Dall’Italia agli Stati Uniti Il rischio più che concreto è quello di abitare un mondo sconvolto dalla policrisi, con uno Stato del tutto incapace di proteggere i bisogni fondamentali delle persone e con “capi politici” sempre più isolati dal controllo democratico
Il governo delle destre che, con tutte le sfumature possibili del nero, dall’Italia agli Stati Uniti segna questa fase politica, è una commistione tra pensiero reazionario, tecno-finanziarizzazione e chiusura dei già residuali spazi democratici. Una nuova configurazione di poteri tecno-economici, potremmo dire, alleati con la destra per rispondere alla diffusa richiesta politica di “protezione e controllo”. Certo le istituzioni sono ancora il luogo dove le regole del gioco vengono disegnate, il codice del capitale prende forma e si decidono ammontare e direzione degli investimenti pubblici. Dove si sceglie a chi prendere e a chi dare; chi punire e chi premiare, chi indebolire e chi rafforzare. Decenni di narrazione sull’iperglobalizzazione hanno messo in ombra il ruolo che le istituzioni, anche quelle nazionali, possono svolgere in questa o quella direzione. Le destre al governo non si sviluppano dunque nell’anti-politica del primo Trump o nella post-politica della terza via di Blair e Veltroni, ma nell’iper-politica del tempo attuale. Lo fanno tramite la politicizzazione del quotidiano, in assenza però di intermediazione organizzata (se non quella dei media) e senza un discorso ideologico (se non quello del senso comune). La politica è ovunque fuorché nelle istituzioni, che sono occupate dalla nuova configurazione dei poteri, per riprendere la bella tesi di Anton Jäger (Iperpolitica, Nero Edizioni, 2024).
Anche per questo, non va trascurata la nomina di Elon Musk e Vivek Ramaswamy a capo del nuovo DOGE (Department of Government Efficiency). L’idea alla base della nascita del DOGE riflette la critica di lunga data di Trump agli “sprechi burocratici”, una critica che lo accomuna al governo di Giorgia Meloni e ad altri governi di destra, che oggi – a differenza del passato – biasimano apertamente le strutture dello Stato, specie quelli più autonomi dal controllo diretto del potere politico. Qualcosa di molto lontano dalla concezione fascista, per la quale: “tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato”, come scritto alla voce Dottrina del fascismo dell’Enciclopedia Italiana, redatta per metà da Giovanni Gentile e per l’altra metà da Benito Mussolini.
In questo quadro, è del tutto plausibile attendersi che organismi come il National Institutes of Health (NIH) e la National Science Foundation (NSF) saranno sottoposti a un sempre maggiore controllo e definanziamento, magari in nome della necessità di privilegiare progetti “utili” e di “mobilitare i capitali privati”. La chiusura delle agenzie che si occupano di “regolazione” va nella stessa direzione: la messa in mora della capacità amministrativa e regolativa dell’apparato statale. La decostruzione intenzionale dello Stato è dunque la cifra delle destre al Governo. La produzione sistematica dell’ingovernabilità, l’uso politico dei codici di comportamento, il blocco del turn-over, il definanziamento, sono parte di un disegno volto a incapacitare l’azione pubblica.
La declinazione specifica di questo disegno politico – come del resto è già avvenuto per la diffusione del neoliberalismo – si adatta alle particolarità e alla storia dei singoli Paesi. Nel caso americano, il sogno reaganiano di uno Stato più piccolo è si è evoluto – attraverso il cospirazionismo dello “Stato profondo” – in una domanda di assenza dello Stato. In questa chiave, la scelta di affidare a persone palesemente inadeguate i ruoli chiave dell’azione dei ministeri è ciò che permette, nel contempo, di confermare l’inutilità dello Stato e invocare la forza della politica “che sa decidere”. Il rafforzamento del potere esecutivo e la fedeltà assoluta al “capo” previste dal “premierato” sono al servizio di questi scopi.
L’etica dell’ingovernabilità – cioè l’azione del Governo contro l’architettura dello Stato – diventa anche il terreno di competizione dell’arena politica. Per questo, essere di sinistra, oggi, significa anzitutto opporsi al tentativo della “politica decidente” e plebiscitaria di erodere lo Stato, di scarnificarne le funzioni e di cancellarne le leve operative. Significa combattere il definanziamento del SSN, opporsi ai tagli all’Università, sostenere una massiccia politica di assunzioni di giovani nella Pubblica Amministrazione, proporre un ruolo per la regolazione pubblica nella lotta al cambiamento climatico, mettere in prima piano la giustizia fiscale, rinforzare il rapporto tra Stato, territori e diritti di cittadinanza. L’attacco alla separazione dei poteri e il rifiuto del diritto come orizzonte comune della dialettica politica vanno letti in questo quadro. Il rischio più che concreto è quello di abitare un mondo sconvolto dalla policrisi, con uno Stato del tutto incapace di proteggere i bisogni fondamentali delle persone e con “capi politici” sempre più isolati dal controllo democratico. Non un orizzonte che si possa guardare con serenità.
@FilBarbera