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L’anno record del caldo si chiude senza inverno. Aria primaverile, poche precipitazioni in Italia e anche nel resto del mondo il Natale non è più bianco. Niente neve vuol dire siccità in estate, ma da noi si pensa agli sciatori sprecando acqua con l’innevamento artificiale di nove piste su dieci

IL RECORD DEL 2023. Ci stiamo adattando ai cambiamenti radicali con piccoli aggiustamenti nei nostri stili di vita individuali, ma senza davvero riflettere sulla crisi in atto. Le emissioni di gas serra continuano ad aumentare e gli impatti su un pianeta che bolle si intensificano, con effetti a catena che non fanno che aumentare la velocità del cambiamento

La scomparsa della luce di Natale Pista per lo sci di fondo vicino a Bayrischzell, nell’alta Baviera - Ap

Nella memoria collettiva la fredda luce di Natale ha da sempre qualcosa di speciale. Non questa volta. Il Natale 2023 lo ricorderemo per le giornate miti, le margherite nei prati e una luce calda lontana dalla bianca atmosfera natalizia. Come per la scomparsa delle lucciole, il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Tra qualche anno, la fredda luce di Natale sarà, come è stato per le lucciole, solo più un «ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta»*.

A livello globale, il 2023 è l’anno più caldo mai registrato. La dettagliatissima analisi sullo stato dei ghiacciai italiani, da poco pubblicata, ci dice che praticamente il 100% dei ghiacciai è in fase di ritiro e la stagione 2022 è stata tra le peggiori mai osservate. Se è vero che in passato, in pieno inverno, si sono osservati eventi simili, è altrettanto vero che questo Natale di “caldo anomalo” si va a sommare a una serie ormai lunghissima di fasi caratterizzate da temperature superiori alle medie. Come sempre, non è l’evento in sé ad essere importante, ma la frequenza e l’intensità con la quale si presenta. Tutto ciò non impedisce di spendere risorse pubbliche per l’innevamento artificiale o, in alcuni casi, anche per nuovi impianti di risalita. Come in un film anni ’80 che si ripete in un eterno presente, non usciamo dalla febbre da cine-panettone.

Ci stiamo adattando ai cambiamenti radicali con piccoli aggiustamenti nei nostri stili di vita individuali, con meno cappotti e più magliette, ma senza davvero riflettere sulla crisi in

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MANOVRA. Una legge di bilancio rinunciataria, iniqua e inadeguata è passata ieri al Senato dove il governo ha posto la fiducia su un maxiemendamento: 112 sì, 76 no. Entro il 29 dicembre sarà votata dalla Camera. Nel Milleproroghe allo studio una soluzione ad hoc per il Superbonus. Tagli alla spesa, guerra ai poveri, rimedi non strutturali al calo dei salari, fondi all'industria militare mentre i fondi dannosi per l'ambiente restano

Passa al Senato una legge di bilancio iniqua e inadeguata La presidente del Consiglio Meloni con il ministro dell'Economia Giorgetti - Ansa

Una legge di bilancio rinunciataria, iniqua e inadeguata è passata ieri in prima lettura al Senato dove il governo ha posto la fiducia su un maxiemendamento: 112 sì, 76 no, 3 astenuti. Entro il 29 dicembre il disegno di legge sarà votato dalla Camera. L’esito è scontato. Anzi, blindato. Il rito ragionieristico che ha rivelato sempre più i limiti di quella che dovrebbe essere la legge economica più importante, quest’anno è stato peggiorato dalla richiesta di non presentare emendamenti fatta dalla presidente del Consiglio Meloni alla propria maggioranza. Richiesta coerente con lo svuotamento della democrazia parlamentare e allineato con il crescente autoritarismo che dovrebbe culminare con la riforma del “premierato”, almeno nelle intenzioni di Meloni. Tuttavia le modifiche alla manovra ci sono state. Le ha apportate il governo con quattro emendamenti. E gli stessi relatori di maggioranza.

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Una legge di bilancio scritta sulla sabbia in un’economia di guerra

È stata la manovra che mantiene per il secondo anno circa 100 euro in più per le buste paghe di chi ha redditi fino a 27.500 euro lordi finanziati attraverso una riduzione delle tasse (cuneo fiscale, Irpef). L’importo andrà di nuovo rifinanziato l’anno prossimo quando entrerà in vigore il nuovo patto di stabilità Ue che potrebbe rendere difficile rinnovare il bonus un’altra volta.

La riduzione delle tasse è stata pagata con un maggiore deficit pari a circa 17 miliardi, finanziarti da tagli alla spesa (8,6 miliardi) e da maggiori entrate (8,5). Dunque, saranno i contribuenti a pagare l’integrazione salariale decisa in mancanza del rinnovo sistematico e massiccio dei contratti nazionali. Non solo. Dovranno pagare anche i ministeri (meno 5%) e gli enti locali per i quali il governo ha previsto tagli lineari da 600 milioni all’anno per i prossimi tre. Ci sono i tagli al servizio civile (200 milioni), alla disabilità (350 milioni), alla cooperazione allo sviluppo (700 milioni) e all’ambiente (280 milioni). E aumentano le spese militari di un miliardo. I sussidi alle industrie fossili restano: 22,8 miliardi all’anno. Due voci che restituiscono il profilo politico dell’estrema destra al governo. Infine c’è anche un piano triennale di privatizzazioni da 22 miliardi: un autentico miraggio. Tutto è pronto per la prossima austerità che il governo ha firmato nel nuovo patto di stabilità dal prossimo anno. E per l’economia di guerra.

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È stata la manovra della guerra ai poveri. L’abolizione del “reddito di cittadinanza”, sostituito da due misure diverse per una platea più ridotta, ha portato a un taglio da 8 miliardi e 700 milioni a 7 miliardi e 76 milioni all’anno, con un “risparmio” di 1 miliardo e 700 milioni per una misura che conferma l’impostazione workfarista precedente e peggiora la condizione dei “poveri” definiti “occupabili”: per ricevere un sussidio tagliato a 350 euro dovranno fare corsi di formazione, sempre che partano. E, quando partano, non è detto che saranno pagati, come sta accadendo in molte regioni (l’ultima denuncia è stata presentata dalla Cgil in Toscana). Dunque, alla manovra risparmia sui poveri “inabili al lavoro” (l’assegno di inclusione durerà sei mesi in meno) e su quelli “abili” ai quali il sussidio è già mediamente ridotto. Patetica, ma ideologicamente efficace, è stata la spiegazione di questo odio contro i poveri: il mercato del lavoro è in ripresa perché è stato eliminato il sussidio che aveva il nome sgradito da chi lo ha definito “metadone di stato”. Non dicono, questi manutengoli della menzogna, che tale mercato cresce per il lavoro precario, e non perché gli “occupabili” sono tornati sul mercato. In gran parte, infatti, queste persone sono lontane dal mercato del lavoro da anni.

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I pasticci sulle pensioni dei medici non fermano gli scioperi

È stata la manovra che ha reso più difficile andare in pensione anticipata per diverse categorie del lavoro pubblico. Medici e infermieri hanno scioperato tre volte in un mese, e torneranno a farlo a gennaio. Pochi motivi di soddisfazione per loro che saranno costretti a lavorare fino a 70 anni per diminuire la sfociata ai contributi. Per finanziare una vera e propria misura di austerità un emendamento del governo ha previsto un taglio al fondo sanitario nazionale da 3 miliardi dal 2033 per i dieci anni successivi. Una decisione che acuisce la crisi del settore finanziato dal governo con 3 miliardi supplementare, gli stessi che taglierà tra dieci anni.

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Sulle pensioni c’è anche il ritorno a Quota 103, ma con penalizzazioni: restano i 62 anni d’età e 41 di contributi, ma l’assegno sarà ricalcolato con il metodo contributivo e con un tetto massimo mensile di circa 2.250 euro. Secondo le stime, consentirà la pensione anticipata a 17mila persone nel 2024. Confermata l’Ape sociale ma sale il requisito (63 anni e 5 mesi). Anche Opzione donna subisce una nuova stretta: l’età minima sale da 60 a 61 anni, con uno sconto di un anno per figlio fino a un massimo di due.

È stata la manovra che ha dirottato 1,6 miliardi di euro dal fondo coesione e sviluppo di Sicilia (1,3 miliardi) e Calabria (300 milioni) finanziare la quota parte a carico de(1,3 a carico  la mega-opera delle destre italiane, ora cara al ministro Salvini. Ed è stata la manovra che ha fatto finta di tassare gli extraprofitti delle banche.

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Un’altra manovra è possibile, quella di Meloni è una «leggina» iniqua e sbagliata

È stata la manovra che lascia senza una soluzione il rebus Superbonus. Nel decreto Milleproroghe Forza Italia otterrà una proroga ad hoc. “Non è che noi viviamo su Marte – ha detto il ministro dell’economia Giorgetti – ma abbiamo anche i numeri. Abbiamo un problema di tenuta dei conti pubblici da cui poi facciamo dipendere le decisioni”.

Il voto  in aula si è svolto ieri mentre un penoso dibattito ha incrociato le valutazioni   sulla manovra, sul Mes e sul patto Ue di stabilità. Tra tutti va segnalato lo scambio sull’eredità del berlusconismo «postumo» e il Mes tra Matteo Renzi e Maurizio Gasparri. Quest’ultimo si è lasciato sfuggire un «vaffa». Chissà se andranno alla Var

 

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Sei giorni di rinvii per approvare una risoluzione che non prevede cessate il fuoco: è il topolino partorito dalla montagna Onu nel giorno in cui le inchieste di Cnn e New York Times accusano Israele di aver sganciato sulle zone «sicure» di Gaza bombe da 900 kg, per 1.600 volte

NIENTE CESSATE IL FUOCO. Il segretario generale Guterres: «Non era il testo auspicato. Il cessate il fuoco è l’unico vero mezzo per porre fine alle sofferenze. La risoluzione di oggi può aprire quella strada»

Un camion di aiuti umanitari entra a Gaza dal valico di Rafah foto Ap/Abed Rahim Khatib Un camion di aiuti umanitari entra a Gaza dal valico di Rafah - foto Ap/Abed Rahim Khatib

 

Erano le 12.07 di New York quando un’alzata di mano ha messo agli atti dell’Onu una storica risoluzione del Consiglio di Sicurezza. La mozione chiede «urgenti ed estese pause e corridoi umanitari in tutta la Striscia di Gaza, tali da permettere il pieno, rapido, sicuro e libero accesso umanitario» alle popolazioni civili.

La risoluzione chiede anche di «creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità». L’appello alla «creazione di condizioni» piuttosto che alla cessazione delle ostilità è il sofisma che ha reso storico il voto di ieri.

SI TRATTA della prima volta dal 1972 che gli Stati uniti non pongono il veto a una mozione che critica l’operato del proprio alleato. La mozione è rivolta a tutte le parti in causa ma, dato che è sottinteso, come ha specificato il segretario generale Guterres, che la causa principale e diretta della catastrofica crisi umanitaria sono le operazioni di guerra e, ha aggiunto il delegato cinese Zhang Jun, «la punizione collettiva della popolazione civile», la richiesta può essere letta come appello diretto a Israele.

Per oltre cinquant’anni un rappresentante di Washington si è assicurato che ogni appello alla pace, alla moderazione o alla protezione dei civili, ogni richiamo al rispetto delle norme internazionali e umanitarie, fallisse la ratifica Onu col pretesto di un’inaccettabile parzialità.

Con questa logica gli Usa si sono opposti a mozioni contro gli insediamenti legali nei territori occupati, per la protezione dei civili nella repressione delle intifada, per il rispetto degli accordi su Gerusalemme est, in generale contro le violenze indiscriminate contro la popolazione palestinese e per il rispetto degli accordi multilaterali regolarmente ignorati da Israele.

In ogni occasione un ambasciatore americano all’Onu ha posto il veto che assicurava il fallimento delle risoluzioni in questione, spesso sostenute da centinaia di nazioni contro due. Tecnicamente, il record è ancora intatto: nemmeno ieri gli Stati uniti hanno votato a favore, limitandosi a un’astensione (assieme alla Russia).

Nel convoluto gioco diplomatico del Palazzo di Vetro, quella posizione ha però di fatto permesso la

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GAZA. Delegazione di Hamas al Cairo. Gli Usa chiedono «operazioni militari più mirate e localizzate». Ma anche ieri il solito massacro

Dopo 20mila morti riparte la trattativa per tregua e ostaggi Gaza, macerie dopo un bombardamento israeliano - Ap

Antony Blinken è un disco rotto. Anche ieri ha ripetuto, come fa da settimane, che le forze armate israeliane devono passare ad «operazioni militari più mirate e localizzate» nella Striscia di Gaza e «concentrarsi sulla leadership di Hamas e la distruzione della rete di tunnel», utilizzata dai combattenti islamisti, per limitare i rischi per i civili palestinesi. Poi, come il presidente Joe Biden e il resto dell’Amministrazione Usa, non fa l’unica cosa che può salvare vite innocenti a Gaza: chiedere il cessate il fuoco generale e approvare le risoluzioni dell’Onu volte a fermare la guerra e ad aiutare concretamente i civili palestinesi gettati dai bombardamenti aerei e dell’artiglieria nella disperazione totale. L’ultima risoluzione in quella direzione, in discussione da giorni al Consiglio di Sicurezza, anche ieri non è stata votata – se ne parlerà di nuovo oggi – per disaccordi sul testo tra paesi arabi e Stati uniti pronti ad usare di nuovo il potere di veto pur di garantire la continuazione dell’offensiva israeliana.

Le bombe e i missili che l’Amministrazione Biden fornisce da oltre due mesi a Israele uccidono in media un bambino ogni dieci minuti a Gaza, aveva denunciato ai primi del mese l’Oms. Parole cadute nel vuoto. E la striscia di sangue ha continuato ad allungarsi anche ieri per bambini e adulti. Più di 40 palestinesi, ha riferito l’agenzia Wafa,  sono stati uccisi e decine feriti in bombardamenti israeliani su Khan Younis e Rafah nel sud di Gaza. All’ospedale Nasser sono stati portati almeno 32 cadaveri. Almeno altre dieci persone sono state uccise nell’attacco alla moschea Ali bin Abi Talib, nelle vicinanze dell’ospedale kuwaitiano a Rafah. Gli aerei hanno bombardato una casa a Shaboura, provocando la morte e il ferimento di civili. Video giunti da Rafah mostrano esplosioni devastanti e alte colonne di fumo nero che si alzano dagli edifici colpiti. Bombe anche sul nord di Gaza, ancora su Jabaliya e il suo campo profughi. I morti e i feriti sarebbero decine. Martedì sempre a Jabaliya, 16 palestinesi erano stati uccisi dai bombardamenti e più di 70 feriti. Un bambino è morto in una casa presa di mira a Khan Yunis. L’artiglieria israeliana ha bombardato i quartieri di Tuffah, Daraj e Shuja’iya, a est di Gaza City e Sheikh Radwan. I morti palestinesi, solo ieri, secondo fonti locali, sarebbero almeno 100. Ma in serata si parlava anche del recupero dei corpi di una settantina di persone a Thalathini (Gaza city) dopo il ritiro dei reparti corazzati israeliani. Altre 27 palestinesi sarebbero stati uccisi a Moammar e Jargoun. Dal 7 ottobre sono 20mila i morti palestinesi, a cui si aggiungono oltre 50mila feriti e migliaia di dispersi. Hamas da parte sua afferma di aver distrutto o danneggiato decine di veicoli israeliani e di aver ucciso o ferito 25 soldati nelle ultime 72 ore. Da parte israeliana non ci sono conferme. Le Brigate Qassam, l’ala militare di Hamas, ha diffuso un video in cui si vedono i suoi uomini che producono armi e munizioni.

Sembrano più concreti in queste ore i passi verso una tregua temporanea e forse uno scambio tra i 129 israeliani nelle mani di Hamas a Gaza e i prigionieri politici palestinesi. Non è detto però che producano risultati nei prossimi giorni. Il capo dell’ufficio politico del movimento islamico, Ismail Haniyeh, ieri è arrivato al Cairo per colloqui con l’intelligence egiziana. Il passo sembra coordinato con il Qatar, il principale interlocutore (e sponsor finanziario) di Hamas. Israele vuole il rilascio degli ostaggi, cominciando da quelli civili, e in cambio offre la cessazione temporanea dell’attacco a Gaza per una settimana. Hamas vuole due settimane di tregua, si dichiara «pronto a negoziare con chiunque» e a raggiungere un «grande compromesso» per lo scambio di ostaggi e prigionieri con Israele ma solo quando terminerà la guerra. Un suo portavoce, Ghazi Hamad, ha detto che non sono nell’interesse di Hamas o dei palestinesi le «brevi pause» nei combattimenti. La visita di Haniyeh al Cairo, insieme a una delegazione del Jihad islami, giunge dopo gli incontri tra i vertici dell’intelligence Usa (Cia), israeliana (Mossad), con il ministro degli Esteri del Qatar, Mohamed bin Jasim al Thani.

Secondo il quotidiano Haaretz i negoziati sono «lontani dall’essere maturi» e l’enfasi che il premier Netanyahu mette sulla ripresa delle trattative avrebbe lo scopo di rassicurare le famiglie degli ostaggi sull’impegno del suo governo mentre è difficile si raggiunga un’intesa. Le parole di Netanyahu non lasciano dubbi sulle intenzioni del gabinetto di guerra. «Continueremo la guerra fino alla fine – ha ribadito ieri il premier israeliano – continuerà finché Hamas non sarà distrutto fino alla vittoria…Chiunque pensi che ci fermeremo è lontano dalla realtà».

Ieri in Cisgiordania durante un raid dell’esercito nel villaggio di Husan è stato ucciso Mahmud Zaoul, un ragazzo di 16 anni

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IL CASO. Chiusa la partita del Patto di stabilità entra nel vivo quella del Mes, l'epilogo resta incerto

 

Dopo l’accordo sofferto sul patto di stabilità e crescita raggiunto ieri sul «patto di stabilità e crescita» i margini per la strategia del rinvio del Mes adottata dalle destre al governo si sono ristretti ulteriormente. L’obiettivo politico resta quello di non spaccare una maggioranza divisa e di puntare a un nuovo rinvio del voto sull’enigmatico trattato al 2024. Se la commissione Bilancio della Camera non esprimerà il parere, com’è accaduto anche ieri la ratifica del trattato non potrà approdare in aula. Tutto però continua ad avvenire nella massima confusione. In mattinata infatti erano state diffuse voci su un voto imminente per oggi. La pressione del governo e sulla maggioranza è alta. L’Italia continuerà a restare l’ultimo paese in Europa a non averlo firmato.
È in corso un braccio di ferro tra i pro e i contrari, nella maggioranza, alla firma del trattato.

Ieri, in commissione Bilancio, è andato in scena un altro gioco delle parti tra il sottosegretario all’Economia Federico Freni e Ylenja Lucaselli (Fratelli d’Italia) spiegando che la ratifica non avrebbe effetti finanziari, ma la relatrice non ha formulato il parere e ha chiesto un rinvio. «Non c’è urgenza. E non ci sono effetti negativi per gli altri Stati che possono comunque usufruire del Mes». «Una scelta indecente» l’ha definita Luigi Marattin (Italia Viva) il quale ha evidenziato che alla seconda richiesta di chiarimenti della maggioranza, il Ministero dell’economia ha risposto che «nel caso assai remoto in cui venisse attivato il prestito dal Mes al Fondo Unico di Risoluzione non vi sarebbe un incremento apprezzabile delle probabilità che l’Italia debba versare quote di capitale». Per il partito democratico ciò sconfesserebbe « il bluff della maggioranza».

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Barriere, controlli, respingimenti. L’Ue trova l’accordo sul patto immigrazione e asilo ed è un trionfo delle destre. Italia sconfitta, restano le regole di Dublino. Anche ai bambini di sei anni saranno prese le impronte. Von der Leyen parla come Meloni: «Decidiamo noi chi entra»

CHECKPOINT EUROPA. Via libera alle modifiche al Patto. Vincono le destre, ma l’Ungheria si mette di traverso

Le elezioni spingono l’Unione a trovare un accordo sui migranti

Cambiare tutto per cambiare poco e quel poco anche in peggio. L’accordo raggiunto la scorsa notte tra Europarlamento e Consiglio Ue sulle modifiche da apportare al Patto immigrazione e asilo non modifica il regolamento di Dublino e instaura un finto meccanismo obbligatorio di ricollocamento dei migranti lasciando liberi gli Stati di scegliere tra accoglienza o contributi economici, ma in compenso restringe il diritto di asilo con il rischio concreto di peggiorare notevolmente le condizioni di quanti cercano un futuro in Europa. Un brutto accordo sul quale certamente ha avuto un peso determinante l’imminenza delle prossime elezioni europee, appuntamento al quale nessun governo, né di destra e tanto meno di sinistra, vuole arrivare senza poter rivendicare come un successo con il proprio elettorato l’aver cambiato le politiche migratorie dell’Unione.

Peccato che il risultato finale sia un cedimento di fatto alle destre europee che infatti cantano quasi ovunque vittoria. Con l’unica eccezione, per ora, di Ungheria e Slovacchia, da sempre contrarie ad accogliere migranti o contribuire economicamente. «Finché questi governi saranno in carica a Bratislava e Budapest, tutti a Bruxelles possono essere certi che rifiuteremo le quote obbligatorie di reinsediamento e non permetteremo che i nostri Paesi siano sopraffatti da masse di migranti illegali», ha chiarito il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjartó.

Dopo oltre due anni di tentativi naufragati (il patto venne presentato dalla Commissione Ue nel 2020) alla fine l’accordo è stato raggiunto al termine di una trattativa durata più di

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