da "il Manifesto"
Progressisti&ambientalisti. Assemblea virtuale di una sinistra "fuori dai luoghi comuni", a ottobre lancio in presenza. Un lavoro carsico andato avanti nei mesi della pandemia, venerdì il primo debutto
Nei mesi dell’emergenza della pandemia è stato un movimento carsico di riunioni, confronti. Anche un accenno di organizzazione affiorata in alcune occasioni significative: le ultime sono i voti parlamentari sulle missioni libiche. Prima, ad aprile, c’era stato un appello al governo su «Tre priorità per uscire dalla crisi» https://ilmanifesto.it/tre-priorita-per-uscire-dalla-crisi/ con un lungo elenco di firmatari. Ma risalendo all’indietro nel tempo, i segnali della rete che venerdì 24 si presenterà a tutti e tutte in un’assemblea online (dalle 13) dal sito del quotidiano il manifesto, quello di RadioRadicale e quello del settimanale Left – ispirato alle teorie dello scomparso psichiatra Fagioli – risalgono all’era ante Covid, precisamente all’indomani delle elezioni regionali di fine gennaio.
IL NOME ANCORA NON C’È. La ‘cosa’ invece ormai sì: è una rete «tra ecologisti e progressisti, sindaci e movimenti civici, associazioni e imprenditori innovativi». «Innovazione», lo diciamo subito, è sottolineata e considerata una parola chiave. Una parola che vuole mettere al riparo questa “confluenza” o “convergenza” – termini mutuati dalle migliori esperienze civiche spagnole – dalla ripetizione rituale delle tante ripartenze della sinistra più o meno radicale italiana. Più o meno andate a vuoto.
STAVOLTA INVECE C’È – viene assicurato – un forte innesto di culture diverse. Lo si vedrà dai nomi in collegamento. I promotori sono molti, provengono da un’area trasversale che va dalla sinistra alle realtà civiche ed ecologiste, fino a ex 5 stelle ma anche 5s in servizio. Con loro da mesi lavorano in stretta connessione i progressisti di Massimo Zedda, ex sindaco di Cagliari ed ora capo dell’opposizione alla regione Sardegna, la lista Milano Progressista, il movimento Liberare Roma guidato dal minisindaco Amedeo Ciaccheri. Tra gli interlocutori ci sono anche i sindaci di Milano e Napoli Sala e De Magistris, la vicepresidente dell’Emilia Romagna Elly Schlein.
IN COMUNE FRA TUTTI E TUTTE c’è il lavoro quotidiano su tre direttrici: l’ecologia, ormai intesa come – dice la convocazione dell’assemblea – «una visione di politica economica, di transizione industriale e di ricostruzione del mondo del lavoro»; i diritti di tutti e tutte ovvero i valori della sinistra e del progressismo (la loro declinazione concreta è uno dei principali temi di dibattito); l’innovazione, sociale e tecnologica che sta «reinventando sia modalità di partecipazione sia modelli di produzione e consumo» e costituisce «la base di una nuova società e di una nuova economia».
L’AREA È SCHIERATA FIANCO del governo giallorosso – in alcuni casi persino dentro l’esecutivo – ma vuole «qualificarne» l’azione in senso ecologista e progressista. L’assemblea online, che si intitola «Il futuro insieme, per una rinascita ecosolidale dell’Italia», è il primo step. Un secondo appuntamento ad ottobre, dopo le regionali – si spera “in presenza”- segnerà un nuovo passo anche organizzativo. Da scegliere: c’è chi preme per un soggetto autonomo, chi per la confluenza in una piattaforma di azione comune. C’è anche chi non c’è: nella lista Leu la componente di Art.1 è ormai impegnata in dialogo sempre più stretto con il Pd.
VENERDÌ I DIVERSI TEMI saranno affrontati prima in singoli tavoli virtuali poi in versione plenaria. Di migranti parleranno fra gli altri Erasmo Palazzotto, deputato di Leu-Si e presidente della Commissione Regeni, Pierfrancesco Majorino, europarlamentare Pd, Cecilia Strada di Mediterranea. Di conversione ecologica l’ex portavoce dei Verdi Grazia Francescato, Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, Sara dei Friday for Future, l’imprenditore Matteo Fago, editore di Left, l’ambientalista Stefano Mancuso. Di lavoro: l’ex ministro Enrico Giovannini, oggi portavoce dell’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, Michele De Palma, segretario Fiom, il sociologo Domenico De Masi, Andrea Morniroli del Forum Diseguaglianze e Diversità, Simona Maggiorelli, direttrice Left, il consigliere regionale del Lazio Paolo Ciani, dell’associazione Demos. Si parlerà di città con il senatore Sandro Ruotolo, l’assessore milanese Paolo Limonta, Valerio Tramutoli di Basilicata Possibile, Ciaccheri di Liberare Roma, Emily Clancy della Coalizione Civica Bologna, Carmine Piscopo di Dema e Marta Nalin della Coalizione Civica Padova. Alla plenaria finale parteciperanno fra gli altri il portavoce di Si Nicola Fratoianni, Massimiliano Smeriglio, europarlamentare indipendente nelle liste Pd, Zedda, l’ex ministro Fioramonti, il sottosegretario De Cristofaro, i parlamentari De Petris, La Forgia, Cecconi, Lattanzio, Nugnes, Fattori, gli amministratori Ciaccheri, Anita Pirovano, Alessio Pascucci, Damiano Coletta, Lorenzo Falchi, Nicola Fiorita, Jessica Allegni, Serena Spinelli, e ancora Elisabetta Piccolotti, Marilena Grassadonia e la scrittrice Igiaba Scego.
Commenta (0 Commenti)Autostrade. L’accordo raggiunto, con un iter complesso ma abbastanza delineato, smentisce quanti, da subito dopo la strage fino a ieri, hanno sostenuto che nulla poteva essere fatto contro le stratosferiche, miliardarie penali che lo Stato sarebbe stato costretto a pagare ai miracolati concessionari
Due anni dopo il crollo del ponte Morandi e i 43 morti sul fondo del Polcevera, il nuovo ponte sta per essere inaugurato mentre i responsabili della tragedia (fino a che punto lo dirà il processo) iniziano a imboccare la via d’uscita dalla gestione di Autostrade. Un doppio risultato, con un valore anche simbolico.
L’accordo raggiunto, con un iter complesso ma abbastanza delineato, smentisce quanti, da subito dopo la strage fino a ieri, hanno sostenuto che nulla poteva essere fatto contro le stratosferiche, miliardarie penali che lo Stato sarebbe stato costretto a pagare ai miracolati concessionari.
Scomodando per l’occasione il jolly dello stato di diritto, perché i contratti si rispettano e se il governo avesse tolto di mezzo i Benetton chi mai più dall’estero sarebbe venuto in Italia a investire? Le due parolacce di uso comune nel vocabolario pentastellato, Benetton e revoca, sconsiderate pure provocazioni.
Perché sui giornali non venisse nominata la famiglia dei maglioncini colorati è un mistero di pulcinella, considerate le ottime relazioni degli imprenditori trevigiani con i grandi gruppi editoriali (grandi firme del Corsera nel Cda di Atlantia, manager Gedi idem).
Non scopriamo niente di nuovo ma vale la pena rimarcarlo. (Anche per apprezzare l’inestimabile valore dell’autonomia e indipendenza di queste pagine).
Dunque si profila una public company, con lo stato imprenditore di un’opera di pubblico servizio. Non che questo ci garantisca la qualità del servizio, e in primis la sicurezza delle nostre autostrade. Ma difficilmente potrebbe capitarci qualcosa di peggiore di quel che il paese ha vissuto con il ponte Morandi, e il contratto capestro concesso ai Benetton dai governi sia di centrosinistra che berlusconiani.
Qualche commentatore, di quelli né di destra né di sinistra, indefessi scommettitori sulla posta fissa della crisi di governo, ieri non si rassegnava al punto segnato da palazzo Chigi, paragonando la situazione politica di oggi al momento in cui, regnante Berlusconi, nel 2011, Merkel e Sarkozy ridicolizzarono il barcollante governo del Cavaliere (poi sostituito da Monti).
Con qualche ragione, i 5Stelle rivendicano il ruolo di protagonisti della battaglia, ma l’esito della vicenda può attribuirselo anche il partito di Zingaretti, nonostante i forti mal di pancia nel digerire l’accordo.
Sensibile al capitalismo di relazione, nei confronti del quale ha «usato i guanti bianchi», come diceva Goffredo Bettini in una recente intervista, questa volta il Pd i guanti sembra esserseli tolti.
Commenta (0 Commenti)Italia veloce. L'approvazione "salvo intese" del "decreto semplificazioni" rischia di riprodurre gli errori del passato, trascurando le esigenze di uno sviluppo sostenibile e green della mobilità e dello spazio urbano
Un elenco lunghissimo di opere definite prioritarie, commissari per sbloccarle, riduzione delle gare e dei pareri ambientali, tanti chilometri di asfalto e pochi di ferro nelle aree urbane. Come venti anni fa, solo che questa volta non si chiama Legge Obiettivo, e Silvio Berlusconi è all’opposizione di un Governo con il Pd e il Movimento Cinque Stelle.
Il panico per la crisi economica e la fretta di sbloccare qualche cantiere, sta producendo conseguenze inimmaginabili. Qual è il senso politico di stravolgere il Codice degli appalti approvato quando Graziano Delrio era al Ministero delle infrastrutture, per tornare a ricette per aggirare le gare come ai tempi di Lunardi e che avevano portato ad arresti per corruzione, ritardi e spreco di denaro pubblico? Nessuno.
E davvero non si comprende come queste ricette possano contribuire a rilanciare il Paese. Nel Piano #Italiaveloce della ministra De Micheli sono previsti circa 3mila chilometri di nuove strade e autostrade: pedemontane in Veneto e Lombardia, Val d’Astico, Tibre, autostrada Cispadana, Pontina, Gronda di Genova, solo per citare le più note. Tutte opere che risalgono ai tempi della Legge Obiettivo, oramai inutili e che potrebbero essere sostituite da alternative ben più sostenibili, ma costosissime a beneficio dei soli concessionari. Soprattutto mancano proprio le opere più urgenti ai tempi del Covid, quelle che riguardano le aree urbane.
Dobbiamo augurarci che questa ennesima approvazione «salvo intese» porti a un risveglio politico nella maggioranza, perché se il nostro Paese è in crisi lo deve proprio alle scelte sbagliate realizzate negli ultimi venti anni. Se le città italiane vivono una condizione ambientale e sociale così difficile la ragione è in una mobilità dove a prevalere sono gli spostamenti in automobile. I ritardi sono storici ma nel frattempo si è continuato nella stessa direzione, visto che dal 2010 ad oggi sono stati inaugurati 275 km di autostrade, 1543 di strade nazionali a fronte di 70 chilometri di metropolitane e 34 km di tram. Mentre si parla di cura del ferro per le città nel 2019 non è stato inaugurato neanche un chilometro di metropolitane.
E ancora, la tesi per cui occorre affidare gli appalti senza gara e stravolgere il codice appalti, perché non starebbe funzionando e rallenta i cantieri, è falsa. Basta leggere le analisi del Cresme sulle gare d’appalto in corso o ascoltare le richieste di costruttori e Sindacati per capire che in realtà il Governo sta seguendo altri interessi, ossia di chi punta a ottenere appalti senza gare e controlli. Ma in una crisi drammatica come quella che stiamo vivendo non è accettabile che si rinunci a correggere le cose che non funzionano – che pure ci sono nelle stazioni appaltanti, nei tempi delle procedure, nelle valutazioni ambientali – abdicando all’idea che l’unica strada per uscire dalla crisi sia questa. Anche perché stavolta un’alternativa credibile esiste, ed è quella di puntare sulle città come cuore del rilancio del Paese.
L’elenco è già negli uffici della ministra De Micheli, sono gli interventi che i Comuni hanno previsto nei Piani urbani della mobilità sostenibile. L’obiettivo è di raddoppiare entro il 2030 i chilometri di piste ciclabili, di realizzare 330 km di tram e 154 km di metropolitane. Inutile aggiungere che queste opere non sono prioritarie e in larga parte non hanno finanziamenti. L’altre grande limite di questo progetto del Governo riguarda il Sud, dove si annuncia l’ennesimo elenco di cantieri ma nulla è previsto per far tornare i treni a circolare. Quando il problema oggi è che tra Bari e Napoli, tra Reggio Calabria e Taranto, tra Potenza e Lecce i treni sono scomparsi.
A proposito di ricette per il rilancio, quei treni che mancano si potrebbero produrre nelle fabbriche dell’ex Ansaldo a Napoli e Reggio Calabria, con l’acciaio proveniente da Taranto. L’augurio è che si apra un dibattito politico vero sulle idee per far ripartire il Paese, magari puntando ad aprire milioni di cantieri, grandi e piccoli, in ogni Comune e su cui costruire l’ossatura della proposta italiana per il green deal da finanziare con risorse europee.
* vicepresidente di Legambiente
Commenta (0 Commenti)Con l’ultimo consiglio dei ministri il governo arricchisce di un nuovo capitolo la sua politica contro l’emergenza Covid 19: il Programma Nazionale di Riforma (Pnr), la terza parte del Def, posticipata da aprile a luglio per la crisi pandemica.
Il Pnr dovrebbe rappresentare un passaggio fondamentale verso la costruzione della strategia pubblica per rilanciare il paese e l’economia italiana.
Le informazioni fornite dal Pnr sono impressionanti: Pil a -8% nel 2020 (la Ue pronostica -11,2%), disoccupazione all’11,5%, calo dell’occupazione per Unità di Lavoro Equivalenti a -6,5%.
L’Istat ci dice che una azienda su tre potrebbe chiudere.
Un altro dato colpisce: dall’inizio della crisi sono stati già spesi per gli interventi d’emergenza (quasi tutti condivisibili e necessari) ben 179 miliardi, di cui due terzi sono andati in varie forme alle imprese.
Se a queste risorse aggiungiamo, da qui alla fine dell’anno, 172 miliardi del Recovery fund, 39 del Mes, 20 della prossima manovra di fine mese e, presumibilmente, 40 della prossima Legge di Bilancio, ci avviciniamo a quota 500 miliardi: una somma enorme con la quale si può veramente cambiare e rilanciare il paese.
Sarà così? Ancora non è possibile saperlo: tutto dipenderà dai piani che saranno allestiti a settembre (cosi si impegna il Pnr) per avere i 172 miliardi dall’Europa.
Nel frattempo il Pnr ci dice che gli investimenti pubblici salgono dal 2,4 al 3% del Pil (troppo poco), le spese per l’istruzione saliranno dello 0,4% (siamo ancora molto al di sotto della media europea per numero di laureati e riduzione della spesa scolastica), mentre migliori notizie si hanno sull’edilizia scolastica: sono stati già realizzati 6mila interventi in questi mesi e si prospetta un secondo intervento su altri 3mila plessi scolastici, per una spesa di oltre 3 miliardi di euro.
Per la sanità, ancora non c’è una stima complessiva e organica. Molti interventi (soprattutto nel campo della telemedicina, della teleassistenza, delle cartelle elettroniche), ma non troviamo investimenti adeguati sulla medicina territoriale e sulla prevenzione, mentre sempre il PNR ci informa che servirebbero 32 miliardi per adeguare le infrastrutture sanitarie pubbliche del nostro paese: ecco dove bisognerebbe investire.
Sul welfare la promessa di un Family Act e di un Assegno unico per la famiglia dovrà essere riempita di contenuti e misure concrete.
Sulla politica industriale, in particolare sull’industria dell’auto e la siderurgia, si scrivono cose condivisibili (l’impulso alla mobilità sostenibile e all’auto elettrica e alla siderurgia green), ma senza impegni concreti e dettagliati.
Mentre in Germania e in Francia i governi elaborano dei piani pubblici organici per il sostegno dell’automotive, il governo italiano lascia fare alle imprese, che fanno male. La 500 elettrica della Fca ancora deve essere lanciata sul mercato.
Sull’occupazione c’è poco, a parte gli interventi di protezione e tutela sociale, con la Cig e altre misure per il lavoro autonomo.
Nel Pnr viene ricordato che «tra il 2008 e il 2017 il blocco del turnover ha prodotto una riduzione pari al 5,6% del numero dei dipendenti pubblici», con effetti pesanti sulla sanità e l’istruzione. Non ci sono indicazioni su come colmare il gap.
Sulla riforma del fisco c’è solo l’impegno a farla, ma non si dice come: si legge solo che sarà un “fisco equo, semplice e trasparente”. Mancano i criteri di progressività (anzi si prefigura una riduzione delle aliquote) come ci richiama l’art. 53 della Costituzione.
I Sussidi ambientalmente dannosi (Sad) saranno solo «rivisti» e non cancellati o trasformati in Sussidi ambientalmente favorevoli (Saf).
Per converso, è positivo che le ultime 20 pagine del Pnr siano destinate a fare il punto della condizione del nostro paese rispetto alla realizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals-SDGs): emergono molti ritardi del nostro paese sulla parità di genere e l’istruzione, e i dati sulla povertà e le diseguaglianze sono peggiori di molti altri paesi europei.
Sbilanciamoci, intervenendo agli Stati generali del governo ha riaffermato le proposte e l’impianto del documento In salute, giusta, sostenibile, l’Italia che vogliamo: serve una radicale svolta delle politiche pubbliche per il lavoro e il welfare, un nuovo modello di sviluppo sostenibile, la riduzione delle spese militari, la cancellazione delle grandi opere.
Molto di questo non c’è ancora nel Pnr, che pure rappresenta un passo in avanti nella costruzione di una strategia di rilancio del paese.
Ci sono però ancora troppi punti interrogativi e pagine da scrivere, mentre per alcuni settori le misure sono troppo modeste (investimenti pubblici, istruzione, sanità, eccetera) e devono essere notevolmente rafforzate. Poco c’è sulla politica industriale e sulla strategia dell’intervento pubblico.
C’è ancora molto da fare: sicuramente l’autunno rappresenterà un appuntamento decisivo per fare del rilancio del paese qualcosa di più di una promessa.
Commenta (0 Commenti)La vicepresidente dell'Emilia-Romagna: "In Europa gli ambientalisti vincono quando tengono insieme anche rinnovamento generazionale e questione sociale"
Intervista di Giovanna Casadio su la Repubblica del 6 luglio
ROMA - Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia Romagna, ex europarlamentare di Possibile, ecologista, lei ha partecipato agli Stati popolari degli "invisibili" di Soumahoro a Roma . Serve una politica al passo con gli ultimi?
"Sì, c'è bisogno di ascoltare le spinte che si stanno muovendo spontaneamente nella società. Nelle piazze di queste ultimi mesi ci sono le stesse speranze e un filo rosso le lega, da quella degli "Invisibili" a Roma, a Black lives matter a Bologna alle manifestazioni per la morte di George Floyd, ai Fridays for future, alla stagione delle Sardine: i giovani stanno indicando alcune vie che l'intero campo progressista e ecologista dovrebbe seguire per la ripartenza. Invece il quadro politico attuale è insufficiente. Pd e 5Stelle sono immobili".
Proprio il ministro Roberto Speranza, leader della sinistra, su Repubblica ha lanciato una sfida: possibile che stia cambiando tutto, ma i partiti restino come prima?
"Non è possibile, infatti. Speranza ha ragione. Questo governo potrebbe dare una svolta su clima, disuguaglianze, diritti, parità di genere. E invece rimane inchiodato alle contraddizioni e alle tensioni interne dei suoi partiti maggiori. Serve uno scatto in avanti".
Ad esempio su cosa?
"Dobbiamo ancora attendere per cancellare i decreti sicurezza e i 18 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi? Trovo sia stato grave il ritardo sullo sbarco della Ocean Viking. Inoltre c'è già chi sta pagando il conto della mancata transizione ecologica. Penso ai fumi dell'ex Ilva che hanno invaso Taranto sabato".
Ma questa nuova offerta politica di cui lei parla è un partito popolare verde?
"Non serve un nuovo partito solo verde. In Europa i Verdi sono vincenti laddove tengono insieme questione sociale, ambientale e rinnovamento generazionale con persone credibili. Vincono le alleanze progressiste ed ecologiste, spesso affidate alle donne, come si è visto. Per ora in Italia punterei a mettere in rete le persono che trasversalmente condividono una visione di futuro. Alle ragazze e ai ragazzi che abbiamo visto manifestare, se volessero impegnarsi in politica, offriamo di stare in un grande partito o in un grande movimento - Pd e 5Stelle - che dicono tutto e il contrario di tutto? Oppure di scegliere tra dieci sigle di sinistra o ecologiste diverse che dicono le stesse cose? ".
Ma per le prossime regionali di settembre immagina tante liste "Coraggiosa" come quella che lei presentò a sostegno di Bonaccini in Emilia Romagna? E ci vuole un'alleanza tra Pd e grillini?
"L'auspicio c'è sempre, ma vedo molta frammentazione che in Emilia Romagna abbiamo superato. Le alleanze Pd-5S si facciano dove ci sono i presupposti sui programmi, litigando meno sui nomi dei candidati".
In Francia la vittoria alle amministrative è stata donna e ecologista. La vede possibile anche in Italia?
"Altroché se la vedo, ma nella prossima tornata. Nel 2021 a Milano, Bologna, Roma, Torino ci si potrà provare".
E lei si candida sindaca di Bologna?
"Sono impegnata ora in Regione come vice presidente e non metto testa ad altro, peraltro in una comunità regionale molto colpita dall'emergenza Covid, dove ci siamo attrezzati anche per fronteggiare i possibili focolai. Ma i cittadini non abbassino la guardia".
Ha definito Pd e 5Stelle immobili. Perché?
"Sono immobili sui temi posti dalle nuove generazioni, a partire dalla sfida del clima e quindi appaiono respingenti. Dopo il Covid, non torniamo alla normalità di prima, ma cogliamo l'occasione per un cambiamento sociale e ambientale con l'aiuto delle risorse economiche in arrivo dall'Europa".
A proposito di diritti. Lei, che non si è mai fatta ingabbiare in definizioni sull'orientamento sessuale, cosa pensa del litigio persino sulla definizione "identità di genere" nella legge contro l'omofobia?
"Al di là delle polemiche sulle definizioni, spingiamo perché la legge passi. È ferma da troppi anni. Condivido la definizione di identità di genere".
Sinistra. Lo Stato deve riacquistare un ruolo di imprenditore e di innovatore, come dice Mariana Mazzucato, altrimenti resta una stampella del sistema. Lo si vede bene nella scuola
Le nuove recenti stime del Fondo monetario internazionale prevedono una contrazione del Pil mondiale al 4,9% contro il 3% stimato ad aprile.
Solo la Cina può evitare il segno meno, ma con uno striminzito +1%, come cinquant’anni fa.
La capoeconomista del Fmi, Gita Gopinath parla della peggiore recessione dagli anni ’30.
Per l’Eurozona si aspetta una contrazione del 10,2% e per l’Italia una flessione del 12,8%, avvicinandosi alle stime forniteci da Ignazio Visco (-13%) che ad alcuni paiono eccessive.
L’Ufficio parlamentare per il Bilancio è meno pessimista: -9% a fine anno, ma solo se verrà scongiurata una seconda ondata pandemica in autunno. Una scommessa finora poco fondata. Stando alle fonti ufficiali, pur restando contenuti i numeri, i dati dell’epidemia hanno rallentato o smesso la discesa.
Nuovi focolai si accendono da Nord a Sud dello Stivale, per non parlare del resto del mondo. Se il nostro paese piange gli altri di certo non ridono.
La potente Germania si prepara a un -7,8%, gli Usa scontano un calo dell’8% e perfino l’India che ci aveva abituato a continui tassi di crescita, subirà la prima contrazione in oltre 40 anni, pari al 4,5%.
L’impatto sull’occupazione viene giudicato “catastrofico” dallo stesso Fmi che riprende i dati dell’Organizzazione mondiale del lavoro. A farne le spese maggiori saranno i lavoratori scarsamente qualificati e le donne.
E’ comparsa la “generazione Covid”. Per l’Istat sotto i 25 anni il tasso di disoccupazione sale al 23,5%. Un effetto “devastante e sproporzionato” dice l’Ilo. In realtà piove sul bagnato. Da noi i navigator hanno trovato lavoro solo a se stessi, naturalmente precario.
Gli ottimisti della ripresa a “V” si devono ricredere e pensare a come fronteggiare un lungo periodo di stagnazione senza distruzione sociale. Chi mai può farcela da solo? Il dottor “strarigore”, il premer olandese Mark Rutte ha voglia di predicare, per gli altri, ricette “virtuose”. Irrealistiche quanto stupide come il Patto di Stabilità che Dombrovskis vorrebbe restaurare quanto prima.
Quindi la vera partita che si giocherà il prossimo consiglio europeo di metà luglio, ed oltre, va al di là del Mes, coinvolge l’intero pacchetto di misure, recovery fund in primis, la sua entità, il rapporto fra aiuti e debiti, i tempi della restituzione di questi ultimi, l’emissione di titoli di debito comune, la crescita del bilancio europeo, la sua alimentazione con nuove tasse su scala europea. Su queste cose si misurerà la nuova presidenza tedesca. Le parole della Merkel sono forti, quando, citando Kohl, afferma che: ”L’Europa è questione di pace e di guerra”. Vedremo i fatti.
La Gobinath insiste sulla necessità di una lotta efficace all’evasione e di riforme fiscali che puntino ad allargare la base imponibile per attuare una “maggiore progressività” del prelievo. L’esatto contrario delle varie flat tax, ma anche della riduzione del numero degli scaglioni Irpef su cui parrebbe orientarsi la “misteriosa” riforma fiscale annunciata a più riprese dal nostro governo.
Il ruolo dello Stato non può però essere confinato entro il versante redistributivo. Serve un nuovo protagonismo dello Stato nel campo della innovazione e produzione. La ricetta di Carlo Bonomi la conosciamo: tutti gli aiuti vanno alle imprese perché sono esse a creare lavoro e non lo Stato. La cosa è stata smentita più volte nella storia, specie a ridosso di grandi crisi, ma i “predatori” della Confindustria vogliono in questo modo occupare il futuro annunciando un “piano” 2030-2050.
Lo scontro frontale con questa concezione è inevitabile. Inutile cercare di aggirarlo con soluzioni più dolci, come la partecipazione di minoranza dello Stato nelle imprese propugnata da Romano Prodi. Può sembrare paradossale, ma non è solo un problema di proprietà, quanto di scelte strategiche sul cosa, come e per chi produrre. Lo Stato deve riacquistare un ruolo di imprenditore e di innovatore, come dice Mariana Mazzucato, altrimenti resta una stampella del sistema.
Lo si vede bene nella scuola. Persino il citato rapporto del Fmi chiarisce quale arretramento spaventoso può divenire per l’umanità intera da una prolungata perdita di apprendimento. La scuola pubblica è un investimento sociale non la formazione quadri per le imprese. E’ quindi lo Stato in primissima persona che se ne deve occupare, cominciando a regolarizzare l’esercito di insegnanti precari di cui finora si è servito e assumendone nuovi a tempo indeterminato.
La pandemia ha evidenziato l’inutilità sociale della sanità privata. Ma anche qui non si tratta solamente di costruire ospedali pubblici, anzi bisogna uscire da una visione “ospedalocentrica”, per progettare la prevenzione e pensare a presidi sanitari articolati sul territorio.
L’ultimo focolaio epidemico nel mattatoio del Nord Reno Westfalia, il più grande d’Europa, dove ogni giorno ventimila maiali vengono trasformati in prodotti alimentari per il mercato globale, avverte che non c’è bisogno di raggiungere i mercati cinesi di pipistrelli per studiare l’effetto spillover.
Siamo su un crinale terribile, per salvarsi va colta l’occasione per cambiare gli assi strategici della produzione e quindi per creare nuovi spazi per l’occupazione.
Quantomeno va avviata una riflessione collettiva. Non è venuta da Villa Dora Pamphilj, né lo poteva.
Bisogna riacquistare, e il sindacato, la Cgil, può essere una leva, una posizione creativa e alternativa rispetto agli indirizzi della nostra economia e del vivere sociale, ripensare ad una programmazione democratica, costruita nel confronto con gli attori e i movimenti sociali.
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