Anche se il testo completo non è ancora stato diffuso, secondo il comunicato della Regione, il Piano contiene le prime strategie di intervento e gli indirizzi di pianificazione. Sarà aggiornato e completato a giugno 2024 quando vedrà la luce il Piano speciale definitivo che comprenderà anche l’elenco delle opere e degli interventi strutturali e non strutturali.
La Regione, inoltre, avvierà a breve un percorso di coinvolgimento attivo delle comunità che sono state interessate dall’alluvione, cittadini, mondo produttivo e amministrazioni. Percorso che punta a una condivisione delle informazioni contenute nei Piani speciali e a un ascolto attivo delle istanze provenienti dai territori.
A Casa Cervi, nel giorno della Liberazione, Landini dà ufficialmente il via alla campagna referendaria su quattro quesiti promossi dalla Cgil
La prima firma è stata quella di Maurizio Landini. E lo ha fatto a Casa Cervi di Gattatico (Reggio Emilia), il 25 aprile. In un luogo simbolo della Resistenza, il segretario generale della Cgil ha dato così il via alla raccolta firme per i quattro referendum popolari promossi dal sindacato.
"Farlo qui, oggi, é indicativo, oggi è la giornata della libertà, della democrazia e una persona che lavora, per essere libera, non deve essere precaria", ha detto Landini. "Un lavoratore – ha continuato – deve avere tutti quei diritti sanciti dalla Costituzione e che siano applicati. Avere cioè una retribuzione dignitosa, il diritto alla salute, all'istruzione. Oggi non è così: c'è troppa precarietà, i salari sono bassi, in realtà sei povero anche lavorando e addirittura si muore sul lavoro perché c'è un funzionamento delle imprese balorde costruite su appalto, subappalto e logica della precarietà”.
"Noi vogliamo dire basta - ha aggiunto - e i referendum indicano la possibilità per i cittadini di partecipare per cambiare la condizione di lavoro e di vita ed è una battaglia che vale per tutto il Paese. La nostra è una battaglia per la crescita e il futuro di questo Paese e si rivolge ai giovani e alle donne, i più penalizzati da questa precarietà. Vogliamo aprire una discussione vera per cambiare il modello sociale ed economico che si è affermato in questi anni".
I quesiti, come detto, sono quattro. I primi due sui licenziamenti, uno sul superamento del contratto a tutele crescenti e l’altro sull’indennizzo nelle piccole imprese, previsti dal Jobs act. Il terzo riguarda invece la reintroduzione delle causali per i contratti a termine, in questo caso il riferimento legislativo è ad una delega del Jobs act ma anche alla norma introdotta dal governo Meloni che lascia alle parti individuali la possibilità di indicare esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva. Il quarto è infine relativo agli appalti, sulla responsabilità del committente sugli infortuni.
Nel giorno della Liberazione parte la raccolta di firme per i 4 referendum promossi dalla Cgil: per un lavoro stabile, dignitoso, tutelato e sicuro
Il 25 Aprile è una data fondamentale per la nostra democrazia e per la nostra Costituzione antifascista. Il 25 Aprile parte la raccolta di firme per i referendum: vogliamo cancellare la precarietà e affermare la libertà nel lavoro. Firma per un lavoro stabile, dignitoso, tutelato e sicuro. Il lavoro è un bene comune: mettici la firma.
L’allarme della Rete italiana pace e disarmo, i dati record delle spese militari globali e le Global days of action on military spending
Un bivio geopolitico è quello al quale si trova di fronte l’umanità e a determinare la via che sarà intrapresa saranno le decisione politiche sui bilanci della difesa, della produzione e il commercio di armi e macchine belliche. Un allarme che viene lanciato dalla Rete italiana pace e disarmo per le Giornate globali di azione sulle spese militari, dal 12 aprile al 15 maggio, e che sarebbe facile bollare come apocalittico, ma che invece si basa su dati e analisi che confermano l’importanza delle scelte attuali per fermare la devastazione in corso di intere aree del mondo con guerre e conflitti.
l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma, nel Report 2024, valuta infatti una spesa militare globale di 2.443 miliardi di dollari nel 2023, con un incremento del 6.8% rispetto al 2022.Tale incremento, fa notare la Rete, non ha avuto alcun esito sulla “risoluzione dei conflitti persistenti né per la riduzione delle tensioni globali e la dimostrazione tangibile sono i conflitti a Gaza, in Ucraina, nella Repubblica Democratica del Congo, come in Sudan, Myanmar o Manipur”.
Per la prima volta gli analisti del centro studi hanno registrato un aumento delle spese militari in tutte e cinque le regioni geografiche ma con incrementi particolarmente consistenti in Europa, Medio Oriente e Asia. I due Paesi ad aver speso di più sono Stati Uniti e Cina. Seguono nella classifica curata dal Sipri, Russia, India, Arabia Saudita e Regno Unito, con un aumento del 7,9 per cento su base annua.
In particolare per la Russia il 2023 ha segnato i livelli più alti registrati dalla dissoluzione dell'Unione sovietica. L’Ucraina, come era facile prevedere, è diventata l'ottavo Paese per spesa militare a livello mondiale, con un aumento annuo del 51% della spesa militare giungendo a quota 64,8 miliardi di dollari. Sul fronte dell’altro conflitto per il quale è altissima l’attenzione, quello Mediorientale, la spesa militare di Israele è seconda dietro l'Arabia Saudita nella regione ed è cresciuta del 24 per cento raggiungendo i 27,5 miliardi di dollari. Il nostro Paese si colloca al 12esimo posto, dopo altri Paesi europei come Germania e Francia.
La Rete italiana pace e disarmo spiega che, mentre durante la ‘guerra fredda’ si contrapponevano due potenze, ora siamo ormai difronte a una multipolarità con i leader globali che “stanno aumentando in modo preoccupante la loro dipendenza da soluzioni militarizzate” e “la spesa militare viene propagandata come una necessità per mantenere tutti gli aspetti della sicurezza”. Ha buon gioco, in questo panorama, “una vasta rete di interessi e di potere globale, guidata da pochissimi attori privati sovranazionali che controllano le imprese e influenzano i governi in modo puramente antidemocratico”.
Viene quindi precisato che tale sistema di potere globale “include e collega imprese militari e dell’energia fossile” e “la militarizzazione non solo causa la morte di centinaia di migliaia di persone, ma diventa anche strumentalmente responsabile del disastro ambientale, proteggendo gli interessi dei combustibili fossili e gli attori predatori”. In questo modo questo sistema “lavora, direttamente e indirettamente, per impedire l’adozione di misure che potrebbero alleviare la crisi ambientale e la sofferenza di milioni di persone”.
Raccogliere profitti dalla vendita di armi ad attori genocidi (e qui le associazioni citano “il sostegno militare dato a Israele per continuare i suoi implacabili attacchi a Gaza”) alimenta guerre e conflitti e, nel contempo, sottrae risorse da destinare “ad affrontare i cambiamenti climatici, a investire nella giustizia globale e a promuovere la trasformazione pacifica dei conflitti e il disarmo”.
Le forze armate sono infatti tra i responsabili dell’inquinamento perché, attraverso l’elevato consumo di carburante, sono responsabili del 5,5% delle emissioni globali. Fanno inoltre uso di sostanze chimiche inquinanti che avvelenano il suolo per generazioni, mentre “mine, munizioni a grappolo, armi convenzionali lasciano la terra inabitabile per generazioni. Il costo opportunità della spesa militare ‘ci costa un Mondo’. Letteralmente”.
“Dobbiamo invece garantire il dispiegamento di un potere democratico in tutto il mondo – prosegue il comunicato della Rete -. Guerre e conflitti, crisi climatica, crisi sociale, crisi della democrazia, pandemie, deforestazione, perdita di biodiversità e molte altre sono sfide globali e transfrontaliere che l’Umanità deve affrontare. Queste sfide richiedono uno sforzo comune e coordinato che può essere raggiunto solo costruendo nuove alleanze tra una vasta gamma di attori per finanziare e creare giustizia, pace e diritti umani per il pianeta”.
Per le associazioni pacifiste sono società civile, istituzioni internazionali, Stati, imprese e popoli a dovere fare massa critica affinché si intraprenda la strada per una sicurezza globale comune o collettiva che non sia basata su manifestazioni di forze muscolari, ma “sulla costruzione della fiducia, sulla cooperazione e sulla solidarietà” e la riduzione delle spese militari è un primo passo necessario.
Per affrontare le sfide globali che richiedono tutte le risorse disponibili la Rete italiana pace e disarmo insieme alla Global campaign on mlilitary spending avanza una serie di richieste e proposte, sottolineando anche la necessità di “denunciare gli interessi e le pressioni nascoste del complesso militare-industriale”.
In primis vengono invocati sforzi reali per il disarmo globale, per fermare il commercio di armi e per cessare le spedizioni di armi ai Paesi in conflitto, anche attraverso il fissare una data e una struttura per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite per una quarta sessione speciale sul disarmo. Invitano quindi i governi a “cessare la fornitura e l’acquisto di armi da Israele e a utilizzare tutti i mezzi esistenti per spingere verso un cessate il fuoco e la fine del genocidio a Gaza”, oltre a un cessate il fuoco globale.
Tra le richieste anche quelle di una nuova geopolitica che passi dalla creazione di strutture di governance globale in un ambiente di cooperazione e dialogo, un piano di decarbonizzazione e che i governi agiscano subito, perché tempo non ce n’è più.
“Facciamo appello alla società civile a livello locale, nazionale, regionale e internazionale, affinché si unisca nella campagna per combattere la tendenza all’aumento delle spese militari – conclude la Rete – , per rafforzare il movimento globale per la pace e la giustizia e per sfidare i responsabili delle decisioni che cercano di giustificare un militarismo senza fine in nome della nostra sicurezza”.
FAENZA RIPARTE
PIU’ APERTA, PIU’ VERDE, PIU’ GIUSTA
Non si può risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero usato per crearlo.
Dopo la pandemia globale (2020/22) e dopo le due alluvioni locali (maggio 2023) siamo illusi che la politica potesse rivedere i paradigmi esistenti, mettersi in ascolto dei cittadini, discutere, proporre soluzioni innovative, cercare altre strade.
E invece s’insite a interpretare la complessità della società offrendo sempre le medesime fallimentari proposte: guerra, mercato senza regole, inazione di fronte alla crisi ecologica, sfruttamento del lavoro, repressione del pluralismo culturale.
In Italia, la vittoria delle destre ha rafforzato le scelte identitarie; ha approfondito le disparità socio-economiche; ha ulteriormente messo sotto attacco tutta la sfera pubblica (a volte fisicamente: lo scandaloso comportamento delle forze dell’ordine contro gli studenti di Pisa è più di un campanello d’allarme): la sanità, la scuola, le protezioni sociali, la cultura. Se a ciò aggiungiamo l’allentamento dei vincoli di solidarietà, l’emergere di un diffuso rancore e di una violenza privata cieca e assassina (in particolare contro le donne), la squalifica dei doveri di cittadinanza (tra tutti: un regime fiscale equo e progressivo) e le proposte per scardinare il sistema della rappresentanza parlamentare, beh, allora non si può pensare di essere in una fase come le altre.
Siamo in una profonda crisi, accentuata dalla scomparsa quasi totale dei corpi sociali intermedi o dalla loro involuzione. Rappresentanze di categoria, sindacati, partiti, RSU, consigli di quartiere, associazionismo laico e cattolico hanno nutrito e sorretto la nostra democrazia fino a poco tempo fa, ma il loro declino - lo sfarinarsi in alcuni casi, la deriva burocratica in altri e in generale un’autoreferenzialità che li ha allontanati dalle dinamiche e dai bisogni più profondi della società - è sotto gli occhi di tutti.
In Emilia Romagna e a Faenza in particolare, la lista di Coraggiosa aveva lanciato una segnale in controtendenza, promuovendo ascolto, partecipazione, protagonismo pubblico. Ma è stato un fuoco di paglia e nemmeno Coraggiosa è riuscita ad evitare la deriva amministrativa - e forse non è un caso che la maggioranza degli eletti in coalizioni di governo (in Regione o nei singoli comuni) abbiano scelto di tornare nel PD scommettendo su una leader che possa favorire processi di trasformazione, ma di fatto dimostrandosi fedeli al pragmatismo governista che ha caratterizzato tutta la storia recente del PD.
Il fallimento di Coraggiosa, per quanto ci riguarda, non significa un ritorno astioso nel nostro privato. Sarà (è!) una fatica di Sisifo, ma non vogliamo rinunciare a costruire occasioni di ascolto, confronto, dialogo e proposta; non vogliamo rinunciare alla discussione pubblica, a porre domande – anche scomode -, a chiedere ragione di scelte e decisioni.
I primi promotori di questa nuova sfida sentono l’urgenza di ripensare le modalità dell’azione e dell’intervento pubblico, che sempre di più, anche con conseguenze devastanti, sono condizionati dalla velocità, dalla superficialità e dall’impalpabilità che contraddistinguono la politica fatta esclusivamente dentro e per la comunicazione nella rete e nei social networks. Noi ci e vi proponiamo di avere tempi più lunghi di riflessione, di ascoltare con attenzione, di decidere in molti e in molti agire di conseguenza.
Non vogliamo fare tutto: vogliamo fare bene ciò che scegliamo di fare.
In attesa che una prossima assemblea definisca con precisione gli intenti e le modalità organizzative di questo nuovo soggetto, proponiamo alla vostra riflessione alcuni punti emersi in piccoli incontri informali nell’ultimo mese.
a) Il nuovo soggetto dovrà avere un profilo civico, ma non ‘apolitico’: un civismo di sinistra che vedrà se e come relazionarsi con partiti della città e altre esperienze regionali che abbiano un’idea della politica simile alla nostra.
b) Di conseguenza, l’adesione al nuovo soggetto può avvenire solo a titolo individuale e ogni testa varrà un voto (affermazione tutt’altro che scontata, vista anche l’ultima esperienza di Coraggiosa, almeno a livello regionale).
c) Riattivare la partecipazione alla vita pubblica cittadina è obiettivo sovraordinato del nuovo soggetto.
d) Le principali aree di studio, proposta e intervento pubblico saranno: la questione ecologica (in particolare la tutela del territorio e la messa in sicurezza di persone e beni dopo le catastrofiche alluvioni del maggio 2023); i servizi sociali (tutela delle persone più fragili, strutture d’accoglienza, una città aperta e solidale); la questione energetica (uno sviluppo sostenibile alla prova delle decisioni dell’amministrazione); le infrastrutture.
e) Infine, poiché Coraggiosa-Faenza faceva parte dell’attuale maggioranza che governa la città e poiché molti tra i promotori di questo nuovo soggetto civico erano iscritti a Coraggiosa o l’hanno votata alle ultime elezioni comunali, proponiamo un percorso di verifica e aggiornamento programmatico con il Sindaco e la sua maggioranza, al termine del quale decidere e dichiarare la nostra posizione rispetto al governo della città.
Aprile 2024