La Rete No War in una manifestazione nel novembre 2015 in occasione della visita di Renzi in Arabia Saudita espose questo cartello "Renzi piazzista di armi dai Saud". La nota stampa di oggi della Moby Lines conferma il ruolo del governo nel commercio delle armi spiegando che " Il trasporto (di bombe n.d.r.) è stato effettuato su precisa richiesta del Ministero della Difesa". Ora o avremo una smentita del comunicato stampa della Moby o una conferma che il governo italiano è direttamente impegnato nella vendita di armi all' Arabia Saudita. M.P.
Di seguito la nota stampa della Moby di oggi 3 luglio sollecitata da un articolo di Francesco Santoianni su www.lantidiplomatico.it NOTA STAMPA
In riferimento agli articoli apparsi su alcuni organi di stampa negli ultimi giorni riguardanti il carico trasportato il 29 giugno scorso sulla nave merci (senza passeggeri a bordo) Giuseppe Sa, Moby precisa che quest’ultima è l’unica unità della Compagnia adibita ad accogliere questa tipologia di merce. Il trasporto è stato effettuato su precisa richiesta del Ministero della Difesa, e nel pieno rispetto di tutte le normative vigenti in materia di sicurezza
(10) Nelle miniere dove nascono gli smartphone - Nemo - Nessuno Escluso 25/05/2017 - YouTube
GUARDA LA PUNTATA INTEGRALE https://goo.gl/xlYRvC http://www.raiplay.it/programmi/nemo-... - Tutti i nostri dispositivi elettronici contengono un minerale, il coltan, che viene estratto in Congo in un inferno di miniere dove lavorano anche bambini. Si parla di "minerali insanguinati", ma nessuno parla di telefoni insanguinati. Il reportage di David Chierchini e Matteo Keffer
Inutile girarci intorno. Possiamo confrontare il numero dei Comuni in cui vince il centro-sinistra o il centro-destra, mettere insieme comuni grandi e piccoli o fare altre alchimie – Renzi ci ha già provato – ma il senso di queste elezioni è netto: ha vinto il centro-destra, soprattutto ha perso il centro-sinistra, più precisamente, è stato sconfitto il Partito Democratico.
Perché un inizio così netto e drastico? Perché quello che è accaduto era scritto nella storia degli ultimi anni ed è la conseguenza di due fenomeni ben noti: astensionismo e sistemi con ballottaggio nelle realtà non più bipolari.
Se nei sistemi bipartitici o bipolari l’elettore si trova a scegliere tra il partito in cui si riconosce ed il partito avversario, in un sistema tripolare o multipolare gli elettori che non si riconoscono tra i due contendenti sono spinti in gran parte ad astenersi e per il resto a votare contro il partito più nemico. Questo produce una mutazione della stessa natura dell’atto elettorale: dal voto per al voto contro, dal voto per simpatia a quello per antipatia. Il fenomeno era stato evidente già nelle elezioni comunali di Roma e Torino. E non è bastato che Renzi non si presentasse nelle piazze dove si votava. Serviva forse un passo in più.
Oltretutto si è aggiunto un altro fattore che ha influito sul voto. Dopo il 4 dicembre siamo entrati in una fase di ristrutturazione delle forze politiche italiane che sta interessando soprattutto il campo che va dal centro alla sinistra. In questa fase si sono collocati il congresso «incompiuto» del Pd, la fuoriuscita da esso di tanti iscritti e dirigenti di valore, il congresso che ha visto Sinistra Italiana subire una scissione prima di nascere, e, più di recente, i movimenti di Art.1, di Pisapia e di Falcone e Montanari.
Un grande fermento, insomma, che produrrà, speriamo, effetti positivi, ma che oggi non ha aiutato perché le elezioni sono intervenute a «lavori in corso». Mentre, cioè, emergono le macerie che dobbiamo rimuovere, ma non appare chiaro cosa vogliamo costruire e come e mentre i direttori di cantiere che si presentano sono guardati con sospetto.
Le prossime tappe del processo di ristrutturazione – legge elettorale e di conseguenza schieramenti ed alleanze – saranno decisive. E per tutti.
Il processo riguarda anche il centro destra, ma esso opera col vento in poppa del populismo che indica nel migrante il nemico e nel protezionismo la risposta al bisogno di sicurezza che la crisi della globalizzazione produce. A sinistra il processo è, invece, più complesso: non dobbiamo smarrire i nostri valori – accoglienza, diritti civili e sociali – ma abbiamo un bisogno urgente di «fare opinione», mobilitare, unire, conquistare, costruire convergenze, individuare resistenze ed avversari.
Allora più che parlare di schieramenti ed alleanze la «Costituente della sinistra» dovrebbe fissare le nostre parole chiave. Eguaglianza, lavoro, garanzia di reddito debbono essere declinati per farli diventare nostri obiettivi precisi, condivisi e visibili, sui quali aggregare persone, società civile, organizzazioni.
Ma abbiamo bisogno anche di indicare e far emergere le resistenze che troveremo, che dovremo contrastare ed i soggetti che le rappresentano: l’economia finanziaria, le banche, i grandi patrimoni, i grandi profitti dei nuovi padroni dell’economia digitale, i poteri e le corporazioni che bloccano la mobilità sociale e perpetuano stratificazioni economiche e sociali che bloccano speranze ed ambizioni dei giovani.
Insomma di fronte al rischio che ciascuno scarichi il suo malessere su quello che gli sta a fianco o sotto, dobbiamo ricostruire una gerarchia di ruoli e responsabilità perché in una società che cresce poco non ci potranno essere più uguaglianza e più lavoro senza progressività e redistribuzione.
Il voto ci chiama a fare una sinistra nuova, ma più radicale. Quello che in altri paesi dirigenti – vecchi o nuovi che siano – stanno cercando di fare.
La voce ironica che difendeva tutti. Per strada lo chiamavano “presidente”. Gli italiani lo avrebbero voluto al Colle
di Tomaso Montanari Presidente Libertà e Giustizia
Il Fatto 24.6.17
Si serra la gola alla notizia che non ascolteremo più la voce ferma, affettuosa e ironica di Stefano Rodotà. E si sente che da oggi, senza quella voce, siamo ancora un po’ meno sovrani: un po’ più indifesi, più soli, più fragili. Quando capitava di camminare per strada in sua compagnia, invariabilmente succedeva che un cittadino si avvicinasse per salutarlo chiamandolo ‘presidente’. E non si riferiva alle sue tantissime presidenze (per esempio a quella del Partito democratico della Sinistra, in un’epoca politica che oggi sembra remotissima), ma al fatto che per molti, per molti di noi, Stefano Rodotà era il presidente morale della Repubblica. Non c’erano polemica, o faziosità in questo dolce legame sentimentale: c’era invece un profondo senso di gratitudine. Tutti ricordiamo quell’aprile di quattro anni fa, in cui il nome di Rodotà risuonò per 217 volte nell’aula di Montecitorio dove si eleggeva il Capo dello Stato. E a ogni lettura l’immaginazione correva verso un’altra Italia: un’Italia più libera, più dignitosa, più solidale. L’Italia della Costituzione e del popolo sovrano. L’Italia che tante volte è scesa in piazza per questa Costituzione e questa sovranità: e Libertà e Giustizia ricorda con profonda gratitudine, tra tante occasioni di incontro e lotta comune, la presenza di Stefano alla grande manifestazione romana dell’ottobre del 2013 per difendere la “via maestra” della Costituzione. Il Rodotà politico era la naturale – ma quanto coraggiosa! – conseguenza dello studioso che non ha usato la sapienza del diritto per rendere più potenti i detentori del potere, ma per restituirne un po’ agli oppressi, agli ultimi. Se dovessi indicare il nucleo della sua altissima lezione direi che ci ha insegnato – sono parole sue – “l’irriducibilità del mondo al mercato”. La più essenziale delle lezioni di cui ha bisogno il mondo di oggi. Tra i beni comuni che è vitale sottrarre alla dittatura del mercato, Rodotà ne indicava uno modernissimo quanto essenziale: la Rete. “In questo spazio – ha scritto – tutti e ciascuno acquistano la possibilità di prendere la parola, acquisire conoscenze, creare idee e non solo informazioni, esercitare il diritto di critica, discutere, partecipare alla vita pubblica, costruendo così una società diversa, nella quale ciascuno può rivendicare il suo diritto ad essere egualmente cittadino. Ma questo diviene più difficile, se non impossibile, se la conoscenza viene recintata, affidata alla pura logica del mercato, imprigionata da meccanismi di esclusione che ne disconoscono la vera natura e così mortificano una ascesa che ha fatto della conoscenza in rete il più evidente dei beni comuni”. Tra i tanti diritti al cui studio e alla cui difesa Rodotà ha dedicato una lunga vita felice è forse proprio il diritto alla conoscenza quello che oggi appare il fondamento più essenziale, e insieme più fragile, della nostra democrazia. Il modo migliore per ricordare questo nostro grande amico, per provare ad essergli grati, è continuare a lottare per costruire, con le sue parole e le sue idee, “una società diversa”.
Caro professore, perché questo sei stato per tanti di noi, ora che ci lasci capiamo ancora di più quanto ci mancherai e quanto mancherai a tutto il paese. Nella nostra vita abbiamo conosciuto poche persone con il tuo profondo senso della democrazia.
Sarebbe riduttivo sostenere che hai insegnato molto agli italiani nelle battaglie in difesa dei diritti civili e sociali. Perché quel di più che ci hai trasmesso è stata l’importanza della parola «cittadino» accompagnata all’alto senso delle istituzioni. Il binomio cittadino – istituzioni ha caratterizzato il pensiero e l’insegnamento che tu, maestro di libertà, hai portato nella vita politica e culturale, dentro e oltre i confini nazionali.
Da questo punto di vista il tuo essere di sinistra ha marcato una differenza rispetto alla cultura marxista e a quella radicale che pure ha avuto grande importanza nella tua esistenza. Nella cultura marxista sei riuscito a infondere il valore fondamentale dei diritti civili che, ai tempi del Pci, erano praticamente sotto traccia. Invece al mondo radicale hai saputo trasmettere la necessità di impegnarsi anche per le lotte sociali.
Senso delle istituzioni, ruolo del cittadino, lotte per il lavoro, temi etici e diritti civili: tutto questo ti appartiene – e grazie a te ci appartiene, rendendoti perciò unico nella cultura democratica italiana.
Ma c’è un’altra cosa di cui sei stato interprete: il rispetto per l’altro.
Nella politica nazionale questa disponibilità a capire le ragioni altrui è sempre stata una rarità perché hanno prevalso gli interessi di parte (e di partito), le lotte di potere, gli schieramenti… Da questi giochi preferivi restare lontano scegliendo di impegnarti sui valori, sui principi e sull’interesse generale.
Per tutte queste ragioni siamo convinti saresti stato un grande presidente della Repubblica, in particolare perché avresti difeso – in nome non di un passato storico, ma di una necessità per il presente e per il futuro – i fondamenti della Costituzione.
È con dolore che ti diciamo addio, caro professore, consapevoli del fatto che lasci una eredità culturale, giuridica, intellettuale e politica diventata bene comune per la sinistra e per la democrazia.