ANTICIPAZIONI Un estratto da «Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale». Il volume, edito da Feltrinelli, sarà in libreria a partire dal 15 aprile
I poteri che contano, quelli il cui esercizio selvaggio sta minacciando il futuro dell’umanità, si sono trasferiti irreversibilmente fuori dei confini degli Stati nazionali e perciò della sfera del loro diritto e del loro governo. Ed è cambiata, conseguentemente, la natura delle aggressioni più gravi al diritto e ai diritti, le quali sono tutte di carattere globale. Ne consegue l’inadeguatezza del costituzionalismo odierno a fronteggiare queste aggressioni. A causa dei loro limiti spaziali, i governi nazionali e le loro costituzioni sono oggettivamente impotenti di fronte alle catastrofi planetarie in atto, destinate tutte, peraltro, ad aggravarsi.
NON È SOLO una questione di malgoverno, o di egoismi nazionali, o di volontà di sopraffazione politica o economica e neppure di semplice miopia delle forze politiche. È una questione drammaticamente oggettiva, ben più di fondo di quella soggettiva del presentismo e del localismo. Anche volendo, nessun attore della politica o dell’economia mondiale, per quanto potente – nessuno Stato pur dotato dei massimi armamenti militari, nessuna grande impresa multinazionale pur gestita da filantropi –, potrà mai affrontare, da solo, i problemi del riscaldamento climatico, del disarmo mondiale e delle disuguaglianze planetarie.
Se l’umanità vuole sopravvivere, poteri globali e aggressioni globali impongono un salto di civiltà, cioè un’espansione del costituzionalismo oltre lo Stato, all’altezza dei poteri da cui provengono le minacce al nostro futuro. È chiaro che questa espansione è possibile solo sulla base di un nuovo contratto sociale di carattere globale tra tutti gli Stati e i popoli del pianeta che istituisca, in forma vincolante, le garanzie universali della pace, dei diritti fondamentali di tutti e dei beni vitali della natura. È questo l’ultimo, decisivo passo che va compiuto nella storia del costituzionalismo e che, da quei principi di pace e di giustizia, se presi sul serio, è logicamente implicato e giuridicamente imposto.
Purtroppo la politica è ben lontana dal compiere questo passo. L’aspetto più insidioso e drammatico delle catastrofi in atto consiste nella cecità dei nostri governi e delle nostre opinioni pubbliche. (…) Nonostante i cataclismi ogni anno più gravi e devastanti, il mutare delle stagioni, i grandi caldi, gli incendi e le grandini, le siccità e le alluvioni, lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari e il prosciugarsi dei fiumi e dei laghi, quanti potrebbero accordarsi e concordemente vincolarsi per fronteggiare le sfide globali non stanno facendo nulla, se non varare, come in Italia, leggi punitive contro i giovani che con le loro proteste tentano di aprire loro gli occhi.
EPPURE UNA LEZIONE avremmo dovuta trarla da una grave emergenza che proprio in questi anni ha colpito tutto il mondo e ha mostrato tutta la nostra comune fragilità e interdipendenza: la pandemia di Covid-19, improvvisamente esplosa nel febbraio 2020. Il virus non conosce confini e in poche settimane ha invaso tutto il pianeta, senza distinzioni di nazionalità e di ricchezze. Ha provocato più di 600 milioni di contagi e 7 milioni di morti, ha paralizzato e sconvolto l’economia, ha alterato la vita quotidiana di tutti gli abitanti della Terra, ha reso evidente, con il suo terribile bilancio quotidiano di ammalati e di deceduti, la mancanza di istituzioni globali di garanzia della salute. (…)
UNA SIMILE TRAGEDIA avrebbe dovuto offrire due insegnamenti, entrambi vitali. Essa ha mostrato, in primo luogo, il valore insostituibile della sanità pubblica e del suo carattere universale e gratuito, che è la sola garanzia dell’uguaglianza nel godimento del diritto alla salute quale diritto fondamentale di tutti. Solo la sfera pubblica è in grado di investire fondi nella prevenzione e nella gestione delle epidemie e di pianificare – nell’interesse di tutti, senza privilegi né discriminazioni – le prestazioni sanitarie, al di là delle contingenti convenienze economiche che condizionano invece la sanità privata. In secondo luogo, avrebbe dovuto trarsi, dalla pandemia, l’insegnamento del carattere globale di tutte le catastrofi che minacciano il nostro futuro, e perciò della necessità di risposte parimenti globali. (…) Invece, non abbiamo imparato assolutamente nulla.
AL CONTRARIO si è sviluppata una generale rimozione, o peggio una diffusa negazione della pericolosità del virus e della necessità di misure di difesa – dall’obbligo delle mascherine alle restrizioni della libertà di circolazione – e poi perfino del valore dei vaccini. Immediatamente i populismi di tutto il mondo, sia al governo che all’opposizione – in Italia e in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Brasile –, si sono dapprima avventati contro le misure prescritte dalla scienza medica, e poi hanno dato voce e rappresentanza ai negazionisti per raccattarne i voti. Si è rivelato, in questa vicenda, l’alto tasso di irrazionalità – la sfiducia nella scienza e nella ragione e la diffidenza e l’ostilità per la sfera pubblica – che forma l’oscuro sottofondo dell’anti-politica su cui fanno leva, in particolare a destra, tutti i populismi. In Italia, dove il virus si è diffuso prima e più duramente che in qualunque altro paese occidentale, costringendo a risposte severe ma necessarie, la destra negazionista andata al potere è giunta ad approvare l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia da parte del precedente governo, al solo scopo di censurarne le misure, senza le quali il numero dei nostri morti si sarebbe raddoppiato. Se questa è stata la reazione del nostro ceto politico e di una parte non piccola della pubblica opinione a un fenomeno clamorosamente evidente come è stata la pandemia, che per due anni ci ha chiusi nelle nostre case e ha minacciato la vita di tutti, è facile comprendere la cecità e l’imprevidenza di fronte alle altre ben più gravi catastrofi globali, assai meno visibili e impellenti, che incombono sul nostro futuro.
LE RAGIONI di questa incoscienza – ecologica, nucleare e umanitaria – e della nostra insensibilità morale sono molteplici. C’è il negazionismo più o meno consapevole di verità troppo scomode, comunque alimentato dall’avversione alla sfera pubblica. C’è la nostra indifferenza, generata anche dall’«idea di uomo» che, come ha scritto Joseph Stiglitz, «sta alla base dei modelli economici prevalenti, ossia un individuo calcolatore, razionale, egoista, che pensa solo a se stesso e non lascia spazio alcuno all’empatia, al senso civico, all’altruismo»: un essere orribile, cui non vorremmo assomigliare e che non vorremmo frequentare e che, tuttavia, viene proposto come modello di «razionalità».
C’è poi un altro fattore dell’impotenza e del disimpegno: una sorta di regressione infantile – anti-politica, anti-liberale, anti-sociale, anti-illuminista –, a sostegno della deresponsabilizzazione e della delega in bianco ai poteri, quali che siano, delle decisioni che contano sul nostro futuro. È il disimpegno illustrato da Kant nel suo saggio sull’illuminismo del 1784. «L’illuminismo», egli scrive, «è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità», cioè dall’«incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro». Sono questa minorità e questa passivizzazione che vengono oggi promosse dal crollo della partecipazione politica.
«È COSÌ COMODO essere minorenni!» prosegue Kant. «Non ho bisogno di pensare, purché possa solo pagare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione». Questi «tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sui loro simili minorenni» mostreranno loro – «dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici» e impedito loro di «muovere un passo fuori della carrozzella per bambini in cui li hanno imprigionati» – «il pericolo che li minaccia qualora cercassero di camminare da soli». (…) È su questa mancanza di maturità che si basa l’indisponibilità a guardare la realtà, a prendere atto dei suoi orrori e dei suoi pericoli, a pensare il futuro come un possibile non-futuro, a concepire come possibile la scomparsa del genere umano.
Questa cecità è oggi il principale nemico dell’umanità. Essa è presente soprattutto tra i nostri governanti, più di tutti ammalati di presentismo e localismo, e impone perciò alla cultura giuridica e politica un aggiornamento radicale dei suoi apparati concettuali, onde consentire di vedere la realtà e di pensare le possibili soluzioni dei problemi. Solo se si mostrerà che un’alternativa allo stato attuale del mondo è possibile, pur se difficile, e che essa dipende dall’impegno di tutti, potranno prodursi un risveglio della ragione e lo sviluppo di una nuova energia costituente.
SCHEDA. Le nuove regole della giustizia
In «Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale» (Feltrinelli, pp. 336, euro 27) Luigi Ferrajoli esplora la necessità di un nuovo ordine giuridico internazionale che possa limitare il potere degli Stati e delle istituzioni sovranazionali. L’autore riflette sulla crisi della sovranità statale, l’erosione delle democrazie nazionali e la necessità di porre le basi di una vera Costituzione globale che possa vincolare il potere politico ed economico alle regole di giustizia, e così promuovere l’uguaglianza, i diritti e la pace.