DELOCALIZZAZIONI. Il giudice del lavoro accoglie il ricorso della Fiom Cgil e decreta la condotta antisindacale della Qf di Francesco Borgomeo. De Palma e Calosi: "Ora va rilanciato il sito produttivo, ci sono tutti gli strumenti per farlo, sia statali che regionali: nessuno può più accampare scuse".
Il Collettivo di Fabbrica ex Gkn - Andrea Sawwyer
Per la seconda volta nella storia di una lunghissima vertenza in corso da due anni e mezzo, il giudice del lavoro annulla i licenziamenti dei lavoratori della ex Gkn, oggi Qf. Il provvedimento riguarda i 185 operai superstiti dello stabilimento di semiassi per auto di Campi Bisenzio, chiuso dalla sera alla mattina dalla multinazionale Gkn-Melrose il 9 luglio 2021, giorno di inizio di una resistenza operaia diventata un simbolo della lotta alle delocalizzazioni.
Il decreto di annullamento dei licenziamenti, che sarebbero scattati il primo gennaio prossimo, accoglie parzialmente il ricorso per condotta antisindacale presentato due settimane fa dalla Fiom Cgil, In particolare la sentenza pone l’indice sulla mancanza delle dovute comunicazioni al sindacato di quanto stava accadendo in Qf, non permettendo così alla Fiom di ottenere le informazioni necessarie, e indispensabili, per svolgere il suo compito istituzionale di tutela degli interessi collettivi dei lavoratori.
Non è un mistero peraltro, così come denunciato a più riprese dagli enti locali, Regione Toscana in testa, che il proprietario di Qf, Francesco Borgomeo, non si sia mai presentato ai tavoli di trattativa organizzati in tutto il 2023, nel tentativo di avviare quella reindustrializzazione del sito produttivo che lo stesso Borgomeo, ex advisor di Gkn-Melrose, aveva propagandato fin dal suo arrivo a Campi Bisenzio alla fine del 2021. Una reindustrializzazione che, dopo la firma di un accordo quadro al ministero, si era limitata ad una bozza di piano industriale talmente carente da provocare l’irritazione degli stessi dirigenti dell’allora Mise, oltre che degli enti locali, del sindacato e della Rsu.
“La sentenza del giudice del Tribunale del Lavoro di Firenze – commentano ora Michele De Palma, segretario generale della Fiom Cgil e Daniele Calosi che guida la Fiom Cgil di Firenze Prato e Pistoia – conferma la correttezza delle posizioni della Fiom Cgil e il comportamento antisindacale tenuto dalla controparte dall’inizio dell’intera vertenza”.
Salvetti (ex Gkn): “Intervento pubblico per reindustrializzare e non licenziare”
“Ora – concludono i due dirigenti sindacali – è il momento di affrontare la fase di rilancio produttivo del sito, favorire la nascita di un condominio industriale e analizzare profondamente il piano industriale della cooperativa dei lavoratori e farne una reale possibilità di garanzia, utilizzando il tempo in più che il Tribunale di Firenze ci ha concesso, forti dell’esito del ricorso che abbiamo presentato. Ci sono tutti gli strumenti per farlo, sia statali che regionali: nessuno può più accampare scuse”.
Dal canto loro, gli operai ex Gkn hanno dato appuntamento per oggi, insieme all’avvocato Andrea Stramaccia che li ha assistiti, per entrare nel dettaglio della sentenza. Un’occasione per presentare anche il San Silvestro in via Fratalli Cervi dove, a partire dalle sei del pomeriggio, il caso Gkn sarà ulteriormente approfondito prima che la parola passi alla musica con un concerto di fine anno. “La lotta va avanti – anticipa sinteticamente la Rsu – progetti di reindustrializzazione, azionariato popolare e il 31 dicembre tutte e tutti davanti ai cancelli per continuare a difendere il futuro di una fabbrica che sempre più persone, realtà sociali e movimenti vogliono pubblica e socialmente integrata”.
Tanti i commenti su questa ennesima tappa della vertenza, compreso quello soddisfatto della Fnsi e dell’Assostampa Toscana. “Ognuno faccia la propria parte – annota il segretario del Pd toscano Emiliano Fossi – a partire dal governo che é stato latitante in questo ultimo anno”. “Ci aspettiamo – aggiunge il presidente regionale Eugenio Giani – che i licenziamenti vengano ritirati, e che l’azienda si predisponga ad un vero e costruttivo confronto sul destino industriale del sito e dei lavoratori”.
“La Regione Toscana può approvare una norma per stanziare almeno 500mila euro per sostenere il progetto di reindustrializzazione dei lavoratori Gkn”, segnala Maurizio Acerbo del Prc, e Marco Grimaldi di Verdi-Sinistra osserva: “Per fortuna ci ha pensato il giudice dal lavoro a fare legalità, nel silenzio di un governo che ha mostrato ipocrisia e connivenza con chi sperava di vendere lo stabilimento e fare speculazione immobiliare”.
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IL PATTO INDIETRO. Il ministro in commissione dopo il no al Mes e il nuovo Patto di stabilità: «Legge di bilancio coerente, il nostro problema è il debito pubblico». Poi però si lascia sfuggire: «Era un sistema confusionario, ora è il caos totale»
Giancarlo Giorgetti ieri in commissione bilancio - Ansa
Quando Giancarlo Giorgetti arriva in commissione alla Camera per battezzare la legge di bilancio sa che non può evitare di sottrarsi alle domande su Patto di stabilità e Mes. Dunque, il ministro dell’economia, presentato più volte come volto pragmatico e moderato del salvinismo, cerca di districarsi tra slogan sovranisti e una manovra che sembra pensata apposta per rassicurare l’Europa. Difficile evitare di cadere in contraddizione. A partire da un’opera di restyling linguistico: «Il problema non è l’austerità, ma la disciplina». Dice ai deputati che lo incalzano che bisogna smetterla con le «allucinazioni psichedeliche» in base alle quali ci si può indebitare ulteriormente. «Non possiamo e non dobbiamo festeggiare gli accordi dei giorni scorsi – afferma – Ma tutta questa discussione è viziata dalla allucinazione di questi quattro anni in cui abbiamo pensato che si potevano fare debito e scostamenti senza tornare a un sistema di regole». È un modo per dichiarare chiusa la fase apertasi nell’emergenza pandemia, anche se le crisi che colpiscono l’economia globale e soprattutto l’Europa richiederebbero altri provvedimenti.
GIORGETTI sembra assolvere il nuovo Patto: «Molti invocano il potere di veto che l’Italia avrebbe potuto esercitare – afferma – Ma per fare una analisi onesta dobbiamo valutare intanto cosa sarebbe entrato in vigore in caso di mancato accordo, cioè il vecchio patto», che dice di considerare ancora peggiore di questo. Non può negare che gli investimenti chiesti proprio dalla Ue per la transizione non sono stati scorporati, ma presenta come successo dell’Italia l’aver ottenuto «che almeno per le spese del Pnrr fossero considerate». Poi però ammette che rispetto alla proposta originaria della Commissione Ue c’è stato un passo indietro: «È stato introdotto in un sistema già confusionario il caos totale. Abbiamo introdotto tantissime clausole per richieste di diversi paesi. Ogni paese ci ha messo del suo per arrivare al consenso dei 27, altrimenti non si andava avanti». Alla luce di tutto ciò, per Giorgetti bisogna attendere per capire se pesano di più i pro e i contro: «È un compromesso, la valutazione la faremo tra qualche tempo». Se l’Italia ha un debito pubblico al 140%, il leghista dice chiaramente che deve in qualche modo stringere i cordoni della borsa, per questo difende la legge di bilancio in quanto coerente con questo scenario. «Quello che ritengo importante, che sempre ho spiegato a tutti gli osservatori, è che il governo italiano avrebbe continuato con una postura di prudenza e sostenibilità – sostiene – Fin quando questo atteggiamento viene sostenuto, il paese è al riparo dalle tempeste». Quanto al Mes, il ministro nega di aver detto che l’Italia lo avrebbe ratificato, assicura di aver solo chiesto che il parlamento si pronunciasse entro l’anno. «Il Mes sarebbe stato uno strumento in più, ma il nostro problema è il debito – è la sua versione – Comunque abbiamo il sistema bancario più solido, anche grazie a leggi molto criticate, e non credo che le nostre banche possano avere conseguenze».
RIVENDICA lo stop al Superbonus, altra misura che attribuisce allo stato lisergico della spesa pubblica (anche se ancora in serata da Forza Italia dicono di confidare in una mini-proroga). Poi difende la scelta di accollare un pezzo delle spese del Ponte sullo Stretto alle Regioni. Bisognerà ricordarselo nella campagna elettorale per le europee, anche perché molti dall’opposizione sottolineano che queste posizioni cozzino con quanto di solito predica Matteo Salvini. «Giorgetti dice che gli effetti si vedranno in futuro – afferma Marco Grimaldi di Alleanza Verdi e Sinistra – Sono parole per coprire il disastro di una delle manovra più inique degli ultimi anni. L’unica cosa che non ha detto è che vedremo bene solo l’austerità». «Non è accettabile che il ministro si sottragga alle sue responsabilità – attacca Riccardo Ricciardi del Movimento 5 Stelle – Vorremmo ricordare che Giorgetti ha passato quasi tre anni al governo nel periodo in cui dice che si spacciava Lsd». Dal Partito democratico la capogruppo Chiara Braga sottolinea come lo stesso ministro ammetta che il Patto di stabilità sia «passato sulla testa del governo e di Meloni: ma sarà il paese a doverlo pagare»
Commenta (0 Commenti)INSUCCESSI DI GOVERNO. La destra parlava di soli 6 miliardi, in realtà è più del doppio. Per il tihnk tank Bruegel, sarà dello 0,61% l’«aggiustamento medio annuo». E torna la procedura d’infrazione. Vincolo dei «falchi» sul debito pubblico La prossima legge di bilancio parte da meno 23 miliardi
Una vignetta contro l'austerità
L’ambiguità regna ancora, le stime divergono fortemente ma tutte concordano su un punto: il nuovo Patto di stabilità ipoteca oltre 10 miliardi di correzione annuale dei conti pubblici italiani.
A una settimana dall’accordo franco-tedesco, poi ratifico da tutto l’Ecofin, lo studio del testo ha rovinato le feste di natale a economisti, think tank e funzionari governativi, con Giorgetti che ha invitato i giornalisti «a leggerlo per scoprire che è molto meglio di quanto si pensi». Nessuno è in grado di dire con certezza quanto costerà ai vari paesi.
Non lo è in primis il commissario Ue Paolo Gentiloni che ha comunque festeggiato il nuovo accordo «un passo avanti»: «regole comuni senza tornare all’austerità». Parole che hanno indispettito molti, anche nel suo Partito democratico, consci che il nuovo patto sia la conferma del rigore di bilancio che piegandosi ai diktat liberisti, ha fatto perdere milioni di voti al Pd. A chi stima la correzione di bilancio annua in soli 6 miliardi rispetto ai 10 delle vecchie regole, Gentiloni ha dovuto rispondere così: «La norma non contiene cifre, ma certo c’è una chiara flessibilità per tenere conto, dal 2025 al 2027, dell’aumento di spesa per interessi, al fine di salvaguardare investimenti in difesa, per il digitale e per l’ambiente».
IN REALTÀ I FALCHI HANNO IMPOSTO però due vincoli molto precisi che avranno conseguenze negative, in primis per l’Italia. Il primo sul debito: il piano di aggiustamento deve essere congegnato in modo tale che, anche allungando il periodo da quattro a sette anni, il rapporto debito su Pil debba comunque ridursi di almeno un punto su Pil all’anno in media. Il secondo vincolo è sul disavanzo. Non è più sufficiente garantire che il deficit su Pil rimanga sotto la soglia del 3 per cento, la regola di Maastricht: alla fine del percorso di aggiustamento il disavanzo deve scendere sotto l’1,5 per cento del Pil.
È previsto un miglioramento del deficit primario (strutturale) dello 0,4 per cento all’anno in media nel caso di un piano di durata quadriennale, dello 0,25 per cento all’anno in media nel caso di un piano settennale.
Al netto della concessione spuntata che prevede come nel triennio 2025-2027 si tenga conto dell’incremento nella spesa per interessi intervenuta nel periodo (anche qui senza nessun numero scritto), è il primo vincolo – anche a causa della cosiddetta «staticità» del nostro debito pubblico – a provocare una correzione molto forte.
DOPO LO STOP PER LA PANDEMIA e il prolungamento fino a quest’anno, il nuovo Patto rispolvera poi la «procedura d’infrazione» peri paesi non i regola con il tetto al 3% del rapporto deficit/Pil.
Nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza di ottobre il governo Meloni stimava uno 0,5%: da un deficit del 5,9% del 2023 si passerà al 4,8% nel 2024, per poi scendere di un ulteriore 0,5% nel 2025. Ancora un taglio, dal 4,3% al 3,5% nel 2026, ancora lontano al 3% richiesto inizialmente.
In realtà le stime parlando di molto di più, smentendo le opinioni di Giorgetti. Le stime più sensate sono quelle che considerano il cosiddetto «aggiustamento medio annuo del saldo primario strutturale». Come quelle del think tank Bruegel che per l’Italia lo fissa a 0,61 punti all’anno, mentre nella simulazione di settembre sulla versione precedente era molto più basso: allo 0,4.
Si tratta – come ha stimato anche il Sole24Ore – di 12-13 miliardi per sette anni, una cifra però che andrebbe «a crescere negli anni». L’Italia poi sarebbe il paese europeo con un «aggiustamento annuale medio» più alto in Europa dopo il Belgio (0,71) che però dovrà tenere un avanzio primario molto più basso: 2,6% contro il nostro 3,3%, valore di gran lunga superiore a tutti gli altri paesi dell’area Euro: oltre al Belgio, c’è il Portogallo a 2,6%.
Con questi chiari di luna, si capiscono meglio le reazioni di molti esponenti della maggioranza: la prossima legge di Bilancio parte già con un fardello di almeno 23 miliardi. Oltre ai 12-13 della correzione imposta dal nuovo Patto, vanno aggiunti gli almeno 10 miliardi del taglio del cuneo sul costo del lavoro, che anche quest’anno non è stato reso strutturale dal governo Meloni
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ISRAELE. Trenta giorni di pena, rinnovabili. È il primo caso di refusenik dal 7 ottobre. Fuori dalla base di Tel Hashomer lancia il suo messaggio: «L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza»
L'obiettore di coscienza israeliano Tal Mitnick
Il video di Tal Mitnick di fronte alla base militare di Tel Hashomer, a poca distanza dalla Striscia di Gaza, è stato pubblicato martedì. Il 18enne spiega in pochi secondi perché sta per entrare in prigione, a scontare una pena di 30 giorni (rinnovabile): obiezione di coscienza, non intende vestire l’uniforme dell’esercito israeliano, d’obbligo nel paese (tre anni di leva per gli uomini, due per le donne). Dal 7 ottobre è l’unico obiettore di coscienza.
«Credo che il massacro non possa risolvere un massacro – dice – L’attacco criminale contro Gaza non riparerà il terribile massacro compiuto da Hamas. La violenza non risolverà la violenza. Ed è per questo che rifiuto».
A pubblicare il video è Mesarvot, rete di sostegno dei refusenik, gli obiettori di coscienza. Perché non è vero che in Israele tutti indossano l’uniforme, di modi per non farlo ce ne sono: se gli ultraortodossi sono esentati per motivi religiosi, tante e tanti giovani ricorrono a certificati medici che ne attestano l’impossibilità.
Pochissimi rifiutano per dichiarati motivi politici (è illegale in Israele seppure lo preveda il diritto internazionale) e che accettano non solo la cella ma una vita da pariah in una
Leggi tutto: L’obiezione di Mitnick: «Rifiuto l’uniforme israeliana» - di Chiara Cruciati
Commenta (0 Commenti)Doveva essere una legge di bilancio senza emendamenti e dal percorso blindato. Non si attendono sorprese clamorose, ma di certo, anche senza assalti alla diligenza dei parlamentari della destra, la maggioranza sarà costretta a soffrire ancora. Il percorso riprende da oggi in commissione Bilancio della Camera. La missione resta la stessa: passare indenni all’ostruzionismo delle opposizioni e al fuoco di fila dei mille emendamenti presentati sabato scorso. Le richieste di modifica al testo approvato dal Senato sono così suddivise: 350 dal Partito democratico, 325 dal Movimento 5 stelle, 250 da Alleanza verdi e sinistra 250 e 70 da Azione. La minoranza chiede che tutti gli emendamenti vengano messi ai voti già in commissione.
MA LE CONTRADDIZIONI europee incombono. La maratona prevede anche il fuoriprogramma dettato dalle scelte del governo sulle regole dell’Unione europee: l’esito del processo sul nuovo Patto di stabilità e crescita e la bocciatura della richiesta di ratifica del Mes. Dunque, nel pomeriggio è stata messa in agenda l’audizione di Giancarlo Giorgetti. Ufficialmente, fa sapere il presidente forzitaliota Giuseppe Mangialavori seguendo le direttive impartite dal governo per bocca del sottosegretario Federico Freni, il ministro dell’economia relazionerà solo sulla manovra. Difficile che le domande poste dai parlamentari non intreccino i temi del debito e delle finanze pubbliche, e dunque che non entrino nel merito delle vicende Ue che hanno messo in difficoltà Giorgetti nei giorni scorsi e che lo hanno posto in conflitto con sé stesso.
LA ROAD MAP prevede che la manovra arrivi in aula da giovedì. Dopo la discussione generale si passerà all’esame del ddl, che proseguirà anche il giorno successivo. Il via libera definitivo è stato fissato dalla conferenza dei capigruppo per venerdì 29 entro le 19. Con due concessioni alle opposizioni: non verrà posta la questione di fiducia e le dichiarazioni di voto verranno trasmesse in diretta televisiva. Questo significa che sulla carta il timing è definito e la maggioranza ha tutti gli strumenti per farlo rispettare senza intoppi. Tuttavia, tra le polemiche politiche del momento e i malumori dei centristi della maggioranza dopo il prevalere delle fazioni anti-Ue che hanno condotto a bocciare il Mes, non è detto che non si registri qualche altra sbavatura. Anche perché se il voto sul meccanismo di salvaguardia Ue della settimana scorsa ha confermato una volta per tutte che la campagna elettorale per le europee è già cominciata, l’ala del governo che si riconosce nelle posizioni dei popolari dovrà giocare le sue mosse dopo la sbandata sovranista degli ultimi giorni. Su questo fronte, esattamente nelle ore in cui i deputati sanno impegnati a votare la manovra, la rediviva Giorgia Meloni si presenterà alla conferenza stampa di fine anno precedentemente rinviata per malattia. In quella sede, è la previsione che si fa nei corridoi di Palazzo Chigi, la presidente del consiglio dovrà anche cominciare a rispondere alla domanda che pone il suo destino prossimo legato a quello del voto di giugno: si candiderà alle europee?
NON È UN CASO, per altro, che anche Antonio Tajani e Maurizio Lupi abbiano convocato i cronisti. Per oggi: ufficialmente serve ad annunciare la federazione dei gruppi consiliari di Forza Italia e Noi Moderati nel Lazio. Di fatto sarà l’occasione di esprimere il loro appoggio al loro ministro prima che vada in scena l’audizione a Montecitorio. Questa manifestazione di sostegno, con tutta evidenza, non sarà a costo zero.
Nemmeno il Natale ferma l’offensiva israeliana, rinvigorita dalla farsa della risoluzione Onu che promette aiuti sufficienti solo a un palestinese su dieci. Guterres: «Mai tanta fame come a Gaza». Betlemme cancella la festa e Netanyahu insiste: andiamo avanti
BETLEMME. Nella città della Natività circondata dall'esercito israeliano sono state annullate tutte le celebrazioni natalizie in solidarietà con Gaza sotto attacco. Previsti solo i riti religiosi
Un presepe in macerie alla Chiesa della Natività di Betlemme - foto Ap
Dal 7 ottobre Betlemme è una città prigioniera, anche in questi giorni di Natale. Per entrarvi si è costretti a passare, e non è facile, il posto di blocco dell’esercito israeliano nei pressi del villaggio di Khader, a sud di Betlemme. Si resta in coda per un bel po’, anche un’ora all’uscita. Non c’è altro modo di arrivare in auto nella città. Tutti gli altri posti di blocco sono sigillati dal giorno dell’attacco di Hamas nel sud di Israele. Per ragioni di sicurezza, afferma Israele. Per i palestinesi invece è una punizione collettiva che stanno subendo città e villaggi della Cisgiordania. Da Khader si va verso il campo profughi di Dheisheh, quindi si passa per il sobborgo di Doha, poi all’incrocio grande di Beit Jala finalmente si svolta verso Betlemme. Giunti in città si capisce subito quanto forte sia il dolore dei palestinesi per i 20mila morti di Gaza e per l’offensiva israeliana che dura da quasi 80 giorni. E che i paesi occidentali, o gran parte di essi, lasciano continuare sebbene a pagare il conto più alto in vite umane, distruzioni e sofferenze siano i civili, a cominciare da donne e bambini.
Di solito a dicembre la piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, ospita un enorme albero di Natale, gli addobbi decorano e arricchiscono negozi, locali, hotel e ristoranti. E un nutrito programma di concerti, cortei e spettacoli natalizi anticipano e seguono l’ingresso a Betlemme del Patriarca latino (cattolico) che a mezzanotte notte officia la tradizionale messa di Natale. Riti e celebrazioni che si ripetono giorni dopo per il Natale degli Ortodossi. Manca poche ore al Natale e le strade e i cortili di Betlemme sono in gran parte vuoti. Le Chiese di tutta la Palestina hanno annunciato la cancellazione delle festività in un’espressione di unità con Gaza, limitando le attività di questo periodo alle preghiere. «Quest’anno non ci sono festeggiamenti, ma solo riti religiosi ed è giusto così, perché come si fa a gioire del Natale mentre dentro di noi crescono tristezza e amarezza per l’uccisione di tanti innocenti a Gaza, di così tanti bambini», ci spiega Nabil Giacaman, proprietario di un noto negozio di souvenir nella piazza della Mangiatoia e membro di una delle famiglie cristiane più importanti di Betlemme. Davanti al suo negozio, nella piazza, passano poche persone, in buona parte poliziotti dell’Autorità Nazionale.
Di fronte, sull’edificio del Centro turistico, sventolano
Leggi tutto: Non c’è Natale in Palestina: «Siamo tutti sotto attacco» - di Michele Giorgio, BETLEMME
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