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MANOVRA. Una legge di bilancio rinunciataria, iniqua e inadeguata è passata ieri al Senato dove il governo ha posto la fiducia su un maxiemendamento: 112 sì, 76 no. Entro il 29 dicembre sarà votata dalla Camera. Nel Milleproroghe allo studio una soluzione ad hoc per il Superbonus. Tagli alla spesa, guerra ai poveri, rimedi non strutturali al calo dei salari, fondi all'industria militare mentre i fondi dannosi per l'ambiente restano

Passa al Senato una legge di bilancio iniqua e inadeguata La presidente del Consiglio Meloni con il ministro dell'Economia Giorgetti - Ansa

Una legge di bilancio rinunciataria, iniqua e inadeguata è passata ieri in prima lettura al Senato dove il governo ha posto la fiducia su un maxiemendamento: 112 sì, 76 no, 3 astenuti. Entro il 29 dicembre il disegno di legge sarà votato dalla Camera. L’esito è scontato. Anzi, blindato. Il rito ragionieristico che ha rivelato sempre più i limiti di quella che dovrebbe essere la legge economica più importante, quest’anno è stato peggiorato dalla richiesta di non presentare emendamenti fatta dalla presidente del Consiglio Meloni alla propria maggioranza. Richiesta coerente con lo svuotamento della democrazia parlamentare e allineato con il crescente autoritarismo che dovrebbe culminare con la riforma del “premierato”, almeno nelle intenzioni di Meloni. Tuttavia le modifiche alla manovra ci sono state. Le ha apportate il governo con quattro emendamenti. E gli stessi relatori di maggioranza.

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È stata la manovra che mantiene per il secondo anno circa 100 euro in più per le buste paghe di chi ha redditi fino a 27.500 euro lordi finanziati attraverso una riduzione delle tasse (cuneo fiscale, Irpef). L’importo andrà di nuovo rifinanziato l’anno prossimo quando entrerà in vigore il nuovo patto di stabilità Ue che potrebbe rendere difficile rinnovare il bonus un’altra volta.

La riduzione delle tasse è stata pagata con un maggiore deficit pari a circa 17 miliardi, finanziarti da tagli alla spesa (8,6 miliardi) e da maggiori entrate (8,5). Dunque, saranno i contribuenti a pagare l’integrazione salariale decisa in mancanza del rinnovo sistematico e massiccio dei contratti nazionali. Non solo. Dovranno pagare anche i ministeri (meno 5%) e gli enti locali per i quali il governo ha previsto tagli lineari da 600 milioni all’anno per i prossimi tre. Ci sono i tagli al servizio civile (200 milioni), alla disabilità (350 milioni), alla cooperazione allo sviluppo (700 milioni) e all’ambiente (280 milioni). E aumentano le spese militari di un miliardo. I sussidi alle industrie fossili restano: 22,8 miliardi all’anno. Due voci che restituiscono il profilo politico dell’estrema destra al governo. Infine c’è anche un piano triennale di privatizzazioni da 22 miliardi: un autentico miraggio. Tutto è pronto per la prossima austerità che il governo ha firmato nel nuovo patto di stabilità dal prossimo anno. E per l’economia di guerra.

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È stata la manovra della guerra ai poveri. L’abolizione del “reddito di cittadinanza”, sostituito da due misure diverse per una platea più ridotta, ha portato a un taglio da 8 miliardi e 700 milioni a 7 miliardi e 76 milioni all’anno, con un “risparmio” di 1 miliardo e 700 milioni per una misura che conferma l’impostazione workfarista precedente e peggiora la condizione dei “poveri” definiti “occupabili”: per ricevere un sussidio tagliato a 350 euro dovranno fare corsi di formazione, sempre che partano. E, quando partano, non è detto che saranno pagati, come sta accadendo in molte regioni (l’ultima denuncia è stata presentata dalla Cgil in Toscana). Dunque, alla manovra risparmia sui poveri “inabili al lavoro” (l’assegno di inclusione durerà sei mesi in meno) e su quelli “abili” ai quali il sussidio è già mediamente ridotto. Patetica, ma ideologicamente efficace, è stata la spiegazione di questo odio contro i poveri: il mercato del lavoro è in ripresa perché è stato eliminato il sussidio che aveva il nome sgradito da chi lo ha definito “metadone di stato”. Non dicono, questi manutengoli della menzogna, che tale mercato cresce per il lavoro precario, e non perché gli “occupabili” sono tornati sul mercato. In gran parte, infatti, queste persone sono lontane dal mercato del lavoro da anni.

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I pasticci sulle pensioni dei medici non fermano gli scioperi

È stata la manovra che ha reso più difficile andare in pensione anticipata per diverse categorie del lavoro pubblico. Medici e infermieri hanno scioperato tre volte in un mese, e torneranno a farlo a gennaio. Pochi motivi di soddisfazione per loro che saranno costretti a lavorare fino a 70 anni per diminuire la sfociata ai contributi. Per finanziare una vera e propria misura di austerità un emendamento del governo ha previsto un taglio al fondo sanitario nazionale da 3 miliardi dal 2033 per i dieci anni successivi. Una decisione che acuisce la crisi del settore finanziato dal governo con 3 miliardi supplementare, gli stessi che taglierà tra dieci anni.

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Sulle pensioni c’è anche il ritorno a Quota 103, ma con penalizzazioni: restano i 62 anni d’età e 41 di contributi, ma l’assegno sarà ricalcolato con il metodo contributivo e con un tetto massimo mensile di circa 2.250 euro. Secondo le stime, consentirà la pensione anticipata a 17mila persone nel 2024. Confermata l’Ape sociale ma sale il requisito (63 anni e 5 mesi). Anche Opzione donna subisce una nuova stretta: l’età minima sale da 60 a 61 anni, con uno sconto di un anno per figlio fino a un massimo di due.

È stata la manovra che ha dirottato 1,6 miliardi di euro dal fondo coesione e sviluppo di Sicilia (1,3 miliardi) e Calabria (300 milioni) finanziare la quota parte a carico de(1,3 a carico  la mega-opera delle destre italiane, ora cara al ministro Salvini. Ed è stata la manovra che ha fatto finta di tassare gli extraprofitti delle banche.

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Un’altra manovra è possibile, quella di Meloni è una «leggina» iniqua e sbagliata

È stata la manovra che lascia senza una soluzione il rebus Superbonus. Nel decreto Milleproroghe Forza Italia otterrà una proroga ad hoc. “Non è che noi viviamo su Marte – ha detto il ministro dell’economia Giorgetti – ma abbiamo anche i numeri. Abbiamo un problema di tenuta dei conti pubblici da cui poi facciamo dipendere le decisioni”.

Il voto  in aula si è svolto ieri mentre un penoso dibattito ha incrociato le valutazioni   sulla manovra, sul Mes e sul patto Ue di stabilità. Tra tutti va segnalato lo scambio sull’eredità del berlusconismo «postumo» e il Mes tra Matteo Renzi e Maurizio Gasparri. Quest’ultimo si è lasciato sfuggire un «vaffa». Chissà se andranno alla Var