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Ursula von der Leyen propone un piano di riarmo per l’Europa: 800 miliardi di euro per la difesa, allargando le maglie del Patto di stabilità. Il Vecchio continente si riscopre solidale ma solo a suon di bombe. L’idea divide il governo italiano e riavvicina le opposizioni

SPARATA MILITARE La presidente mette sul piatto cifre roboanti: 800 miliardi di euro per la difesa. Ma le modalità di raccolta sono tutt’altro che chiare

Solidali con le bombe. Il bazooka di Ursula per il riarmo europeo 

Le cifre sono roboanti: 800 miliardi di euro «mobilitati» in quattro anni, tra prestiti per 150 miliardi e spese non calcolate nelle maglie del Patto di stabilità per i restanti 650. Il modo per raccogliere queste somme e metterle a disposizione della difesa europea però è tutt’altro che chiaro, tra ipotesi di prestiti sulla base di debito comune (modello obbligazioni emesse dalla Commissione con nel Next generation Eu) e aumenti delle spese belliche per l’1,5% del Pil nazionale dei paesi Ue.

Mobilitare le immense risorse dell’Europa a difesa della democrazia e ripristinare la deterrenza contro coloro che cercano di farci del male - Ursula von der Leyen


È QUESTO il contenuto dell’attesa lettera della presidente della Commissione Ursula von der Leyen sul piano di riarmo dell’Europa. Si tratta di una proposta che arriverà sul tavolo del leader dei Ventisette che si riuniscono domani a Bruxelles per il Consiglio europeo straordinario tutto dedicato alla sicurezza europea e al sostegno all’Ucraina. La lettera rende anche esplicito il contesto nel quale la necessità del maxi piano di riarmo si inserisce. Ursula parla di «riconoscenza» europea «per il sostegno Usa e il ruolo svolto nella nostra sicurezza per decenni». Una premessa che apre poi alla constatazione di un cambiamento radicale dell’ordine costruito nel dopoguerra. Per questo ora, sostiene von der Leyn, è necessario «mobilitare le immense risorse dell’Europa» a difesa della democrazia. Con lo scopo di «ripristinare la deterrenza contro coloro che cercano di farci del male».

Finalmente l’Unione europea si risveglia dal sogno bucolico di poter essere una sorta di superpotenza erbivora in un mondo di carnivoriNicola Procaccini (Ecr)


L’ACCELERAZIONE di von der Leyen scatena reazioni politiche ad ampio spettro. Di piano «necessario per rafforzare la sicurezza europea» parla il vicepresidente dei popolari Siegfried Muresan, e anche il co-presidente di Ecr, il meloniano Nicola Procaccini, lo definisce «una sveglia per l’Europa». Sparano a zero invece i patrioti della Lega, che chiedono se «Ursula vuole la terza guerra mondiale». Però, nella stessa famiglia europea, Marine Le Pen denuncia in un’intervista uscita ieri su Le Figaro la «brutalità della decisione Usa nel sospendere gli aiuti all’Ucraina». Di follia bellicista parlano gli eurodeputati italiani di Left, a partire dai 5S, e il responsabile esteri di Sinistra italiana Giorgio Marasà definisce il piano di von der Leyen «disegno osceno» che finisce per «obbedire a quello di Trump».

Silenzio e imbarazzo dai socialisti europei, che

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Striscia continua Fonti stampa e governative israeliane svelano le possibili mosse. E la Ue le «legittima». Ben Gvir propone di bombardare i depositi di aiuti. Così Tel Aviv vuole costringere Hamas a estendere la prima fase della tregua e non passare alla seconda

L’iftar della famiglia Maarouf a Jabaliya foto Apa/Omar Ashtawy L’iftar della famiglia Maarouf a Jabaliya – Apa/Omar Ashtawy

L’Unione europea condanna Hamas perché non asseconda la volontà israeliana di ignorare gli accordi sottoscritti, e così facendo legittima la scelta di Tel Aviv di affamare la popolazione di Gaza. Leggere le prime parole della dichiarazione di Kaja Kallas riportate dal suo portavoce, Anwar al-Anouni, fa venir voglia di stropicciarsi gli occhi dall’incredulità.

L’Alta rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, vicepresidente della Commissione europea «condanna il rifiuto di Hamas di accettare l’estensione della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari potrebbe potenzialmente comportare conseguenze umanitarie».

NON SOLO si ignorano completamente le decine di denunce con cui organizzazioni internazionali, ong, associazioni umanitarie hanno dichiarato che la limitazione degli aiuti da parte di Tel Aviv è già causa di pesanti conseguenze, ma si mette in dubbio anche, rendendolo probabile e non certo, un assunto universale per quanto banale: senza cibo le persone muoiono.

Neanche una parola sul genocidio, sull’utilizzo della fame come arma di guerra, che ha già provocato, insieme ad altre accuse, l’emissione dei mandati di arresto da parte della Corte penale internazionale per Netanyahu e il suo ex ministro della difesa Gallant. Mandati che, d’altro canto, larga parte dell’Ue ha deciso di ignorare.

Eppure, i rappresentanti di governo di Tel Aviv sembrano fare a gara a chi propone le pene più feroci. Non solo il cibo, le medicine, i ripari, si deve tagliare anche l’acqua e l’elettricità, hanno fatto sapere ieri il canale israeliano Kan 11 e il ministro delle finanze Smotrich.

SAREBBERO SOLO alcune delle indiscrezioni sul nuovo piano di «massima pressione» del governo per convincere Hamas a liberare i prigionieri senza alcuna certezza che Netanyahu non riprenda i bombardamenti. L’ex ministro della sicurezza nazionale, il suprematista ebraico Itamar Ben Gvir, che si impegna, con buoni risultati, a stare sempre un passo oltre il baratro dell’orrore, ha dichiarato al Times of Israel che l’esercito dovrebbe bombardare i depositi di aiuti già presenti nella Striscia. Affamare i palestinesi per convincere Hamas ad accettare le proprie condizioni è una formulazione che il governo intero accoglie a braccia aperte.

La cosa che impressiona di più, rimane forse il controllo completo di Gaza da parte di Israele, dei suoi confini, di ciò che entra, di chi esce e del destino di chi rimane. E questo nonostante la presenza internazionale, la missione dell’Unione europea, i militari provenienti da vari paesi (tra cui l’Italia) presenti al valico di Rafah. Tutti rispondono agli ordini di Israele, anche se il prezzo da pagare è altissimo in termini di vite umane.

Intanto, i bombardamenti israeliani e l’attacco dei droni sono diventati più pericolosi da quando è terminata la prima fase del cessate il fuoco. Domenica sei persone sono state uccise dall’esercito. Altre tre ieri tra Rafah e Khan Younis. Diversi i feriti. Dopo la fine della tregua molte zone sono state prese di mira. Sono almeno 116 i palestinesi uccisi negli ultimi 42 giorni, ossia dall’inizio della tregua. I militari dichiarano di colpire «persone sospette», pure quando si tratta di minori e di gruppi di civili.

ANCHE IN CISGIORDANIA la situazione si fa sempre più difficile. Più di 180 case abbattute a Jenin, il 90% della popolazione sfollata, strade, infrastrutture distrutte, acqua, elettricità e cibo tagliati. L’aspetto peggiore è che gli abitanti non sanno se e quando potranno tornare. Altre volte è successo, in passato, distruzioni enormi, bombardamenti, bulldozer che spaccano in due le vie principali e tagliano la rete fognaria. Ma appena l’esercito si ritirava, i palestinesi erano pronti a ricostruire. Questa volta Tel Aviv ha dichiarato che vuole rimanere, con le ruspe ma anche con i carri armati, e che ai palestinesi non sarà permesso di tornare.

Ieri Khaled Abdullah, un palestinese di 40 anni originario di Jenin, è morto nella prigione israeliana in cui era detenuto senza accuse dal 9 novembre 2023. La Società dei prigionieri palestinesi denuncia le «brutali condizioni» di prigionia in Israele. La famiglia ha dichiarato che Khaled non soffriva di problemi di salute prima di essere fermato. Si tratta del 61esimo palestinese a morire nelle prigioni israeliane dal 7 ottobre 2023.

SEMPRE IERI ad Haifa un uomo ha accoltellato alcune persone in attesa alla fermata dell’autobus. L’aggressore, un druso con cittadinanza israeliana, è stato ucciso sul posto da una guardia di sicurezza, che gli ha sparato insieme a un passante armato. Un uomo di 70 anni, palestinese con cittadinanza israeliana è morto in seguito alle ferite riportate.

Un ragazzo di 15 anni è stato ferito in maniera seria ed è stato operato d’urgenza. La famiglia dell’aggressore ha dichiarato che l’uomo soffriva di disturbi mentali e che non era spinto da motivazioni politiche. I media israeliani hanno confermato che si trattava di una persona nota ai servizi sociali.

 

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Pace La Cgil parteciperà, altri ci stanno pensando: «Ma per fare cosa?»

La piazza romana per l’Europa tra adesioni e dubbi La bandiera dell'Unione europea – Ansa

Partita da Repubblica, e dall’Amaca di Michele Serra, la manifestazione «per l’Europa» del prossimo 15 marzo a piazza del Popolo, a Roma, sarà senza bandiere di partito ma presenta diversi punti interrogativi. Le forze politiche e le organizzazioni sociali che si oppongono alla destra di Giorgia Meloni e Donald Trump, insomma rischiano di dividersi attorno ai temi che la proposta sollecita. Ciò non avviene per quel che la convocazione dice, ma piuttosto per quel che almeno finora ha omesso di dire.

SI CHIEDONO ad esempio Marco Mascia, presidente del Centro diritti umani Antonio Papisca e Flavio Lotti, presidente della Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace: «Partiamo dal presupposto che siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è bisogno di più Europa, soprattutto di più Europa ‘politica’. Il punto è: quale Europa ‘politica’ vogliamo? L’Europa che rilancia una folle corsa al riarmo o l’Europa che avvia un negoziato globale per la pace e la giustizia sociale internazionale?». Sono domande che riassumono il sentimento che circola tra molte persone che guardano a quella piazza come prima reazione alla spartizione dell’Ucraina (e anche dell’Europa) tra Trump e Putin ma che considerano troppo, diciamo così, esile e indefinito l’invito a manifestare.

IL RISCHIO è che di fronte alla vaghezza dell’appello che convoca la piazza romana, l’appuntamento diventi teatro per operazioni politiche di cabotaggio più piccolo rispetto allo scenario mondiale di cui si vorrebbe parlare. In molti, ad esempio, hanno notato che sia il sindaco di Milano Beppe Sala che l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate, entrambi impegnati a costruire un perno moderato del futuro centrosinistra, sono stati tra i primi ad aderire. O che Carlo Calenda, annunciando la sua partecipazione, elencbhi i dieci punti per costruire una «grande potenza europea». Oppure, ancora, che agli occhi di alcuni l’evento del 15 marzo diventi occasione per distinguersi dalla piazza del 5 aprile convocata dal M5S anche per protestare contro le spese militari al posto di quelle sociali. Il sospetto che tutto si riduca a una contesa interna al centrosinistra, ancora, viene anche quando dalla piazza si sfilano quelli di Forza Italia, che pure per bocca di alcuni sindaci avevano comunicato la disponibilità ad esserci.

TUTTAVIA, IL TEMA che appare più divisivo è: si starà in piazza per un’Europa di pace o per una specie di «Europe First»? Se ne parla anche nel gruppo parlamentare del Partito democratico, che pure ha sposato da subito l’idea per bocca di Elly Schlein. «Noi a una manifestazione per l’Europa partecipiamo volentieri – dice al manifesto Paolo Ciani, che è affiliato ai dem ma che è anche segretario di Demos, soggetto politico vicino alla Comunità di Sant’Egidio – Ma vogliamo aggiungere che siamo per il no alle armi. Siamo per l’Europa dei padri fondatori che si è unita in nome del ‘Never again’ all’indomani della seconda guerra mondiale. Quindi ci saremo, sì. Ma parteciperemo con le nostre proposte, a partire dal no alla modifica della legge 185 sul commercio di armi».

I MODI, LE FORME e l’eventualità della manifestazione sono oggetto di valutazione in diversi ambiti. Ieri la segreteria nazionale di Sinistra italiana ha esaminato la faccenda, sul piatto l’ipotesi di avviare un’interlocuzione con i promotori (formalmente saranno i sindaci, con Roma dovrebbe farsi carico della segreteria organizzativa) anche per ottenere ulteriori chiarimenti. «L’Europa, se esiste, la pianti con la retorica militarista – afferma Nicola Fratoianni – Assuma un’iniziativa politica per la pace e un’iniziativa diplomatica, quella che non ha mai fatto in questi tre anni. L’Europa cambi passo è l’unica possibilità di recuperare un ruolo e un protagonismo». Ne discutono Arci e Anpi, con la consapevolezza che molta gente attraverserà piazza del Popolo e che l’evento intercetterà il sentimento anti-Trump. Dopo il comunicato della segretaria generale Cisl Daniela Fumarola, è arrivato il sì di Pierpaolo Bombardieri per la Uil: «È il momento di mettere da parte la zavorra dell’austerità e superare la logica del nuovo patto di stabilità. Se verranno scorporate le spese per la difesa, dovrà avvenire lo stesso con la sanità, gli investimenti e le spese sociali: le persone vanno difese da ogni punto di vista». In serata, giunge anche l’annuncio di «partecipazione» della Cgil. Con queste parole: «Rifiutiamo un’idea di Europa che propone politiche che riaffermano la guerra come strumento normale di regolazione dei conflitti».

 

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Nella foto: Donald Trump e Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca poco prima del colloquio ripreso dai media che ha fatto il giro del mondo via Getty Images

Oggi un Lunedì Rosso dedicato ai luoghi sicuri.

Il racconto della prima udienza della Corte di giustizia dell’Ue chiamata a esprimersi sulla direttiva per il diritto all’asilo: possono gli stati considerare sicuri i paesi di provenienza dei migranti nonostante non lo siano per alcune categorie di persone?

Luoghi insicuri per eccellenza e per decreto, sono le sette periferie designate dal governo come campi di applicazione del “modello Caivano”, tra queste il Quarticciolo, estremità est della capitale, dove oltre all’insicurezza però si intravedono forze civili di cambiamento e cooperazione.

Luoghi da cui molti ancora vogliono fuggire, sono quelli dolci e amari del meridione italiano. Ne parla Brunori Sas (al secolo Dario Brunori) raccontando la sua musica e la Calabria con lo sguardo di chi la abita. 

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L'incontro tra 19 leader + Zelensky + Nato Un piano a trazione franco-britannica "per fermare i combattimenti. Poi discuteremo quel piano con gli Stati Uniti e lo porteremo avanti insieme”, in caso di cessate il fuoco, per dispiegare truppe di pace. Magari sotto l'egida della Turchia, E non senza il sostegno di Trump. Starmer: riarmo massiccio con i fondi russi congelati. Bilaterale dei "pontieri" con Meloni, che insiste sul vertice con gli Usa

Il premier britannico Starmer al centro con Macron e Zelensky al summit di Londra Il premier britannico Starmer al centro con Macron e Zelensky al summit di Londra – Ap

Con “boots on the ground, planes in the air”, l’Europa sosterrà Kiev. Armandosi, sia militarmente che, soprattutto, di buona volontà. Con i fondi russi congelati. Con ulteriori sanzioni alla Russia. Ma giammai senza il forte sostegno degli Stati Uniti. E non accetterà un accordo come quello di Minsk “che i russi possono violare facilmente.”

Lo ha detto domenica il premier britannico Keir Starmer  alla fine del summit londinese da lui convocato dopo il trauma collettivo appena vissuto dall’ex-Occidente a Washington. Vincere la pace insomma, come si diceva da queste parti nel 1946. Gli fa eco Ursula von der Leyen con un’acuminata metafora: l’Unione europea deve “urgentemente” riarmarsi e aiutare l’Ucraina a trasformarsi in un “porcospino d’acciaio” che si riveli “indigesto a futuri invasori” come la Russia.

Ancora un po’ sbigottiti dal reality shit-show allo studio ovale fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky venerdì,  i 19 leader europei sono accorsi al summit denominato “Rendiamo sicuro il nostro futuro” nella neoclassica cornice di Lancaster House. Oltre allo stesso Zelensky, Ursula von der Leyen, Macron e a Giorgia Meloni erano presenti i leader di Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Spagna, Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca e Romania.

C’erano anche il segretario generale della Nato Mark Rutte, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, e due uscenti, il cancelliere tedesco Scholz e il canadese Justin Trudeau. Tutti invitati da Starmer – che già sabato aveva accolto il presidente ucraino con calore manifesto nel tentativo di metabolizzare il recente trauma collettivo e concedendogli l’onore di un’udienza col monarca (su desiderio di Zelensky; i due si sono fatti fotografare nel tardo pomeriggio) – e che più di ogni altro leader europeo è ostaggio della Casa Bianca.

Si sa che le priorità dei partecipanti, a onta della proiettata unità, sono assai sfilacciate. Per questo a prospettarsi è la ben nota Europa a due velocità, stavolta in materia di difesa contro la minaccia russa. Secondo il piano delineato da Starmer, la Francia e il Regno Unito si impegneranno nella costruzione di una “coalizione di volenterosi” (riemerge da fondali limacciosi questa formula già screditata dall’invasione dell’Iraq) che offra garanzie di sicurezza all’Ucraina nel caso

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Meloni a Londra da Starmer: "Italia e Regno Unito costruiscano ponti. C'è un rischio da evitare"

Sull’uscio del 10 di Downing street la attende Keir StarmerGiorgia Meloni, di bianco vestita, saluta e si volta: la sua attenzione è attirata da un movimento.

‘’È uno dei famosi gatti…’’, dice il premier britannico indicando un felino. ‘’Io ne ho due’’, replica la presidente del Consiglio. Sorridono, ma neanche troppo. Il leader laburista, assieme a Emmanuel Macron, sta costruendo un percorso europeo alternativo a Donald Trump, che non prevede la mortificazione di Volodymyr Zelensky, ma una ‘’pace duratura e giusta’’.

Ma lo sta facendo bruciando da giorni i tempi delle altre cancellerie, e quindi spiazzando Roma. La premier non ha voglia di accodarsi all’Eliseo, dunque neanche agli inglesi che lavorano fianco a fianco con i francesi, perché non intende sfidare il tycoon.

Fuori da Downing Street sventolano bandiere ucraine, ma anche europee: il ciclone Trump fa miracoli. Quando Meloni siede nello studio di Starmer, pronuncia alcune frasi di circostanza sull’Ucraina, che ricalcano l’approccio degli ultimi giorni e delle ultime ore: più che schierarsi con Zelensky o contro Putin, sceglie di appellarsi all’unità transatlantica.

‘’Penso che sia molto importante evitare il rischio che l'Occidente si divida. Ho proposto una riunione tra gli Stati Uniti e i leader europei perché se ci dividiamo saremo tutti più deboli. E penso che in questo il Regno Unito e l'Italia possano svolgere un ruolo importante nella costruzione di ponti".

 

la diretta

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