuova legge sulla rigenerazione nei centri urbani che modificavano la legge urbanistica regionale, la cosiddetta taglia-cemento, in senso "meno restrittivo". E' stata lo stesso assessore alla Pianificazione territoriale Barbara Lori a presentare gli emendamenti, tre, alla legge. "Oggi- ha detto questa mattina in commissione- credo sia giusto fermarsi su un aspetto che impatta ben poco sul superbonus che e' l'oggetto di questa legge. E' chiaro che sul tema interverremo, cosi' come interverremo con strumenti legislativi ad hoc per accompagnare i nostri territori alla semplificazione".
Soddisfatti i capogruppo di Coraggiosa e Verdi, rispettivamente Igor Taruffi e Silvia Zamboni. "Crediamo che a tre anni dall'approvazione della legge urbanistica- affermano i due consiglieri di maggioranza- sia giunto il momento per una puntuale e complessiva verifica dei risultati ottenuti dalla legge stessa. In particolare in termini di riduzione del consumo di suolo. Per quanto ci riguarda- aggiungono- si pone infatti l'inderogabile necessita' di una profonda discussione sulla legge nel suo complesso, anche, in particolare, alla luce degli obiettivi stabiliti nel patto per il lavoro e per clima, sottoscritto proprio in questi giorni. Nella scorsa legislatura ci opponemmo alla legge urbanistica. In questa crediamo debba essere rivista".
Un passo indietro era nelle cose come ha spiegato anche il relatore di maggioranza della legge, il dem Andrea Costa, per il quale si tratta di una sorta di work in progress. "Vista la complessita' del testo, e' necessario arrivare ad una formulazione la piu' possibile condivisa e, nonostante il lavoro svolto, da qui all'aula credo che ci sara' spazio per intervenire su altri ambiti". Ma il centrodestra chiede per questo un esame ulteriore della norma. "Stante l'emendamento dell'assessore Lori arrivato pochi minuti prima dell'inizio della seduta odierna- ha detto il leghista Massimiliano Pompignoli, della Lega- vorrei si rifacesse l'udienza conoscitiva con i tecnici, perche' la soppressione di due articoli cosi' importanti come il 30 ed il 32", entrambi sui Pug "hanno di fatto snaturato in maniera importante questo testo e cio' comportera' un'approfondita fase di discussione quando saremo in aula".
Sull'articolo 32 "attendo di capire i motivi di questo ripensamento- afferma invece Marco Lisei di Fdi- perche' condividevo tale articolo in un'ottica di semplificazione, in quanto l'attuale legislazione e' fin troppo restrittiva. A seguito di questa decisione avremo per il momento una posizione interlocutoria su questo provvedimento e poi decideremo in base al comportamento che verra' tenuto in aula".
Critica anche la 5 stelle Silvia Piccinini: "Quando si scrive che in fase di asseverazione il tecnico si deve occupare solo delle parti sottoposte a bonus, significa chiudere gli occhi di fronte ad eventuali abusi. Uno spirito del tutto contrario a una legge nazionale fortemente voluta dal Movimento 5 stelle che mira alla rigenerazione facendo emergere eventuali abusi". (Bil/ Dire) 16:51 16-12-20 NNNN
Commenta (0 Commenti)Assemblea Equologica. Una giornata di lavori per discutere di «giustizia sociale e ambientale» come pietra angolare di un nuovo soggetto politico.
Un’assemblea nazionale, digitale, per discutere di «giustizia sociale e ambientale». Provare a costruire intorno ai due elementi un nuovo soggetto politico che si misuri con i territori e subito con gli appuntamenti elettorali. A partire dalle amministrative della prossima primavera, con le principali città al voto.
Equologica ha messo in campo ieri 44 tavoli tematici e 8 panel con esponenti di partiti di sinistra, Verdi, Psi, il sindaco di Milano Beppe Sala, Luciana Castellina, i ministri Roberto Speranza e Gaetano Manfredi, Legambiente, Friday for future e il Wwf, gli economisti Jean Paul Fitoussi e Gunter Pauli, Aboubakar Soumahoro, Cgil e Uil, le sardine Mattia Santori e Jasmine Cristallo, pezzi dell’universo 5S che si sentono a loro agio a sinistra come il presidente della Camera Roberto Fico e la ministra Nunzia Catalfo ma anche gli ex Paola Nugnes e Lorenzo Fioramonti.
A tirare le somme, in serata, ci ha pensato Gessica Allegni, assessora comunale di Bertinoro e parte dell’associazione È viva: «Crisi economica e crisi ambientale sono connesse. Bisogna riaprire la discussione nel governo, esecutivo che sosteniamo, ma è necessario migliorare la qualità della sua azione». Giuseppe Conte è presente con un video messaggio («giustizia, equità, ambiente: condivido i vostri temi») e li incontrerà mercoledì.
Il nemico è Matteo Renzi: «Non si tratta di fare come altri – l’attacco di Allegni, risuonato anche in altri interventi -, cioè ipocritamente tenere alta la tensione per logiche di potere. Vogliamo restituire un ruolo ai luoghi della democrazia. Le nostre proposte sono in campo: patrimoniale, reddito universale e salario minimo, un sistema davvero universalistico della Sanità, un welfare inclusivo, diritto alla casa e diritti per chi lavora».
Il problema, come sottolineato da Castellina, è «su quali gambe far camminare nei territori e nelle istituzioni un nuovo progetto politico, come impresa collettiva». Allegni: «Costruiamo una leadership collettiva per tornare a essere comunità. Oggi (ieri ndr) non nasce un partito ma ci diamo l’obiettivo di realizzare una soggettività politica con una sua autonomia e capacità di rappresentanza. Ci daremo un nome per renderci visibili (Equologia – rete Ecologia sinistra civismo ndr), ci daremo un impegno per le amministrative di primavera, a cominciare dalla rielezione di Sala. Superiamo lo spezzatino di liste come alle ultime regionali».
I lavori sono cominciati ricordando la strage di Piazza Fontana ma anche nel nome di Giulio Regeni e Patrick Zaki. L’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini: «Due persone al giorno in Egitto spariscono come Giulio. Chiediamo il ritiro dell’ambasciatore e lo stop alla vendita di armi». Diritti prima degli affari, sostenibilità umana e ambientale prima del profitto. Il deputato e portavoce di È viva Francesco La Forgia: «Dobbiamo trovare un collegamento con i blocchi sociali. Se si lascia che il sistema trovi la sua direzione, finisce per assumere traiettorie che allargano la forbice delle disuguaglianze». E Nicola Fratoianni: «Usciamo dalla subalternità culturale, dobbiamo creare strumenti di redistribuzione delle ricchezze».
Se la sardina Sartori rimprovera ai partiti di esserci arroccati, tra mille leaderini e nessun gregario, Angelo Bonelli dei Verdi interroga i dem: «Il fronte progressista è un tentativo già fatto. Ci vuole innovazione. La questione ecologica permette di intercettare anche i cattolici e i moderati. Se il Pd pensa con lo sbarramento al 5% di risucchiare le altre culture politiche fa un errore strategico che non favorisce neppure il Pd». La risposta dal vicesegretario Andrea Orlando: «Non abbandoniamo la nostra vocazione maggioritaria ma serve una pluralità nell’offerta, con una forte compatibilità tra le diverse forze altrimenti non si è credibili. Un progetto per battere le destre ha bisogno di recuperare una proposta radicale per riconnettersi con chi ha pagato le crisi».
Adriana Pollice da “il Manifesto” del 13.12.2020
Ambiente e sindacato. Accanto al miraggio della decrescita felice c'è il rischio della decrescita infelice
La risposta della Filctem Cgil all’appello di Castellina e Muroni rivela come una parte del sindacato sia ancora lontana dall’aver recepito la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Il messaggio di Francesco, degli studenti di Greta e del mondo scientifico stanno rimettendo in discussione il rapporto tra uomo, elementi naturali e biosfera, chiarendo quanto la sopravvivenza e la giustizia sociale siano irreversibilmente a rischio. La portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo – di cui trattano nel loro appello Castellina e Muroni – assieme al lento declino della vita vegetale e animale può convincere il mondo del lavoro ad uscire da una posizione puramente difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di una trasformazione radicale del modello di sviluppo.
Oltre la pandemia, le emergenze sempre più prossime fanno sì che lo sviluppo debba cedere il passo al bisogno di sopravvivenza: una autentica rottura. Ad esempio, la necessità di porre la questione sanitaria al centro della ricerca scientifica e della stessa prospettiva della produzione sta già spezzando l’andamento della spirale della crescita tecnologica, visto che il vaccino sta nell’ottica della salvaguardia della specie, in luogo della cura rivolta al singolo. Dall’idea del progresso lineare e infinito dentro al meccanismo del consumo, nel pensiero umano prende prevalenza la logica di una ugualitaria conservazione della specie. Un fatto del genere non era capitato neppure di fronte al richiamo del mutamento climatico, nonostante gli sforzi di Francesco, di Greta, degli studenti, degli ecologisti ancora assortiti per culture nazionali diverse.
Queste novità sfuggono imprudentemente al documento del sindacato energia. Non sono i fior fiori di ingegneri e tecnici iscritti alla Cgil che dovrebbero chiarirci le linee della svolta necessaria: anch’essi, come noi, sono figli di una educazione non interdisciplinare, che sa ben trattare la trasformazione di materia e energia, ma non presta attenzione agli effetti irreversibili che, oltre una soglia, la tecnologia può procurare alla comunità umana, alla vita e alla riproduzione di tutto il vivente. In fondo, almeno negli ultimi cinquant’anni, c’eravamo abituati alla penuria d’acqua, alla furia dei tornado, all’erosione del suolo, ma trascuravamo, non senza colpa, i danni procurati da una crescita incontenibile di energia.
Finora la ricaduta sui territori è stata elusa e la discussione è rimasta ai piani alti. Non sarà mai più così. Noi abbiamo di fronte l’esperienza sul nascere di Civitavecchia, dove la pretesa degli enti energetici di ricondannare le popolazioni già colpite nel passato ad un futuro a metano, sta suscitando un autentico movimento popolare e dove la Cgil territoriale, assieme alla Uil, ha avanzato la richiesta di mettere in rete tutti i comitati e le associazioni che avanzano proposte alternative per la riconversione della centrale a carbone, ottenendo l’attenzione di medici, studenti, associazioni ambientaliste, sindacati di categoria e cittadini, che hanno reso pubblica una totale convergenza in una trasmissione molto significativa sulla rete TV locale.
Siamo, dicono i partecipanti alla trasmissione, ad un momento storico, ad un voltar pagina, che può contare su ricerca, occupazione qualificata, sviluppo del territorio con ridotto impatto sull’ambiente e con il sostegno, per la prima volta, di una finanza Ue che allenta i criteri di pura competizione tra le singole nazioni. Purtroppo, l’illusione che non ci fosse freno al consumo di energia è rimasto nel bagaglio delle nostre generazioni già da quando andavamo a scuola. A quella storia rischia di rimanere appeso il sindacato dei lavoratori dell’energia, che quando parla di transizione pensa che molto possa a parole cambiare, ma che esista una soglia di danno – quella in particolare provocata da nuovi investimenti in gas – tollerabile per un “green washing” delle imprese e utile per la tutela dei lavoratori attualmente occupati. Ignorando così le ben più consistenti possibilità occupazionali per loro e per i giovani del territorio, che potrebbero derivare da una riconversione davvero verde della produzione di energia e dalle possibilità di sviluppo che si aprirebbero per l’intero contesto territoriale.
Questa saldatura sul territorio fra organizzazione sindacale e associazione della cittadinanza attiva, la volontà manifestata dalla Camera del Lavoro di assumere come livello di decisione, quando le questioni di politica del lavoro e di politica economica riguardano la vita di tutti i cittadini, un ambito più grande di quello dei lavoratori attualmente sindacalizzati, è un esempio importante di quella “Camera del lavoro di strada” che più volte Maurizio Landini ha evocato. Restringere l’ambito della determinazione delle posizioni al sindacato di categoria, alla ragionevolezza di quello che è possibile fare dentro l’attuale modello di sviluppo, magari riuscendo a redistribuire i profitti in maniera più equa, è certamente una visione alternativa a quella decrescita felice che la Filctem sembra ritenere il pericolo maggiore da esorcizzare, ma rischia di mantenerci prigionieri di quella decrescita infelice che caratterizza ormai gli ultimi anni della nostra storia.
Commenta (0 Commenti)