Sorrentino, Fp Cgil, risponde al ministro della Salute Schillaci: “Basta propaganda sulla pelle di cittadini e operatori della sanità”
Non sono bastate le bocciature delle Regioni, della Ragioneria dello Stato, di 14 tra i maggiori scienziati del Paese e della Corte dei Conti che richiamano allarmati il governo alla necessità di maggiori finanziamenti per il Servizio Sanitario Nazionale. Le Regioni paventano di ricorrere alla Corte Costituzionale se non verrà cancellata una norma che nell’ultimo Dl sul Pnrr sottrae ai sistemi sanitari regionali ben 1,2 miliardi di euro. Il Ragioniere Generale dello Stato intima all’esecutivo di non destinare ad altro le risorse previste per i Lea. La Corte dei Conti rende evidente quanto già conosciuto: in Italia si spende assai meno rispetto agli altri paesi europei per la sanità pubblica, e le famiglie sono costrette a metterci assai soldi di tasca propria. E il ministro della Salute risponde che mai tanti soldi sono stati destinati alla sanità come da quando il centro destra governa.
A richiamare alla realtà, e a svelare i trucchi contabili ci pensa la segretaria generale della Fp Cgil Serena Sorrentino che afferma: “Sulle risorse alla sanità Schillaci dimentica due dati. Il primo è che le risorse aggiuntive sono vincolate al rinnovo dei Ccnl del personale sanitario e che sono un terzo di quello che servirebbe per far recuperare potere d’acquisto ai salari falcidiati dall’inflazione e quindi vanno aumentate e poi che, come le Regioni denunciano, sono aumentati i costi di gestione e la domanda di prestazioni. Il governo Meloni ha messo una pezza su una voragine perché sulla sanità manca visione e un progetto di investimento sulla riforma del sistema di cure a misura del cittadino. In più siamo al palo su Pnrr e dm 77, siamo lontani dall’incremento necessario di personale, cresce la spesa privata e le differenze territoriali aumentano”.
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire l’antefatto. Arrampicarsi sugli specchi è pur sempre un’abilità, ma spesso si scivola tornando con i piedi per terra. Ed ecco l’antefatto, intervenendo ad un convegno dal titolo “La salute come diritto fondamentale per una riforma della Costituzione” il ministro della salute Schillaci ha affermato: “Dire che stiamo facendo dei tagli alla Sanità è falso. Ci sono 3 miliardi in più per il 2024, 4 per il 2025, 4,2 per il 2026. Non ricordo incrementi di questa portata nelle finanziarie di qualche anno fa”.
Ecco spiegata la risposta di Sorrentino, per altro il ministro dovrebbe ricordare quanto da lui sottoscritto insieme ai colleghi dell’esecutivo e votato dai parlamentari della maggioranza di destra, che a ottobre è stato il governo ha prevedere nella Nadef una costante e ulteriore riduzione delle risorse per la sanità. Per quest’anno al Ssn è stato destinato – da Meloni e company - il 6,3% del Pil (nel 2022 ultima legge di bilancio siglata dal governo Draghi era al 6,9%), cifra confermata per il 2025 mentre nel 2026 si arriverà al 6,1%. E sempre Schillaci dovrebbe ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che sotto il 6,5% del Pil è a rischio la salute pubblica del Paese.
Non è difficile individuare cosa occorre fare. Tanto più che a voler rispettare i termini fissati dall’Europa, entro il 10 aprile il Palazzo Chigi dovrebbe presentare il Documento di Economia e Finanza, quello che occorre per definire la prossima finanziaria. Osserva quindi la segretaria della Fp Cgil: "L'esecutivo ha una sola strada: mettere nel Def altre risorse per il personale e per la garanzia non solo dei Lea ma della riforma dell’assistenza territoriale, e il potenziamento della rete dell’emergenza urgenza. Basta propaganda sulla pelle di cittadini e operatori della sanità la salute non è né una merce né un lusso ma un diritto delle persone, e la Costituzione dice che deve essere pubblico e universale”.
Tante le iniziative che la Confederazione di Corso di Italia, insieme alla Uil e alle tante associazioni del cartello “La via Maestra”, hanno già calendarizzato. Serena Sorrentino, allora, conclude il suo ragionamento in qualche modo evocando il moto di partecipazione popolare che portò nel 1978 all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e alla realizzazione del dettato costituzionale che chiedeva una sanità pubblica e universale: “Dagli scienziati ai lavoratori ai cittadini facciamo tutti la stessa richiesta: investire e riformare. Il governo fa finta di non sentire. Anche per questo il 20 aprile saremo in piazza, perché sulla salute non si tratta: è un bene comune".
Ai nastri di partenza le CER con l’apertura del portale del GSE l’8 aprile dopo che il 24 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto per l’incentivazione delle Comunità Energetiche Rinnovabili e il 23 febbraio il GSE ha emanato le regole operative
Legambiente. “Finalmente ci sono tutti gli elementi che possono dare vita alle Comunità Energetiche Rinnovabili, riducendo il consumo di energia da fonti fossili, responsabilizzando i cittadini su produzione e consumo di energia e dando anche la possibilità di benefici per le fasce più deboli della popolazione e per i piccoli comuni a disagio insediativo”
In Emilia-Romagna, grazie alla Legge Regionale 5/2022, sono stati finanziati progetti di costituzione e studi di fattibilità per 124 CER e sarà presto aperto un bando per il finanziamento della realizzazione degli impianti
Lo scorso 24 gennaio è entrato finalmente in vigore il decreto per l’incentivazione delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) al quale sono seguite le regole operative del GSE, emanate il 23 febbraio 2024.Con lo sportello del GSE che aprirà l’8 aprile, sarà finalmente accessibile la misura di incentivazione delle CER e le risorse messe a disposizione dal PNRR per i Comuni sotto i 5mila abitanti, grazie a un contributo a fondo perduto che dovrebbe sostenere l’installazione di impianti con una potenza complessiva pari almeno a 2 GW ed una produzione indicativa di almeno 2.500 GWh/anno.
Per questo Legambiente insieme ai partner del Progetto BeComE, Kyoto Club, AzzeroCO2 con Legacoop e BRYO ha organizzato oggi a Bologna il forum Comunità energetiche Emilia-Romagna, un incontro di approfondimento in concomitanza con l’apertura degli sportelli di supporto per le Comunità energetiche e i Gruppi di autoconsumo collettivo.
All’incontro partecipano Vincenzo Colla, Assessore allo sviluppo economico e green economy, lavoro, formazione e relazioni internazionali Regione Emilia-Romagna, Davide Ferraresi, Presidente Legambiente ER, Alessandra Bonfanti, Responsabile piccoli comuni Legambiente, Annalisa Corrado, Azzero Co2, Marta Mango, GSE, Giovanna Claudia Rosa Romano - Responsabile Area Energia ed Economia verde Regione Emilia Romagna, Silvia Piccinini Consigliera regionale M5S, Mauro Guerra, coordinatore CER per l’associazione Borghi più belli di Italia, Davide Gavanelli, Amministratore Delegato di Bryo, Daniele Montroni, Presidente Legacoop Emilia Romagna, Giorgio Nanni, responsabile Energia Legacoop Nazionale, Alessandro Rossi, ANCI Emilia Romagna
Francesco Ferrante, Vice presidente Kyoto Club, Francesco Occhipinti, Direttore Legambiente Emilia Romagna.
Il progetto BeComE - Dai borghi alle comunità energetiche è nato nel 2022 per sostenere i piccoli Comuni nella realizzazione delle CER mettendo a disposizione dei network di borghi certificati dei Borghi più belli di Italia, delle Bandiere Arancioni del Touring Club e dell’Associazione dei Borghi Autentici di Italia corsi di formazione oltre ad aver accompagnato decine di Comuni pilota con studi di pre-fattibilità e laboratori di comunità che dovrebbero generare la realizzazione delle CER con i seguenti numeri: 30 edifici sostenibili, 1.570 kW di impianti Fotovoltaici ipotizzati, 543 soci delle CER e oltre 740 tonnellate di CO2 evitate.
“Nonostante il ritardo nell’emanazione del decreto dovuto al rimpallo tra Ministero e Commissione europea abbia determinato tanta frustrazione tra cittadini e amministrazioni locali - ha dichiarato Francesco Ferrante, vice presidente Kyoto Club - abbiamo fatto benissimo a lanciare due anni fa questa campagna insieme a Legambiente e AzzeroCO2. Con orgoglio posso dire essersi rivelata tra le più grandi campagne di formazione sulle comunità energetiche e una straordinaria opportunità per la transizione energetica e la riduzione delle diseguaglianze, specialmente nei piccoli comuni del nostro Paese”
Grazie all’emanazione del quadro normativo e operativo in questa primavera si potrà finalmente dare il via ad una nuova stagione della produzione di energia nel nostro Paese. Sono, infatti, circa 12 i potenziali nuovi gigawatt* ottenibili dalla realizzazione di impianti da fonti rinnovabili (circa il 30% degli obiettivi di decarbonizzazione del settore energetico al 2030) legati all’autoconsumo e alle comunità energetiche, che favoriscono anche il processo di decarbonizzazione nel settore termico e nei trasporti, spostando la parte dei consumi alimentati a fonti fossili verso il vettore elettrico, grazie al minor costo dell’energia verde. In termini di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 la stima è di 47,1 milioni di tonnellate.
“Come è evidente, per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità del sistema energetico è urgente e necessario un cambiamento radicale, fatto di tanti impianti diffusi, di grande, media e piccola dimensione, in grado di produrre energia rinnovabile per soddisfare i fabbisogni energetici del nostro Paese e di assicurare sicurezza e flessibilità della rete elettrica – commenta Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia Romagna -. Oggi, esistono strumenti e opportunità importanti, tra i quali le comunità energetiche rinnovabili, che possono trasformare totalmente il ruolo degli utenti finali da soggetti passivi, che si limitano a pagare le bollette, a soggetti consapevoli e attivi nella produzione, nello scambio e nella vendita di energia.”
Nel 2022 la Regione Emilia-Romagna, tra le prime in Italia, ha approvato una legge regionale che sostiene la costituzione dell’identità giuridica e lo studio di prefattibilità per una Comunità a traino comunale. All’uscita del primo bando, che prevedeva lo stanziamento di 2mln di euro di fondi pubblici, hanno partecipato moltissimi Comuni e i progetti risultati ammissibili al termine delle valutazioni sono stati 124, con però una richiesta economica superiore alla dotazione iniziale prevista dal bando, tanto che la Regione ha dovuto raddoppiare la disponibilità a circa 4 mln di euro.
"Lo sviluppo e la crescita di progetti di condivisione energetica da fonti rinnovabili può e deve essere accompagnata specie nei contesti territoriali dei piccoli comuni da un coinvolgimento di tutti i principali attori istituzionali - ha dichiarato Davide Gavanelli, AD di BRYO - nonché imprese e cittadini e unitamente a soluzioni tecnologiche innovative per la produzione di energia senza consumo di suolo come ad esempio per i parcheggi pubblici e privati e i bacini (pensiline fotovoltaiche autoportanti e fotovoltaico galleggiante) dove le rinnovabili possono rappresentare un modo per ridurre i disagi dei mutamenti climatici con una doppia funzione virtuosa"
“Siamo convinti che il modello cooperativo, ispirato a principi di partecipazione e controllo democratico -sottolinea Giorgio Nanni, dell’Ufficio Energia e Ambiente di Legacoop- sia particolarmente adatto alla costituzione di comunità energetiche rinnovabili, in quanto garantisce che la proprietà degli impianti sia il più possibile in capo alla comunità stessa e non solo nella sua disponibilità. La nostra attività si è sviluppata, in tempi recenti, con la realizzazione di RESPIRA, una piattaforma per fornire assistenza e supporto a chi vuole costituire CER in forma cooperativa. Attualmente sono 9 i progetti di CER in forma cooperativa finanziati: 5 CER sono già costituite e sono 100 i progetti potenziali in corso di valutazione. Il nostro impegno per rispondere alle numerose sollecitazioni che stiamo ricevendo da parte di realtà territoriali interessate alla costituzione di Comunità energetiche si sta rafforzando ulteriormente dopo la pubblicazione del decreto del MASE che regolamenta gli incentivi alla costituzione di CER e delle regole operative da parte del GSE”.
*Fonte Italia Solare
Domenica 7 aprile, dalle ore 16.00 alle 18.00, è in programma una manifestazione in testata Candiano in Darsena
Prosegue la battaglia di Italia Nostra Ravenna per salvare le torri hamon dell’area ex SAROM. L’associazione ha comunicato di aver inviato una richiesta per poter accedere alle torri e visionare, anche mediante tecnici abilitati, il loro stato effettivo. “Si tratta di strutture con intelaiatura solidissima di armature a tondini e reti di ferro e costituita da blocchi a base di cemento: difficile pensare che, benché vetuste, siano a rischio crollo – dichiarano -. E se anche qualche frammento cadesse, questo non giustifica la loro demolizione, visto che il progetto di impianto fotovoltaico non sarebbe di pubblica fruizione, mentre l’area in cui dovrebbe sorgere è vastissima, per cui l’interferenza irrilevante”.
“La nostra Autorità Portuale acquista da ENI con soldi pubblici per quasi 8 milioni di euro, l’area, non prima di aver fatto demolire le torri, che invece, se fossero di proprietà pubblica, sarebbero già vincolate per legge, in quanto costruite oltre 70 anni fa – dichiarano da Italia Nostra -. Presumiamo che il presidente non le abbia mai viste da vicino e non abbia potuto apprezzare la struttura che si appresta a far abbattere, straordinaria dal punto di vista spaziale, strutturale ed evocativo, altrimenti non si spiega il suo atteggiamento così poco consapevole”.
Italia Nostra prosegue: ” È stato chiesto, tramite accesso atti, di visionare le valutazioni del Comune di Ravenna e di comprendere come da un lato i terreni e le torri sembrano già di proprietà pubblica (e quindi sottoposte a vincolo ope legis, salvo pronunciamento della Soprintendenza in verso contrario, ma che ci deve essere), dall’altro è ENI che si occupa della demolizione. Passaggi poco chiari per cui rischia a brevissimo di farne le spese il nostro patrimonio comune di una Darsena da recuperare che non vedrà mai la luce”.
Non c’è solo Italia Nostra a lottare per evitare che vengano abbattute le torri Hamon ex SAROM: domenica 7 aprile, dalle ore 16.00 alle 18.00 presso la Darsena di Città in testata Candiano a Ravenna è in programma una manifestazione di sensibilizzazione promossa da cittadini, istituzioni e associazioni, a cui hanno aderito AIPAI – Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale e Accademia di Belle Arti di Ravenna.
“Un simbolo del passato industriale ormai entrate nello skyline di Ravenna, ed una occasione di riqualificazione per la Darsena che non cancelli le sue caratteristiche peculiari, ma che ne sappia cogliere le potenzialità in chiave positiva e di arricchimento sociale, identitario, ed anche di attrattività turistica –dichiarano da Italia Nostra sezione di Ravenna-. Altrove infatti, porti e darsene convertono i loro manufatti di pregio recuperandoli e riadattandoli ai nuovi usi a servizio della cittadinanza, della cultura, dell’arte, attirando decine di migliaia di visitatori ogni anno.
“Le torri sono manufatti di ingegneria solidissimi: chi ha avuto la fortuna di visitarle al proprio interno sa che evocano una spazialità straordinaria, grazie all’armonia e alla bellezza che scaturisce dalle loro forme strutturalmente perfette, ingigantite da proporzioni imponenti che ammutoliscono ed ammaliano lo spettatore. Interni che invitano alla meditazione, alla musica, all’arte e che potrebbero divenire attrazioni e qualificazione, occasioni per un rilancio culturale, sociale e turistico che sempre langue per la nostra città – proseguono da Italia Nostra -. Siamo certi che le risorse per il loro recupero, anche di minima e poco costoso, possano essere facilmente trovate, se solo vi fosse la volontà di salvarle, così come possano convivere senza problemi con l’impianto fotovoltaico in progetto”
Puntata n. 7/2024 – Inchiesta sul caporalato nelle Langhe.Nnel vitivinicolo, fiore all’occhiello del Made in Italy, si sta estendendo, ormai a macchia d’olio, il cancro dello sfruttamento
Un’inchiesta sul caporalato nelle Langhe ha portato alla luce la condizione di sfruttamento nella quale versavano 40 lavoratori, provenienti per lo più dall’Africa. Per trenta di loro è stato chiesto e ottenuto il nullaosta al rilascio del permesso di soggiorno per grave sfruttamento lavorativo. È una storia delle tante, una delle poche che vengono alla luce. In un settore, il vitivinicolo, fiore all’occhiello del Made in Italy. Eppure anche qui si sta estendendo, ormai a macchia d’olio, il cancro del caporalato. A denunciarlo è la Flai Cgil che chiede “un’assunzione di responsabilità da parte di tutta la filiera: è intollerabile che prodotti d’eccellenza dell’agroalimentare del nostro Paese siano macchiati dal sangue dei lavoratori e delle lavoratrici”. In fondo al bicchiere di vino che gustiamo potremmo trovarci la verità su una realtà sempre più critica, quella del lavoro, mai così svalorizzato e sotto attacco in Italia.
Prosegue la battaglia della confederazione. Prosegue utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. Lo sciopero generale dell’11 aprile, le manifestazioni nazionali del 20 aprile a Roma e del 25 maggio a Napoli, i quattro quesiti referendari su licenziamenti, precarietà e appalti. Per il lavoro stabile e di qualità, per aumentare salari e pensioni, per una vera riforma fiscale, per difendere e rilanciare il servizio sanitario nazionale, per la salute e la sicurezza in tutti i luoghi di lavoro, per un nuovo modello sociale che rimetta al centro il lavoro e la persona.
Le famiglie in povertà assoluta sono l’8,5% del totale, corrispondenti a circa 5,7 milioni di individui. Nonostante il governo continui a raccontare il picco di economia e occupati. La Cgil chiede di cambiare subito strada. Il sassolino del direttore di Collettiva, Stefano Milani
Se la povertà cresce, aboliamo i poveri. La povertà non l’hanno ancora abolita, come annunciava festante Di Maio dal famoso balcone, ma ci stanno lavorando alacremente. Anzi, questo governo vuol fare di meglio: abolire direttamente i poveri. Eliminarli dallo Stivale terracqueo. Ce la stanno mettendo tutta. Hanno cancellato il reddito di cittadinanza, smantellato i servizi sociali, demolito il servizio sanitario nazionale, sbertucciato il salario minimo, azzerato i fondi per gli affitti e per la morosità incolpevole. Ma niente, questi indigenti - e pure ingrati - restano attaccati alla canna del gas, arrancano fino alla seconda settimana ma non schiattano. Anzi, quel poco fiato che gli rimane lo usano per alzare la voce e lamentarsi. Una zavorra insopportabile per un Paese campione del mondo di polvere sotto il tappeto. L’occupazione sale, l’economia schizza, i ristoranti sono pieni, i neri hanno il ritmo nel sangue. E la povertà? Non pervenuta.
È confermato il giorno di chiusura della scuola Iqbal Masih di Pioltello per il prossimo 10 aprile, festa di fine Ramadan. Con buona pace di tutta la destra parlamentare ed extra. Dopo una settimana di attacchi frontali, tra una dichiarazione di Giuseppe Valditara, il ministro dell’Istruzione e del Merito in persona, e gli striscioni delle frange neofasciste che gridano alla sottomissione culturale, il Collegio d’Istituto ha confermato la delibera senza farsi intimidire. Complimenti a loro. Che incassano il plauso e il sostegno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Apprezzo – ha scritto il Capo dello Stato alla Vicepreside dell’Iqbal Masih Maria Rendani – il lavoro che il corpo docente e gli organi di istituto svolgono nell’adempimento di un compito prezioso e particolarmente impegnativo”.
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La campagna Cgil sulla precarietà accende un faro sulle condizioni di quasi 780 mila persone usate a gettone, se e quando serve: l’emblema della flessibilità
Una volta si diceva “a chiamata”. Dal 2015 è diventato contratto intermittente: in pratica i lavoratori si mettono a disposizione del datore che ne può utilizzare le prestazioni "all'occorrenza", secondo le proprie esigenze, rispettando comunque un minimo preavviso.
L’Inps ne ha contati 694.852 nel 2022, il 18 per cento in più rispetto al 2021, il 66 per cento al Nord (il 22 al Centro, meno del 15 al Sud), il 26,8 per cento di età compresa tra i 20 e i 24 anni.
Sono a tutti gli effetti dipendenti, il più delle volte a tempo determinato, e guadagnano pochissimo: 2.463 euro in media all’anno, 3.905 se hanno tra 60 e 64 anni. Ma lavorano anche molto poco: 47 è il numero medio delle giornate retribuite.
Sono davvero tante, troppe le tipologie di precarietà esistenti nel nostro Paese, come denuncia la campagna di informazione e comunicazione promossa dalla Cgil insieme alle sue categorie “La precarietà ha troppe facce. Combattiamola insieme”, che questa settimana fa un focus sull’intermittente e sul contratto ex voucher.
“Sono rapporti di lavoro accomunati da caratteristiche simili - afferma Nicola Marongiu, responsabile dell’area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil -: un’estrema flessibilità, compensi miseri, utilizzo del lavoratore ‘a gettone’. Sono l’emblema della precarietà, più di altri. Nei contratti a termine e in somministrazione, che hanno comunque qualche regola di carattere stringente, per la durata del rapporto l’azienda ha un obbligo di tipo retributivo e contributivo nei confronti del lavoratore. Mentre con il contratto a chiamata e il voucher il meccanismo è: ti chiamo solo se e quando mi serve. Non voglio impiegare parole troppo forti, ma si tratta di contratti ‘usa e getta’”.
Sebbene siano fissati alcuni limiti e requisiti, non danno la possibilità di maturare alcun diritto. Insomma, rappresentano la negazione della qualità e della dignità del lavoro e fanno sì che le persone siano povere pur avendo un’occupazione.
Prendiamo i voucher, o meglio i Presto, contratti di prestazione occasionale, come si chiamano dal 2017, dopo che grazie alla battaglia portata avanti dalla Cgil con il referendum abrogativo per impedirne l’abuso e l’impiego troppo disinvolto, sono stati soppressi e poi rimessi in circolazione con una nuova disciplina.
Il loro impiego è decisamente ridotto rispetto agli anni passati, ma resta il fatto che le attività previste potrebbero essere svolte con maggiori tutele con le forme di lavoro occasionale previste nei contratti collettivi di settore o con la somministrazione (altra forma precaria), garantendo la maturazione di ferie e permessi, mensilità aggiuntive, riconoscimento della malattia, e così via.
“Dobbiamo distinguere i Presto usati dalle aziende dal libretto famiglia – precisa Marongiu -. Un datore di lavoro che non è un’impresa né un professionista può avere bisogno di ricorrere a questo strumento per alcune attività: baby sitting, piccoli e saltuari lavori di giardinaggio, e così via. Il punto è che gli attuali Presto li possono acquistare anche le imprese, che invece devono usare i contratti non i voucher”.
Nel 2023 le persone pagate con i Presto sono state complessivamente quasi 80 mila (79.420 per la precisione), stando ai dati dell’ultimo osservatorio precariato dell’Inps: 56.419 contrattualizzate da un’azienda, pagate per 66 ore lavorate 910 euro lorde, e 23.001 persone con libretto famiglia, quindi alle dipendenze di un nucleo familiare, retribuite per 102 ore 1.082 euro lordi.
“L’abolizione del voucher e il passaggio al nuovo ordinamento hanno dimostrato come strumenti leggeri e flessibili generano precarietà e povertà – aggiunge Marongiu -; una copertura degli abusi e della irregolarità che privano di tutele e dignità economica le persone. Per questo abbiamo contrastato le scelte della ministra del Lavoro Calderone e del governo che senza alcun confronto con il sindacato hanno annunciato trionfalmente interventi in materia, per creare occupazione e dare risposte, interventi che non solo hanno ulteriormente liberalizzato l’uso del contratto a termine e della somministrazione ma hanno anche esteso nuovamente l’uso del voucher Presto”.
Senza entrare troppo nel dettaglio, basti dire che da maggio 2023 il cosiddetto decreto Lavoro (dl 48/2023) ha innalzato il limite da 10 mila a 15 mila euro per gli utilizzatori che operano nei settori congressi, fiere, eventi, stabilimenti termali e parchi di divertimento, lasciando inalterati i limiti imposti ai prestatori, ha riportato nelle tabaccherie l’incasso e la vendita, e ha introdotto il voucher per l’agricoltura Loagri. In pratica, legittima ancora di più lavoretti che lavoretti non sono.