Immigrazione La giustizia, come scritto in tutte le aule giudiziarie, dovrebbe essere uguale per tutti
– Foto LaPresse - Matteo Corner
Accanto alle misure che colpiscono più direttamente, comprimendoli, taluni diritti fondamentali dei migranti (come la libertà personale e il diritto d’asilo) esistono altre misure che potremmo chiamare di contorno, volte a rendere oltremodo difficile la vita dei migranti che vogliano e, per qualche congiuntura favorevole, riescano a far valere i propri diritti dinnanzi a un giudice.
La giustizia, come scritto in tutte le aule giudiziarie, dovrebbe essere uguale per tutti. Ma in alcuni frangenti agli ultimi – proprio coloro che ne avrebbero più bisogno – la giustizia è garantita attraverso procedimenti speciali, difficilmente compatibili con i principi costituzionali che disciplinano la magistratura e sanciscono il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale. È ciò che accade proprio con riferimento ai procedimenti riservati ai migranti e richiedenti asilo, spesso incentrati su presunzioni (come quella della provenienza da Paesi di origine sicura) e sul contingentamento dei tempi processuali che rendono particolarmente difficile far valere in giudizio le proprie ragioni. Anche quando si tratterebbe di buone, se non ottime, ragioni. Insomma, quella che colpisce i migranti è spesso una discriminazione al quadrato: fuori e dentro il processo.
Proprio nei giorni in cui il nostro governo avanza spedito verso la riconversione dei centri albanesi e il loro primo utilizzo, è bene ricordare due vicende giudiziarie che – ancora una volta – riconoscono anche ai migranti il diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva. La prima vicenda è rappresentata dal giudizio – attualmente in corso dinnanzi alla Corte di giustizia europea – per l’interpretazione della definizione di Paesi di origine sicuri stabilita dal diritto dell’Unione e applicata dai nostri giudici. Nell’ambito di quel giudizio, l’Avvocato generale della Corte di giustizia ha appena formulato le sue conclusioni che rappresentano un indirizzo – seppur non vincolante – per la futura decisione della Corte. Al di là della questione interpretativa (se quella definizione tolleri o meno eccezioni territoriale e personali), l’aspetto rilevante in questa sede è che le conclusioni hanno ribadito esplicitamente che gli Stati non possono sterilizzare del tutto il controllo giurisdizionale sui presupposti della domanda, neanche tramite un atto legislativo. Anche i migranti – ecco il punto – hanno diritto a un giudice e la politica non può certo negarglielo.
La seconda vicenda è invece rappresentata dalla recentissima sentenza numero 39 del 2025 della nostra Corte costituzionale. Una sentenza apparentemente tecnica e per addetti ai lavori, ma che ribadisce l’importanza dei principi costituzionali in materia processuale. Il decreto flussi, tra le altre cose, aveva modificato la disciplina del processo in Cassazione sulla convalida del trattenimento dello straniero espulso o richiedente la protezione internazionale, estendendo a questo giudizio il procedimento già previsto in materia di mandato d’arresto europeo consensuale (un procedimento speciale, contingentato nei tempi e che non prevede, tra l’altro, l’intervento dei difensori). Se giustificabile per il mandato d’arresto europeo consensuale, questo procedimento è stato invece ritenuto illegittimo per quanto concerne il trattenimento degli stranieri: si tratta infatti di un modello processuale – osserva la Corte – che «sconfina nella manifesta irragionevolezza», risultando così «inidoneo ad assicurare il confronto dialettico tra le parti». Anche i migranti – ecco il punto – hanno diritto a un «giusto processo» e la politica non può certo sottrarglielo.