Trump e i mercati Manca, anche nella “più grande democrazia del mondo”, la costruzione di una forza di opposizione che non si accontenti del conflitto tra destra politica e destra economica
Un cartello contro i dazi spicca nella manifestazione di New York del 5 aprile contro l'amministrazione Trump – Katie Godowski/MediaPunch/IPx
Donald Trump “sospende” i dazi per novanta giorni e i mercati finanziari reagiscono al rialzo. Gli “spiriti animali” tornano a ruggire, i listini ancora aperti assorbono il farmaco miracoloso e schizzano all’insù. Gli altri seguiranno. Una vittoria per l’economia mondiale o, almeno, una tregua per un sistema economico globale in affanno, schiacciato tra la necessità di cambiamento e la ricerca del minimo rischio.
Rimane fermo l’obiettivo americano puntato sulla Cina, con l’asticella dei dazi che si alza e chiama una risposta da Pechino, senza intravedere la fine perché non c’è nulla di più facile e disastroso della ritorsione reciproca. Come con una sostanza stupefacente, se ne chiede sempre di più. Lo scontro prosegue anche sul piano militare, con avvisaglie di minaccia reciproche. Con la tensione che cresce, i due unici veri contendenti globali non fanno nulla per nascondere la linea Maginot, oltre la quale non c’è che la guerra. Tregua fragile e passeggera, quindi.
Anche una delle persone più potenti del mondo – circondato da altri potenti – deve piegare la testa davanti alla reazione della finanza. La tregua dei novanta giorni ci dice prima di tutto che, ancora una volta, sulla politica comandano i mercati finanziari. Non serve o non aiuta il ricordo della foto con i super ricchi schierati come picchetto d’onore al cospetto del neo-eletto Trump.
Il capitale finanziario non ha amici, solo interessi ed esigenze di accumulazione, legate a singoli e gruppi che teorizzano e praticano esplicitamente il superamento della democrazia. La politica, se serve, si usa. In caso contrario la si fa tornare nei ranghi, magari permettendole di salvare la faccia grazie a più intense sanzioni contro la Cina. Il capitale tecno-finanziario nutre la forza della politica e, se crede, gliela può togliere.
Anche quando la continuità tra destra economica e destra politica è cristallina, quasi antropologica, anche quando i riferimenti culturali della nuova élite predatoria paiono più che condivisi e trasversali da Donald Trump, fino a Elon Musk, Peter Thiel e Jeff Bezos, gli interessi oggettivi sono in ultima istanza determinanti.
Non c’è da gioirne. Un marxismo rovesciato, dove il motore ultimo della storia diventa la finanza, invece della classe universale. La destra politica è sconfitta solo dalla destra economica. Non è la prima volta e, per certo, non sarà l’ultima.
Accadde, qui in Italia, anche con Berlusconi. La narrazione pubblica che la destra utilizza per ingraziarsi un ceto medio e popolare arrabbiato (“i dazi ci proteggono”) non può permettersi il passaggio all’atto. L’azione deve rimanere un fantasma, un non-agito declamato senza intermediazioni di sorta, inconsistente ed etereo, ma privo di reali conseguenze per il dominio del capitale tecno-finanziario.
Le decisioni di politica economica possono tagliare la sanità, mettere a rischio i diritti elementari, buttare per strada migliaia di persone, attaccare le Università. Ma non possono mettere a repentaglio i meccanismi finanziari.
Devono rivolgersi contro i deboli, non contro i più forti. Sono puri vocabolari di motivi utilizzati nell’arena pubblica per posizionarsi, identificarsi e riconoscere, creare confini e appartenenze.
Il sovranismo trumpiano mostra qui tutto il suo connotato di classe. L’azione, quella vera e che lo slogan politico “Make America Great Again” dovrebbe premettere, deve rimanere inespressa. Non perché, appunto, tema la reazione popolare o quella organizzata da una stanca opposizione che appare priva di orizzonte strategico.
Le proteste nelle città americane, da sole, non avrebbero raggiunto il medesimo effetto dei mercati finanziari. I comizi di Bernie Sanders nelle piazze sarebbero stati ignorati o repressi. Pura liturgia, priva di dottrina e visione. Sono stati i mercati finanziari a dettare la riscrittura dell’agenda politica di Trump. Manca, anche nella “più grande democrazia del mondo”, la costruzione di una forza di opposizione politica che non si accontenti del conflitto tra destra politica e destra economica. Non una bella notizia, per noi e per la democrazia.