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L’Unione può attendere. Da tempo incapace di esprimersi, se non per reiterate formule generiche, sulla guerra che ne sfiora i confini e su quella che da mesi insanguina la Palestina e incombe sull’intero […]

Legittimando  la destra

 

Da tempo incapace di esprimersi, se non per reiterate formule generiche, sulla guerra che ne sfiora i confini e su quella che da mesi insanguina la Palestina e incombe sull’intero Medio oriente, l’Unione europea aspetta, guarda e si preoccupa.

Aspetta le elezioni americane, aspetta l’evolversi della situazione sul terreno, aspetta gli umori dei mercati, scruta le oscillazioni dell’opinione pubblica e barcolla tra le forze contrastanti che la attraversano. Ogni governo, prima di tutto, dietro ai suoi guai secondo i suoi tempi e il proprio istinto di autoconservazione. L’Unione può attendere.

La maggioranza di centrosinistra guidata da Ursula von der Leyen, che formalmente governa l’Unione, è poco più che una messa in scena, una finzione istituzionale, un estenuante esercizio di retorica cui contribuiscono sostanzialmente i mirabolanti suggerimenti di rilancio, del tutto slegati dalle realtà politiche, dell’ex governatore della Bce. La realtà è un’altra e ben più ruvida. Alla fine di questa tormentosa estate conservatori, nazionalisti, estreme destre e postfascisti governano di fatto il Vecchio continente con l’eccezione, sotto assedio e per ora, della penisola iberica.

Dell’Italia inutile dire. In Svezia e Finlandia le maggioranze di governo si appoggiano sull’estrema destra nazionalista. Nei Paesi bassi tutto ruota intorno al partito xenofobo di Wilders. Ad est solo il Pis polacco ha dovuto sloggiare dal governo, ma il suo sistema di potere, costruito negli anni, si conserva perfettamente e lega le mani alla coalizione liberale uscita vincitrice dalle elezioni. Per il resto regimi nazionalisti e autoritari.

Ma il vero mutamento decisivo si è prodotto nei due stati chiave d’Europa: Francia e Germania. A Parigi il presidente Macron, che per anni ha venduto la sua figura indigesta come ultimo baluardo contro l’estrema destra, impone ora un governo conservatore del tutto dipendente dal Rassemblement national che per suo tramite potrà veicolare le proprie istanze politiche. Per Le Pen le porte sono state aperte.

In Germania l’influenza dell’estrema destra non è certamente meno insidiosa solo perché indiretta. L’exploit di Afd in Sassonia e Turingia, nonché le imminenti temutissime elezioni in Brandeburgo, hanno spinto il governo di Berlino a una draconiana stretta sulla politica migratoria, alla moltiplicazione dei paesi considerati sicuri con relative restrizioni del diritto d’asilo, alla facilitazione dei respingimenti e delle espulsioni legate all’accordo di Dublino. Fino all’attuale sospensione, dopo l’attentato islamista di Solingen, degli accordi di Schengen con la reintroduzione delle frontiere intraeuropee della Germania (diverse delle quali da tempo già riattivate).

Il respingimento dei richiedenti asilo si scontra però inevitabilmente con il diritto comunitario. Per ricorrere a questa misura estrema bisognerebbe dimostrare concretamente una grave minaccia, altrimenti non fronteggiabile, alla sicurezza del paese, un vero e proprio stato di emergenza. Cosa tutt’altro che realistica, anche se la ministra degli interni Faeser ci sta provando. Del resto, essendo del tutto evidente che nessuna di queste misure possiede una qualche efficacia concreta nella profilassi del terrorismo, quel che conta è il loro valore propagandistico rivolto agli elettori in esodo verso l’Afd. Ma anche questa funzione si è spesso dimostrata in passato piuttosto inefficace quando non controproducente. Non potendosi del tutto sostituire al radicale appeal della destra estrema, le svolte securitarie “costituzionali” finiscono perlopiù col legittimarla.

Se il “cordone sanitario” francese nei confronti del Rassemblement national si è rivelato una miserabile truffa, il “muro tagliafuoco” tedesco ancora regge nei confronti dell’Afd e dei suoi esponenti politici, ma non è affatto impermeabile ai contenuti e agli umori che questo partito veicola. L’influenza delle posizioni di destra sull’attività di governo è così destinata a crescere e a spostarne progressivamente l’asse.

Tutto questo non potrà che riflettersi, presto o tardi, sui rapporti di forze nelle istituzioni dell’Unione europea. Visto il tasso di nazionalismo che ormai vi circola, fino a quando terranno quelle norme, quelle garanzie e quelle protezioni che oggi arginano le politiche xenofobe e gli egoismi nazionali? E, fino a quando le componenti socialdemocratiche ed ecologiste dell’attuale maggioranza Ursula non saranno sostituite da forze di tutt’altro segno decise a cambiare radicalmente i connotati dell’Unione? Uno scontro già va delineandosi: socialdemocratici, verdi e liberali diffidano von der Leyen dall’includere esponenti della destra Ecr in posizioni di peso nel suo governo, ma si tratta di forze indebolite e in grave difficoltà il cui potere condizionante è in evidente declino. Mentre non sono un mistero, d’altra parte, gli appetiti di destra che da tempo circolano nel Ppe. In un simile contesto la sfrontata giravolta di Macron può fare scuola