Guerra Tarquinio verso il no alla risoluzione di Strasburgo. Picierno: basta cianfrusaglie pacifiste. La linea rossa della segretaria: no alle armi in terra russa. Ma la gran parte dei socialisti dice sì. Anche Forza Italia isolata nel Ppe che vuole autorizzare Kiev a colpire obiettivi anche non militari
L'eurodeputato Pd Marco Tarquinio – Ansa
Non ci sono solo le divisioni nel campo largo sull’Ucraina. Ogni volta che si vota sulle armi a Kiev, a Roma o a Strasburgo, nel Pd nasce uno psicodramma. Figlio anche di una ambiguità di fondo di Schlein tra il sì al sostegno militare a Zelensky e la continua evocazione di uno sforzo diplomatico dell’Europa.
CHE NON SI VEDE. Anzi. In vista del voto sulla nuovo risoluzione previsto per giovedì, all’eurocamera ormai c’è una larga maggioranza (compresa la gran parte dei socialisti) a favore dell’utilizzo delle armi occidentali in territorio russo. Nella mozione votata a luglio ci si fermò a «obiettivi militari» in Russia, stavolta la definizione si potrebbe addirittura allargare. Togliendo ancora un altro paletto all’esercito di Kiev.
L’unica magra consolazione per i dem è che il clima bellico che si respira a Strasburgo complica la vita anche a due dei partiti di maggioranza, Fdi e Fi. Gli azzurri, in particolare, sono alle prese con la forte distanza tra la linea ufficiale del Ppe (che spinge per allargare l’uso delle armi occidentali in Russia anche a obiettivi non militari) e la posizione di Tajani, che ripete ogni giorno che l’Italia non intende entrare in guerra con Mosca. Due mesi fa Fdi si astenne sulle armi in Russia, stavolta potrebbe fare il bis: anche per Meloni questo è un nodo decisamente problematico, vista l’opinione dei suoi elettori.
NON C’È DUBBIO PERÒ che il Pd sia, tra i partiti italiani, quello più diviso: da una parte i pacifisti Marco Tarquinio e Cecilia Strada, che a luglio si astennero sulla risoluzione finale, e votarono no all’utilizzo delle armi in territorio russo insieme al grosso del gruppo dem; dall’altra Pina Picierno, che a luglio si astenne (con Elisabetta Gualmini) per non dire no alla possibilità di colpire la Russia e ora potrebbe votare addirittura a favore.
L’ha anticipato con una lettera a Repubblica in cui ha definito «un errore» la posizione del governo italiano e del Pd, e ha detto che certi «distinguo» sono l’antipasto di una «resa soft» a Putin, citando infine Altiero Spinelli che negli anni Ottanta aveva coniato l’espressione «cianfrusaglie pacifiste» in una polemica contro la Fgci. «La negazione del permesso di usare le armi italiane su territorio russo rappresenta un messaggio di distensione al criminale di guerra Putin», il pensiero della vicepresidente dell’europarlamento. Che precisa: «La mia è la posizione del gruppo socialista».
VERO, E INFATTI ORA IL CERINO è nella mani di Schlein. Che non può permettersi un cambio di linea sull’Ucraina, ma non intende certo scavalcare il governo a destra sul fronte bellicista. E dunque ha suggerito ai suoi parlamentari di attestarsi sulla linea di luglio: «Sostegno a Kiev ma no all’utilizzo di armi italiane in Russia». «Non siamo in guerra con Mosca», ribadisce il fedelissimo Sandro Ruotolo, eurodeputato. «Questa per noi è una linea rossa da non oltrepassare», gli fa eco Alessandra Moretti.
Mentre Tarquinio spera che la risoluzione finale (frutto di un negoziato tra i gruppi principali) contenga almeno qualche riferimento a un negoziato di pace, ed è pronto anche a bocciare il testo (come lui anche Cecilia Strada) se dovesse passare la richiesta di un utilizzo indiscriminato delle armi contro la Russia. Il resto del gruppo dem, volente o nolente, voterà il documento finale perché non farlo significherebbe un cambio di linea sulla guerra che Schlein non può e non vuole imporre, nonostante l’opinione della maggioranza degli elettori (solo il 44% è a favore delle armi a Kiev secondo un sondaggio di Ilvo Diamanti, ma solo il 23% dei votanti dem è favorevole all’aumento delle spese militari, il dato più basso tra tutti i partiti). Quanto a Picierno, la sua mossa ultrabellicista viene interpretata dentro la maggioranza che sostiene Schlein come un atto ostile: «Da Guerini a Gentiloni c’è un tam tam sulle armi che punta a indebolire la segretaria».
SUL FRONTE COMMISSIONE UE, i dem tirano un sospiro di sollievo per il downgrade a cui von der Leyen dovrebbe sottoporre il commissario italiano Raffaele Fitto: non avrà più la delega all’Economia, quella più pesante (che era stata ipotizzata), ma quella alla Coesione. Il Pd annuncia un interrogatorio molto duro sulla fedeltà europeista di Fitto quando, dopo metà ottobre, i commissari saranno esaminati a Bruxelles. Il capodelegazione Pd Nicola Zingaretti ricorda che, nel 2019, «dopo la nomina di Gentiloni a commissario (voluta dal governo Conte 2, ndr) Meloni organizzò una manifestazione di protesta davanti alla Camera». E si domanda: «Chi sono gli anti-italiani?»