Migliaia di lavoratori dell’automotive invadono Roma per lo sciopero generale del settore. De Palma, Fiom: “Eccoci qui, è ora di riprenderci il potere”
Un fiume colorato ha attraversato il centro di Roma. Migliaia di metalmeccanici sono arrivati nella Capitale da ogni parte d'Italia per denunciare le grandi difficoltà che sta attraversando l'automotive, in occasione dello sciopero generale del settore indetto da Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil. Un comparto strategico per l'Italia, che continua ad essere il secondo Paese manifatturiero d'Europa (pesa l'11 per cento del Pil).
Una punteggiata di bandiere rosse, verdi e blu , striscioni e fumogeni, cori manifestazione e canzoni. Il corteo è partito poco prima delle ore 11 da piazza Barberini, imboccando poi via Sistina per concludersi in piazza del Popolo, dove hanno parlato numerosi delegati sindacali, ospiti internazionali ei segretari generali delle tre sigle metalmeccaniche.
L'industria automobilistica si trova nel mezzo del percorso verso la transizione all'elettrico e necessita di scelte strategiche importanti. Scelte che coinvolgono la Commissione Europea, il governo italiano e Stellantis . A preoccupare è soprattutto la situazione dell'ex Fiat: la produzione nel 2024 è in forte calo, l'utilizzo degli ammortizzatori sociali sta crescendo ovunque e prosegue la strategia di riduzione del numero di dipendenti attraverso lo strumento degli incentivi all'esodo.
“In un'assemblea in piazza a Torino, assieme alle lavoratrici e ai lavoratori, avevamo detto che senza risposte da Stellantis, senza risposte dal governo, avremmo scioperato e manifestato a Roma. La nostra parola in assemblea vale più di una firma: eccoci qui”. È con queste parole che il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma ha iniziato il comizio conclusivo della manifestazione di Roma.
“In questi anni – ha proseguito – pensavano di averci divisi, frantumati, cancellati: i lavoratori dell'industria e dell'automotive erano quasi diventati invisibili. I riflettori erano per gli amministratori delegati e per i presidenti, vedevamo ogni volta i politici sgomitare per avere un selfie con loro. Ma le auto non esistono senza chi le progetta, le assembla, le costruisce, le produce: senza prodotto non c'è alcun profitto per le aziende”.
De Palma ha rimarcato che “sono passati 30 anni dall'ultimo sciopero dell'automotive: oggi abbiamo svuotato le fabbriche di Stellantis e della componentistica. E abbiamo riempito piazza del Popolo, che possiamo ribattezzare ‘piazza del Popolo delle metalmeccaniche e dei metalmeccanici’. Ma la riuscita di questo sciopero non è frutto dei segretari generali o dei funzionari, bensì del lavoro costante e della credibilità che il sindacato e i suoi delegati hanno dentro i luoghi di lavoro”.
Il leader Fiom ha poi sottolineato che questo sciopero è “riuscito a unire tutti, dai sindacati alle istituzioni, dalle forze sociali ai cittadini, alle associazioni. E anche qualche imprenditore ha chiamato per dire: ‘fate bene a scioperare’. Questa piazza non ha riunito solo il mondo del lavoro, ma guarda anche a quel mondo delle imprese che ha subìto gli effetti delle scelte scellerate fatte da Stellantis. Noi qui oggi siamo al centro della nascita di un movimento multinazionale dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”.
De Palma ha evidenziato che “decidere di alzarsi in piedi e incrociare le braccia non è mai semplice. Capita talvolta che ci dicano: ‘andate a fare la passeggiata a Roma’. Provate a dirlo a chi è in cassa integrazione da dieci anni, a chi non ha i soldi per far studiare i propri figli o per fare qualche giorno di vacanza. Provate a dirlo a chi sta in cassa integrazione con mille euro al mese. Oppure a chi non è condizione di aiutare il padre o la madre che si ammalano, ed è costretto a chiedere i soldi del Tfr per poter tenere testa alla situazione casalinga”.
Per De Palma l’amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares “dovrebbe avere rispetto per queste lavoratrici e lavoratori. In Parlamento ha detto che i lavoratori sono rancorosi. No, noi non siamo rancorosi: noi siamo incazzati, perché vogliamo lavorare e cancellare le parole esuberi e cassa integrazione della nostra vita. Le fabbriche sono nostre e noi le difendiamo come difendiamo l'industria del nostro Paese. Per questo, con grande umiltà, vorrei chiedere al presidente della Repubblica, custode della nostra Costituzione, di ascoltare il silenzio delle fabbriche chiuse per lo sciopero e il rumore della vita della nostra Repubblica fondata sul lavoro”.
Continuando su Tavares, il leader Fiom ha rimarcato che l'ad Stellantis “parla solo di tagli: tagli degli occupati , tagli al salario con la cassa integrazione, tagli dei tempi di lavoro quando sei in linea di montaggio. E ci dice che per produrre auto in Italia bisogna tagliare i costi. Ma l'unico taglio di cui Stellantis ha bisogno è quello degli stipendi di Tavares, della proprietà e degli azionisti. E quelle risorse debbono essere investite in ricerca, sviluppo, produzione, salute e sicurezza nelle fabbriche”.
È ora di tirare le somme: “Siamo al fallimento della strategia di Stellantis , considerato che anche le agenzie di rating la ritengono meno affidabili. Quest'anno, nonostante i 950 milioni di investimenti pubblici nei bonus, rischiamo di andare sotto le 300 mila vetture prodotte, malgrado sconti e bonus c'è un calo del 20% delle vendite. Dobbiamo chiederci: noi le auto le sappiamo produrre, ma l'amministratore delegato le sa vendere?”.
Negli Stati Uniti la Casa Bianca ha scritto una lettera a Stellantis per sollecitare il rispetto delle promesse fatte. “In Italia, da Palazzo Chigi solo silenzio”, ha proseguito: “Il ministro Urso ha appena detto di aver ascoltato questa piazza e che ci convocherà. Noi siamo per il rispetto istituzionale, quando le istituzioni chiamano noi ci siamo sempre. Ma questa piazza dice una cosa precisa: vogliamo andare a Palazzo Chigi per negoziare con l'amministratore delegato Tavares, vogliamo contrattare la transizione e non essere ostaggi dei veti incrociati tra azienda e governo. È ora che a Palazzo Chigi si negozi per la rigenerazione del lavoro e la transizione tecnologica ed ecologica. Ma la prima cosa da fare è fermare la chiusura e le delocalizzazioni delle aziende italiane”.
La Fiom Cgil chiede al governo l'apertura di una trattativa vera. Ma lo chiede anche a Bruxelles: “Dobbiamo impegnarci per ottenere un fondo straordinario per la ripresa dell'iniziativa in ricerca e sviluppo e per le missioni produttive in tutti gli stabilimenti. Il punto non è che Stellantis ha spostato la sede in Olanda e quella legale in Inghilterra: il problema vero è che non abbiamo più l'autonomia di ricerca, sviluppo e produzione perfino sui marchi italiani”.
Michele De Palma ha così concluso: “Siamo noi che immaginiamo, progettiamo e produciamo le Fiat, le Alfa, le Maserati. È la nostra intelligenza a immaginare la mobilità del futuro, ed è la nostra manodopera a crearla. Non provate a dividerci tra gli stabilimenti, per lingua o per contratto. Noi oggi abbiamo scioperato per il lavoro , per l'ambiente, per la salute. Abbiamo scioperato per la nostra dignità e per il nostro futuro. È ora di riprenderci il potere, con la passione, con la forza e con il coraggio”
Due parole circa la manifestazione di ieri, visto che doveva rappresentare l'apice della narrazione "destra" sull'alluvione, racconto che voleva essere appunto suffragato dalla mobilitazione degli stessi alluvionati, addomesticata sulla medesima linea d'onda.
A quanto pare le attese sulla partecipazione (dalle mille alle duemila persone) sono state piuttosto deluse, accontentandosi di aggirarsi attorno ai 200 presenti, numeri che realtà come la nostra o quella del Comitato Borgo di Faenza riescono abitualmente a muovere da soli. Un flop che ovviamente ha tenuto alla larga "i pezzi grossi" dall'esporre il proprio cappello politico sull'evento deludente.
Non è comunque mancata la vistosa ed esibita presenza di diversi esponenti e candidati di Lega e Fardelli d'Italia, tra cui Pompignoli (l'articolo di Forlitoday è sostanzialmente una sua intervista).
Anche i contenuti, come avevamo previsto, si sono distinti soprattutto per un acceso anti-ambientalismo e un concentrarsi attorno alle responsabilità della Regione, evitando di menzionare concetti come quello di crisi climatica (spesso negato tout court) o di chiamare in causa governo e struttura commissariale.
Il condizionamento strumentale è stato evidente, e il fatto che non ci fossero bandiere di partito non significa assolutamente nulla (non è che il ladro indossi una maglietta con scritto "scippatore" prima di compiere il furto). C'è da capire come abbiano potuto sentirsi a proprio agio in questo clima, esponenti di comitati da sempre assillati dalla preoccupazione di essere strumentalizzati.
Il ricorso all'affluenza da altre parti d'Italia, attingendo dal cosiddetto movimento dei trattori, non ha certo aumentato la qualità dei contenuti e tantomeno i numeri dei partecipanti.
Molti comitati aderenti infine non sono riusciti a portare a Bologna più di due persone per comitato.
Tutto questo ci dice che la capacità di muovere alluvionati e cittadini da parte del VAD si è dimostrata piuttosto scarsa, così come il rilievo mediatico conseguente, limitato principalmente alla sola stampa locale, soprattutto quella web.
Tutto questo ci deve spronare e incoraggiare a costruire un nostro percorso di mobilitazione ampio e unitario, perché le possibilità di affermare una definizione corretta della questione Alluvione, così come di ogni suo portato, ci sono tutte.
Al centro dell’agenda politica presentata dall’associazione c’è il contrasto alla crisi climatica: “Servono azioni rapide per la riduzione delle emissioni e per la protezione dagli eventi meteorologici estremi”
Nei 13 punti proposti da Legambiente trovano spazio la revisione della legge urbanistica per ridurre realmente il consumo di suolo, la riscrittura del Piano Regionale dei Trasporti e il rilancio di obiettivi ambiziosi in materia di economia circolare
Legambiente: “Dall’Emilia-Romagna parta una risposta ambiziosa ai tentativi evidenti del governo nazionale di rallentare la transizione ecologica, con il rischio evidente di lasciare a Cina, USA e Germania il mercato internazionale delle tecnologie pulite”
Oggi a Bologna Davide Ferraresi e Francesco Occhipinti, rispettivamente presidente e direttore di Legambiente Emilia-Romagna, hanno presentato le proposte per l’agenda politica della prossima legislatura regionale, alla presenza del presidente nazionale dell’associazione Stefano Ciafani.
Il documento redatto dall’associazione ha come fulcro il contrasto alla crisi climatica, sia sotto il profilo della mitigazione, per ridurre le emissioni, sia rispetto agli interventi per l’adattamento al nuovo clima. Quest’ultimo aspetto si lega inevitabilmente con quanto accaduto tragicamente negli ultimi due anni nel territorio romagnolo.
Gli eventi estremi che si sono succeduti a partire dal maggio 2023 hanno messo in luce l’urgenza di agire rapidamente per progettare e realizzare interventi di messa in sicurezza che non solo consentano le emergenze più immediate, ma che guardino oltre e puntino alla gestione di scenari in linea con quanto si aspetta la ricerca scientifica in materia di cambiamento climatico. La messa in sicurezza del territorio, secondo Legambiente deve includere una nuova modalità di gestione dei fiumi e delle aree per la laminazione e il deflusso delle acque in corrispondenza di eventi meteorologici estremi.
L’associazione evidenzia poi la necessità che l’Emilia-Romagna faccia la propria parte nel processo di decarbonizzazione, in linea con gli obiettivi più ambiziosi presentati dall’Unione Europea e dalla Regione stessa nell’ultima legislatura. Per raggiungerli, servono misure coerenti per favorire la diffusione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili su tutto il territorio regionale, approvando ambiziose linee guida sulle aree idonee entro la fine dell’anno, coinvolgendo la popolazione e i portatori d’interesse per ridurre il più possibile gli impatti e garantire una condivisione dei benefici prodotti.
Il documento di Legambiente approfondisce anche gli altri temi al centro delle attività dell’associazione, a partire dal settore agrozootecnico, dove si auspica una riduzione dei quantitativi di acqua prelevati per le produzioni agricole e per l’allevamento degli animali, e una diminuzione della densità del numero di capi allevati per arrivare a un ridimensionamento degli allevamenti intensivi sul territorio regionale.
Altro tema cardine dell’attività dell’associazione in Emilia-Romagna è quello della pianificazione territoriale, degli insediamenti e delle infrastrutture. In questo contesto, Legambiente auspica la revisione della legge urbanistica regionale per eliminare le deroghe presenti e ridurre realmente il consumo di suolo. Sul versante dei trasporti, è necessario che il nuovo Piano Regionale che dovrà essere varato nella prossima legislatura segni un cambiamento reale nelle politiche della Regione: le grandi infrastrutture autostradali devono essere sostituite con progetti di rafforzamento ed estensione delle reti ferroviarie, per disincentivare l’utilizzo di mezzi privati e il trasporto merci su gomma.
Sarà fondamentale anche rendere più ambizioso il Piano Regionale dei Rifiuti, che nell’ultima legislatura ha sostanzialmente previsto un incremento della produzione di rifiuti sul territorio emiliano-romagnolo. Occorre rendere più ambiziosi gli obiettivi e verificare l’efficacia dei modelli del sistema di raccolta, per promuovere quelli più funzionali a ridurre la produzione dei rifiuti e a migliorare la qualità (non solo le quantità relative) della raccolta differenziata, realizzando l’impiantistica più innovativa a partire da quella finalizzata alla produzione di compost e biometano, al recupero delle materie prime critiche dai Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche e al riciclo dei prodotti assorbenti delle persone.
Legambiente ha formulato anche proposte per la tutela degli ecosistemi, a partire dall’ampliamento della superficie delle aree protette in linea con gli obiettivi della Strategia europea per la Biodiversità, che prevede il 30% di territorio e di mare protetto entro il 2030 per tutti gli Stati membri. Insieme a questo, l’associazione invita la Regione ad adottare strumenti per il riconoscimento dei servizi ecosistemici forniti dalle aree naturali, in modo da poter valutare in modo completo le conseguenze dei processi di trasformazione del territorio.
Per quanto riguarda il territorio costiero, serve anche in questo caso una maggiore protezione dell’ecosistema marino dalle attività umane e della linea di costa dai processi erosivi: in entrambi i casi, la risposta è lasciare maggiore spazio alla natura, riducendo la durata della pesca attraverso opportuni incentivi e rinaturalizzando nuove aree lungo la fascia costiera.
Ultimo punto promosso da Legambiente è il sostegno a tutte le forme democratiche e partecipative che consentono ai cittadini di rendersi protagonisti all’interno di percorsi consultivi e co-decisionali sul territorio dell’Emilia-Romagna.
È necessario che la Regione riconosca l’impegno di cittadini e organizzazioni che utilizzano gli strumenti di democrazia partecipativa per contribuire al progresso dell’Emilia-Romagna. Occorre poi un impegno di tutti gli attori politici per evitare la compressione degli spazi di democrazia e favorire invece la partecipazione pacifica e propositiva della cittadinanza.
“La prossima legislatura regionale sarà cruciale per il raggiungimento di tutti gli obiettivi in materia di sostenibilità fissati dall’Europa al 2030”, dichiara Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna. “Dalla mitigazione del cambiamento climatico alla tutela della biodiversità, serve un cambio di passo sostanziale. Le risorse economiche della Regione, insieme a quelle dello Stato, dei Comuni e dei privati dovranno essere indirizzate esclusivamente su azioni migliorative in termini di impatto ambientale, eliminando previsioni e progetti in contrasto con gli obiettivi da raggiungere.”
“Chi governerà l'Emilia-Romagna dovrà darsi come priorità la mitigazione della crisi climatica e l'adattamento”, aggiunge Francesco Occhipinti, direttore di Legambiente Emilia-Romagna. “Oramai, almeno a noi ed al mondo scientifico, sono chiare quali sono le cause del cambiamento climatico. Gli investimenti nel fossile, l'inquinamento e la cementificazione sono le prime cause da affrontare ed eliminare. Non possiamo più permetterci, come accaduto anche dopo l'ultima alluvione di settembre, di parlare solo di risarcimenti e ricostruzione: bisogna assumere la consapevolezza che tutto non potrà continuare come prima. Dobbiamo uscire dalla logica dell'emergenza puntando su una corretta pianificazione e gestione ordinaria del territorio basandosi su evidenze scientifiche e non su presupposti ideologici.”
“Con le proposte che indirizziamo oggi ai candidati governatori in corsa per le prossime elezioni regionali” conclude Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente “vogliamo proporre uno scenario ambizioso per un’Emilia-Romagna che vuole perseguire convintamente gli obiettivi europei del Green Deal. A livello nazionale, alcuni discutibili provvedimenti del governo, come quelli che puntano sul gas e sul nucleare, e su opere pubbliche inutili come il Ponte sullo Stretto di Messina, e la narrazione fuorviante di Confindustria sul piano europeo per la decarbonizzazione, rischiano di rallentare la transizione ecologica. Questo sarebbe un delitto anche per il tessuto produttivo italiano, a partire da quello emiliano-romagnolo. Serve un protagonismo e un’ambizione delle Regioni nella lotta alla crisi climatica per arginare i tentativi nazionali di rallentamento della riconversione ecologica, che rischiano di minare la competitività del Paese, lasciando a Cina, USA e Germania il mercato internazionale delle tecnologie pulite”.
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La presentazione ieri mattino dello studio preparato dalla Caritas faentina
I numeri della povertà sono ancora in aumento: è quanto emerge dall’annuale rapporto “Povertà e risorse” della Caritas diocesana di Faenza-Modigliana, riferito al 2023, in presentazione stasera alle 20.30 (10 ottobre) nel refettorio del Seminario in via Degli Insorti, 56 con introduzione del vescovo Mario Toso.
Nel fascicolo, intitolato “Sperare e agire con il creato carità generatrice di pace”, sono in crescita in pratica tutti i parametri considerati: quasi 11mila i pasti serviti (+38%) e 1.826 le persone bisognose di aiuto intercettate (+ 17%), due persone su tre che hanno bussato alla porta di una delle 24 Caritas parrocchiali si sono trovate in difficoltà (64%).
Considerevole la mole di lavoro svolta dal Centro di ascolto al quale si sono rivolte 663 persone, mentre il numero di ospiti, rispetto al 2022 è aumentato del 14%. Il sostegno è stato richiesto per la prima volta dal 41% degli avventori ed è molto forte anche la presenza di chi si rivolge alla Caritas da 4 o 5 anni (34%), perciò si parla di “povertà croniche e intermittenti”, ovvero coloro che per diversi motivi alternano periodi di ripresa a periodi bui. La provenienza delle persone è pari al 24% di cittadinanza italiana e il 76% di origine straniera.
Tra questi ultimi il 69% ha meno di 45 anni, mentre la maggioranza degli italiani è anziana con uno stato di povertà spesso correlato a forme di fragilità familiare legate a decessi o eventi traumatici che fanno scivolare l’individuo in condizioni di solitudine e vulnerabilità.
«Ora - ha spiegato ieri il direttore don Emanuele Casadio – anche i cambiamenti climatici impongono riflessioni e nuove azioni per ripensare il futuro: ogni giorno di più ci rendiamo conto che tutto è interconnesso con il Creato e ci interroghiamo sulle risposte da dare, diverse dal passato, puntando molto sulla prevenzione, come indicato anche dal nostro vescovo monsignor Mario Toso».
Una lettura del report porta ad individuare sul territorio una duplice prospettiva la povertà, globale e locale: da un lato le persone straniere in fuga da conflitti e contesti estremi, dall’altro una crescente precarietà lavorativa, economica, relazionale, abitativa e non ultima la crisi dell’emergenza alluvione che ha pesantemente colpito il territorio della diocesi.
Due nuove iniziative dell'Anpi Raccolti anche più di 25 mila euro in una settimana per le attività di Emergency a Gaza
«Non possiamo restare indifferenti davanti a una tragedia immane» scrive Giacomo, che ha appena donato 60 euro. Lucio invece ne ha donati 40 ed è certo che «il soccorso medico umanitario è sempre la cosa più giusta da fare, il suo spirito è universale». Entrambi hanno aderito a una delle nuove campagne nazionali lanciate dall’Anpi: una raccolta fondi per sostenere le attività di Emergency a Gaza e il riconoscimento dello Stato di Palestina in tutta Italia. Anche il presidente Gianfranco Pagliarulo ha fatto la sua donazione; con noi ha parlato dei motivi che hanno spinto l’associazione a prendere queste due iniziative.
Come nasce l’idea di queste due nuove campagne?
Ci siamo interrogati su come reagire al senso di impotenza che sentiamo davanti alla catastrofe in corso a Gaza, in Cisgiordania e ora in Libano. Ci è sembrato che il modo migliore fosse quello di assumere delle iniziative concrete e rispondere su vari terreni. Questo denaro servirà per contribuire a curare i palestinesi feriti o ammalati a Gaza dopo un anno di bombardamenti.
Entrambe le iniziative sono partite il 4 ottobre, in così poco tempo la raccolta ha già superato i 25 mila euro, esiste un obbiettivo? Come mai così tanto successo secondo lei?
20 mila euro era una cifra simbolica per iniziare, ma non c’è un obbiettivo finale. In questi primi giorni c’è stata grande partecipazione, le persone hanno versato cifre piccole, cifre grandi, ma a prescindere dal versamento, c’è stato tanto interesse. Penso che la ragione sia che finalmente si ha l’impressione di riuscire a fare qualcosa di concreto rispetto al senso di impotenza di cui parlavamo.
Perché crede che il riconoscimento dello Stato di Palestina sia un atto doveroso e tanto urgente?
Questo fa parte della concretezza delle iniziative. Abbiamo deciso di rivolgerci ai sindaci chiedendo loro di sottoscrivere come ordine del giorno il riconoscimento dello Stato di Palestina, per fare pressione sul governo. Non partiamo da zero perché a Firenze e in altri 15 comuni, attraverso il lavoro di una serie di associazioni, i sindaci hanno già sottoscritto questo ordine del giorno. Quest’estate il Comune di Milano ne ha approvato uno analogo. La stragrande maggioranza dei paesi del mondo tra l’altro ha già riconosciuto la Palestina. Rimane un’enclave che non lo ha ancora fatto e corrisponde a gran parte dei paesi dell’Unione europea, e ad altri paesi come gli Stati uniti. Il paradosso è che parlano di due popoli in due stati molti di questi paesi, compresa l’Italia: ricordo a proposito varie dichiarazioni di Meloni e Tajani. Ma diventa un mantra completamente vuoto se non si riempie di contenuti, e il primo contenuto dal punto di vista politico è il riconoscimento dello Stato di Palestina. Sarebbe un segno concreto, un cortocircuito nell’ingranaggio di Netanyahu, che sta cercando di fatto di realizzare il progetto della grande Israele annettendo sia la Cisgiordania che Gaza.
Quali altre iniziative concrete si possono mettere in campo per contrastare quel senso di impotenza difronte a questioni così grandi e che sembrano così lontane?
Il 26 ottobre Europe for Peace, Rete Italiana Pace e Disarmo, Coalizione Assisi Pace Giusta, Fondazione Perugia Assisi e Sbilanciamoci hanno proclamato una mobilitazione nazionale con questa parola d’ordine: fermiamo le guerre. Dobbiamo dar vita a questa grande mobilitazione popolare perché siamo arrivati a un passaggio cruciale che riguarda persino la natura della guerra: oramai è guerra ai popoli. Hamas ha ucciso 1.200 persone in quanto israeliani, Netanyahu ha ucciso 42 mila persone in quanto palestinesi e ora sta bombardando il Libano, uccidendo centinaia di libanesi. Non c’è più alcuna distinzione fra il militare e civile. Ciò significa che alla morte della politica come forma di relazione fra i popoli, si sostituisce la guerra, che è la politica della morte. E questo mi fa pensare rispetto alla complicità, impunità e inazione dell’Occidente, perché rivela un fondo molto preoccupante di nichilismo. Dobbiamo capovolgere questo tavolo perverso che può portare alla guerra totale. La risposta giusta è mettere al centro il valore della persona, della sua dignità. Questo è lo sfondo valoriale su cui noi ci muoviamo e cerchiamo di incardinare delle azioni concrete come la sottoscrizione, la richiesta ai sindaci e la manifestazione del 26
Buongiorno a tutti, riteniamo corretto informarvi di una iniziativa inerente una manifestazione degli Alluvionati indetta per il 17 ottobre davanti alla Regione.
Informiamo però che in qualità di comitato non intendiamo aderire in quanto pensiamo che la manifestazione possa essere condizionata da interessi elettorali, con la finalità di strumentalizzare alcune realtà locali di alluvionati .
Un tale contesto perciò non può vederci partecipi, seppur consapevoli che in buona fede potranno parteciparvi anche cittadini alluvionati legittimamente arrabbiati, di cui rispettiamo la scelta.