La mobilitazione Oggi e domani a Schengjin e Tirana proteste contro i centri di detenzione per migranti
Un gruppo di giovani attivisti albanesi hanno protestato oggi davanti al porto di Shengjin dove questa mattina la nave Libra della marina militare italiana, ha sbarcato 16 migranti – ARMAND MERO
Le roboanti dichiarazioni e le conferenze stampa spettacolari sembrano un lontano ricordo. Sul campo, regna il silenzio. Per gli italiani che lavorano in Albania, ben più pagati e meglio trattati rispetto ai colleghi albanesi, questa missione sembra ormai una sfida alla noia.
A Tirana non si discute molto del fallimento del protocollo. Nel pieno della discussione sul bilancio dello Stato albanese, a tenere banco sono le partecipatissime proteste dei pensionati. Proteste che hanno costretto Edi Rama a varare un bonus di fine anno che varia dai 100 ai 150 euro. Ma si discute anche dei regolamenti di conti della criminalità organizzata, dell’uccisione di un ventottenne figlio di un ex magistrato, di violenza giovanile dopo la morte per accoltellamento di un ragazzo di 14 anni da parte di un altro adolescente nei pressi della scuola elementare più nota e centrale della Capitale. Edi Rama ha annunciato di voler imporre una stretta ai social network a partire da TikTok e Snapchat, accusati di veicolare modelli diseducativi.
A rompere il silenzio che sta calando sul protocollo Rama-Meloni sarà il Network Against Migrant Detention che dopo la conferenza stampa che si è tenuta il 6 novembre a Tirana ha rilanciato per oggi e domani una due giorni di mobilitazioni con l’obiettivo di portare la protesta nei centri per migranti di Shengjin e Gjader, oltre che nei palazzi del potere della capitale.
La redazione consiglia:
Tirana, arriva la protesta anti deportazioniIl network è una vera e propria alleanza di attiviste e attivisti albanesi, italiani e italoalbanesi che si sta allargando anche a Grecia, Spagna e Germania. La critica ai Cpr come modello di detenzione amministrativa lesiva dei diritti e della dignità umana è l’innesco per la critica alla violazione della sovranità albanese sul proprio territorio e all’approccio neocoloniale italiano, all’esternalizzazione delle frontiere europee, allo smantellamento dei principi fondanti del diritto d’asilo. Un’alleanza alla pari, dunque, che ribalta la retorica sull’amicizia, la riconoscenza e il debito che gli albanesi avrebbero nei confronti dell’Italia e che sono stati centrali nella costruzione della narrazione sull’accordo.
La posta in palio è altissima: dare l’ultima spallata al protocollo è necessario per porre un argine alla moltiplicazione di un modello che gli altri paesi europei vorrebbero replicare. Ma l’affermazione della libertà di movimento non passa solamente dalle mani dei magistrati italiani e della Corte di Giustizia dell’Ue.
Il 28 e 29 novembre sono state celebrate le due feste più importanti di un’Albania che spera finalmente di entrare nell’Unione europea: l’indipendenza dall’impero ottomano e la liberazione dall’occupazione nazifascista. Le centinaia di attiviste e attivisti che chiederanno ai militari italiani di tornarsene a casa propria, restituiranno in parte quanto fu fatto a migliaia di albanesi negli anni ’90. Sono certo che saranno di nuovo i benvenuti, una volta dismesso il ruolo di carcerieri di lager per migranti.
* L’autore è consigliere comunale di Bologna, eletto con Coalizione civica