20/06/2017 – Flash mob martedì mattina in centro a Faenza in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Vestiti con una maglia rossa, coordinati dall’associazione Farsi Prossimo – Caritas Diocesana di Faenza e Modigliana e dalle altre realtà che si occupano di accoglienza di richiedenti asilo sul nostro territorio, come Asp e Cooperativa Zerocento, un gruppo di immigrati, uomini, donne, bambini di diversa nazionalità, ha simulato un viaggio della speranza attraverso il mar Mediterraneo, a bordo di gommoni, dotati unicamente di teli protettivi per combattere il freddo..... LEGGI TUTTO su Faenza webtv
Commenta (0 Commenti)Sinistra. Mai col Pd? Su questo ho un dubbio, in quel corpo storico c’è una memoria che coinvolge ancora molti giovani, protagonisti anche all’assemblea della nuova Alleanza
Se ci fosse stato ancora bisogno di dimostrare che i grandi giornali hanno smesso di raccontare quello che succede per dar spazio solo ai dettagli che servono a corroborare la loro linea politica, l’assemblea del Brancaccio rappresenterebbe la migliore prova. Qualche migliaio di persone, protagonisti molti giovani (di per sé una notizia), 40.000 che seguono in streaming, decine di interventi che raccontano l’Italia invisibile alla vecchia politica ufficiale ma che esiste ed è ricca.
La vera salvezza di una democrazia altrimenti ridotta a povera cosa: comitati di base che si occupano di ambiente, migranti, scuola, solidarietà, lavoro, guerre. Questo è stato soprattutto l’assemblea di domenica, e di questo non una parola è comparsa sui quotidiani. Chi ha accennato all’evento è stato solo per misurare la distanza fra il teatro Brancaccio e Pisapia, che – diciamo la verità – non è “odiato” perché vuole unire, ma perché nessuno sa ancora chi rappres+enta e cosa vuole. (Non basta aver fatto bene il sindaco di Milano per proporsi come leader di una nuova sinistra).
NON È UNA LAMENTELA, è l’ennesima drammatica prova che in Italia chi gestisce il potere, istituzionale e mediatico, non ha capito che qualcosa di grave è accaduto in questi ultimi decenni: la perdita di credibilità dei partiti e dei tradizionali corpi intermedi, ormai largamente incapaci di rappresentanza sociale e privi del loro tradizionale ruolo di organizzatori della partecipazione, ha prodotto una disaffezione per la democrazia gravida di possibili nefaste conseguenze.
La prima delle quali è il deliberato tentativo di sostituirla con l’accentramento del potere decisionale nelle mani di una governance che si vorrebbe neutrale (questa era la sostanza della posta in gioco del referendum costituzionale, e questa la principale ragione dell’opposizione al Pd di Renzi). Ebbene l’iniziativa di Falcone e Montanari prende le mosse da questa realtà per cercare di rigenerare la politica, e dunque la democrazia, ripartendo da quanto c’è di vivo: quelle forme di “cittadinanza attiva” che hanno dato vita ai tanti comitati di lotta sul territorio e, ultimamente, a coalizioni che le hanno raccolte a livello cittadino per tentare un nuovo tipo di presenza nelle istituzioni.
RAPPRESENTANO di per sé una compiuta alternativa di governo? Certo che no, ma indicano che ci sono forze che stanno costruendo le condizioni per ricostruire una rappresentanza democratica e così ridare legittimità alle istituzioni. Il dialogo con le aggregazioni che sono nate dallo sfaldamento del Pd si fa su questo, evitando le scorciatoie del leaderismo (un “grimaldello” cui abbocca anche qualche pezzo della sinistra); così come la sacralizzazione di una società civile buona e innocente e la demonizzazione dei partiti.
Su questi punti Montanari è stato chiarissimo: senza i partiti non c’è democrazia, la nostra Costituzione resterebbe monca. E chiarissima è stata Marta Nalin, la rappresentante della coalizione civica di Padova (23 % alle ultime comunali): «Reinventare i corpi intermedi, senza demonizzare i partiti e senza santificare la società civile».
FALCONE E MONTANARI HANNO indicato un percorso, non ancora la fondazione di un nuovo partito: questa è stata la loro sfida coraggiosa e intelligente. Fra i partiti esistenti ha raccolto l’adesione impegnata di Sinistra Italiana, ma, nonostante le sue consuete recriminazioni e diffidenze, anche di Rifondazione. E ha ricevuto attenzione anche da Articolo 1, sia pure, come è ovvio, ancora titubante. Perché, sia pure in modi diversi, tutti si rendono conto che siamo in una fase di trasformazione epocale e lontani ancora dall’aver raggiunto la maturità politica e culturale per indicare una compiuta strategia all’altezza dei problemi posti dal nuovo mondo.
Il Brancaccio registra la consapevolezza di questa insufficienza, salva i partiti esistenti come essenziali laboratori politici per forze che hanno già riscontrato una propria omogeneità di ispirazione e che però, per ora, si propongono di lanciare la sola sfida possibile in questa fase di transizione: quella di una risposta unitaria nelle prossime scadenze di lotta e istituzionali, una «Alleanza – come è stato detto – per l’uguaglianza e la democrazia».
Grazie dunque alla buona volontà di Anna e Tomaso, come sono stati ormai amichevolmente chiamati da tutti. Hanno avuto il merito di non farsi risucchiare, come purtroppo ancora tanti, dal «non c’è niente da fare», come se stando a casa, ognuno per conto proprio, se ne potesse poi uscire con una soluzione. Già declinare il “noi” e riprendere a riflettere assieme è una conquista.
NON POCHI DEGLI ABITUALI pessimisti (gli anziani, i giovani per fortuna non sono reduci di tante sconfitte) hanno osservato che di belle assemblee unitarie come questa del Brancaccio ce ne sono state tante negli ultimi 20 anni. E’ vero. Ma c’è un dato fondamentale che i promotori dell’iniziativa hanno capito: che il tempo attuale è molto diverso. Più pericoloso ma anche più consapevole dell’urgenza di una svolta rispetto a quanto è stato fatto in questi anni da chi ha governato e da chi è stato all’opposizione. Questa è la ragione per cui oggi si può ricominciare a proporsi un’alternativa.
I FISCHI (NON POI TANTISSIMI, anche se deprecabili) a Gotor sono un segno delle diffidenze che questi difficili decenni che ci stanno alle spalle hanno creato. Non ci si può illudere che settarismi e estremismi, di cui anche il Brancaccio ha dato prova, potranno esser superati facilmente. Tocca a tutti ripensare se stessi e la propria parabola di questi anni: l’unità non si fa a partire da quel che siamo, ma da quello che ci si propone di diventare, ed è su questo che ci si confronta, se necessario anche duramente.
Mai col Pd, come ha detto Montanari? Ecco, su questo, solo su questo, un dubbio, ma forse siamo in realtà d’accordo: per quanto esangue, io credo ci sia ancora un corpo storico che viene dall’ormai dimenticato Pci, non solo vecchi ma anche una memoria, certo un po’ sbiadita, che coinvolge anche più giovani. Io credo che non dobbiamo ignorarli.
ULTIMO PROBLEMA: COME SI prosegue ora? Spero che nessuno si immagini che ci sarà un fantastico centro promotore di organizzazione dalle Alpi alla Sicilia. Bisognerà cercare di crearlo, ma questa nostra nuova sinistra deve soprattutto imparare a “fare da se”: ad ogni singolo militante in ogni singolo territorio l’onere e l’onore di promuovere l'”Alleanza”, e ogni altra forma di partecipazione che consenta a chi se la sente di costruirla. Reimparando a confrontarci, passo per passo, con gli altri compagni dell’avventura collettiva che abbiamo deciso di correre. Ripartire dai territori non vuol dire tornare all’Italia dei Comuni, ma all’Europa.
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Sinistra. Costruire nuova rappresentanza fuori dai giochi autoreferenziali della politica
C’è una spaccatura profonda, a sinistra. Ma non è quella tra le sigle, i nomi, i cartelli: è quella tra chi è dentro il gioco autoreferenziale della «politica» praticata e chi ne è fuori. Una spaccatura che contribuisce in modo decisivo ad allargarne una ancora più profonda: quella tra chi vota e chi non vota più.
Per questo gli interventi centrali dell’assemblea di domenica al Brancaccio sono stati, per me, quelli di Andrea Costa (Baobab) e Giuseppe De Marzo (Rete dei numeri pari, Libera).
Hanno fatto capire come non esista più nessun rapporto tra il loro lavoro quotidiano (politico, se ce n’è uno) e l’idea stessa di rappresentanza parlamentare. Detto in altri termini: chi ogni giorno davvero cambia lo stato delle cose a favore degli ultimi, cioè chi riduce concretamente le diseguaglianze, ha ormai messo la croce sull’idea stessa di incidere sul processo democratico.
La proposta che Anna Falcone ed io abbiamo fatto è quella di portare quel mondo in Parlamento. Di riannodare i fili tra questa sinistra delle cose e i partiti (come Sinistra Italiana e Possibile) che combattono la stessa battaglia, ma che da soli non bastano.
La partecipazione e la rappresentanza come strumenti per costruire eguaglianza.
Non per caso queste due cose sono intrecciate nell’articolo 3 della Costituzione, che abbiamo eletto a bussola di questo processo. E invece sono anni che giochiamo al bricolage dello Stato avendo rinunciato allo Stato, che è il bene comune da cui dipendono tutti gli altri beni comuni.
I giornali ne parleranno solo quando questo processo sarà diventato inarrestabile: ed è a questo che stiamo lavorando.
Per ora di cosa parlano, i giornali? Del risiko di cui sopra. Le cui coordinate fondamentali, se ho ben capito, sono le seguenti: per una parte del gruppo dirigente fuoriuscito dal Pd è difficile tornare sotto l’ombrello di Matteo Renzi. Ma (come avverte Michele Serra) bisogna che questa «sinistra» stia con Renzi, perché sennò non va al governo.
Quale la via d’uscita? Eccola: Giuliano Pisapia otterrà «discontinuità». Una volta ottenuta, si tornerà al centro-sinistra unito, dove il centro è il Pd di Renzi.
Lo schema è ancora Bertinotti-che-condiziona-a-sinistra-Prodi: ma con Pisapia e Renzi. Cioè tutto uguale, anzi tutto incredibilmente spostato a destra. Se il finale sarà questo vedremo un’astensione record e un Movimento 5 Stelle di nuovo al comando.
Noi diciamo: un’altra strada è possibile.
Abbiamo detto con forza che l’obiettivo dovrebbe essere costruire rappresentanza. E abbiamo provato a spiegare perché non ci convince più la retorica della governabilità, della sinistra maggioritaria, della sinistra di governo.
Intendiamoci: la sinistra (intesa come coloro che hanno interesse a redistribuire la ricchezza) è maggioritaria nelle cose perché, come dicevano a Zuccotti Park, «siamo il 99%». Ma la realtà è che in questi ultimi vent’anni la sinistra italiana ha scambiato i fini con i mezzi: il governo è diventato un fine, e ci siamo dimenticati a cosa serviva, governare. «Ci siamo dimenticati dell’uguaglianza», ha scritto Romano Prodi nel suo ultimo libro.
Domenica ho fatto una lista (parziale) di ciò che dobbiamo al centro-sinistra: riscritture della Carta votate a maggioranza; chiusura sull’immigrazione; precarizzazione del lavoro; privatizzazioni, liberalizzazioni, alienazioni di patrimonio pubblico; deliberata assenza di una legge sul conflitto di interessi; smantellamento finale della progressività fiscale; federalizzazione dei diritti; e, sì, anche una guerra costituzionalmente illegittima (non ho detto illegale) che rappresenta il contributo dell’Italia alla stagione delle «operazioni di polizia internazionale».
Per essere chiari: tutto questo precede Renzi. E serve a dire che il problema sarebbe stato immenso anche se fossimo ancora al governo Letta.
Renzi ha rappresentato un salto di quantità mostruoso, ma non una discontinuità di politiche. Si può dire che le sue scelte – continuate, salvo dettagli, da Gentiloni – radicalizzano un processo ventennale che ha fatto dell’Italia il paese europeo in cui la diseguaglianza è maggiormente cresciuta. Che è esattamente il processo per cui la Sinistra si è ridotta al nulla, e metà del Paese, quella sommersa, non vota più.
Ecco: deve essere chiaro che la rotta è invertita. Che la rotta è diametralmente opposta a tutto questo.
Al netto di qualche fischio, il messaggio dell’assemblea di domenica è che l’unico modo per fare davvero unità a sinistra è proprio invertire la rotta, e puntare ad un orizzonte diverso. Per farlo ci vuole un processo aperto a tutti coloro che vogliono condividere una nuova rotta: quella (per esempio) dell’articolo 18, di una vera progressività fiscale, di una seria tassa patrimoniale, di una strutturata politica di accoglienza dei migranti, di un consumo di suolo zero, di una scuola pubblica e un’università non aziendali, di una tutela pubblica del patrimonio culturale.
Spero che saremo in tanti: perché se l’obiettivo è costruire (come dice Corbyn) «a country for the many, not the few», allora ci vuole una sinistra di tutte e di tutti.
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Il 18 giugno a Roma. È necessario uno spazio politico nuovo, ci vuole una sinistra unita e una sola, grande lista di cittadinanza aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati
Siamo di fronte ad una decisione urgente. Che non è decidere quale combinazione di sigle potrà sostenere il prossimo governo fotocopia, ma come far sì che nel prossimo Parlamento sia rappresentata la parte più fragile di questo Paese e quanti, giovani e meno giovani, in seguito alla crisi, sono scivolati nella fascia del bisogno, della precarietà, della mancanza di futuro e di prospettive. La parte di tutti coloro che da anni non votano perché non credono che la politica possa avere risposte per la loro vita quotidiana: coloro che non sono garantiti perché senza lavoro, o con lavoro precario; coloro che non arrivano alla fine del mese, per stipendi insufficienti o pensioni da fame.
La grande questione del nostro tempo è questa: la diseguaglianza. L’infelicità collettiva generata dal fatto che pochi lucrano su risorse e beni comuni in modo da rendere infelici tutti gli altri.
La scandalosa realtà di questo mondo è un’economia che uccide: queste parole radicali – queste parole di verità – non sono parole pronunciate da un leader politico della sinistra, ma da Papa Francesco. La domanda è: «E’ pensabile trasporre questa verità in un programma politico coraggioso e innovativo»? Noi pensiamo che non ci sia altra scelta. E pensiamo che il primo passo di una vera lotta alla diseguaglianza sia portare al voto tutti coloro che vogliono rovesciare questa condizione e riconquistare diritti e dignità.
Per far questo è necessario aprire uno spazio politico nuovo, in cui il voto delle persone torni a contare.
Soprattutto ora che sta per essere approvata l’ennesima legge elettorale che riporterà in Parlamento una pletora di “nominati”. Soprattutto in un quadro politico in cui i tre poli attuali: la Destra e il Partito Democratico – purtroppo indistinguibili nelle politiche e nell’ispirazione neoliberista – e il Movimento 5 Stelle o demoliscono o almeno non mostrano alcun interesse per l’uguaglianza e la giustizia sociale.
Ci vuole, dunque, una Sinistra unita, in un progetto condiviso e in una sola lista. Una grande lista di cittadinanza e di sinistra, aperta a tutti: partiti, movimenti, associazioni, comitati, società civile. Un progetto capace di dare una risposta al popolo che il 4 dicembre scorso è andato in massa a votare “No” al referendum costituzionale, perché in quella Costituzione si riconosce e da lì vorrebbe ripartire per attuarla e non limitarsi più a difenderla.
Per troppi anni ci siamo sentiti dire che la partita si vinceva al centro, che era indispensabile una vocazione maggioritaria e che il punto era andare al governo. Da anni contempliamo i risultati: una classe politica che si diceva di sinistra è andata al governo per realizzare politiche di destra. Ne portiamo sulla pelle le conseguenze, e non vogliamo che torni al potere per completare il lavoro.
Serve dunque una rottura e, con essa, un nuovo inizio: un progetto politico che aspiri a dare rappresentanza agli italiani e soluzioni innovative alla crisi in atto, un percorso unitario aperto a tutti e non controllato da nessuno, che non tradisca lo spirito del 4 dicembre, ma ne sia, anzi, la continuazione.
Un progetto che parta dai programmi, non dalle leadership e metta al centro il diritto al lavoro, il diritto a una remunerazione equa o a un reddito di dignità, il diritto alla salute, alla casa, all’istruzione.
Un progetto che costruisca il futuro sull’economia della conoscenza e su un modello di economia sostenibile, non sul profitto, non sull’egemonia dei mercati sui diritti e sulla vita delle persone.
Un progetto che dia priorità all’ambiente, al patrimonio culturale, a scuola, università e ricerca: non alla finanza; che affronti i problemi di bilancio contrastando evasione ed elusione fiscale, e promuovendo equità e progressività fiscale: non austerità e politiche recessive.
Un simile progetto, e una lista unitaria, non si costruiscono dall’alto, ma dal basso. Con un processo di partecipazione aperto, che parta dalle liste civiche già presenti su tutto il territorio nazionale, e che si apra ai cittadini, per decidere insieme, con metodo democratico, programmi e candidati.
Crediamo, del resto, che il cuore di questo programma sia già scritto nei principi fondamentali della Costituzione, e specialmente nel più importante: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3).
È su questa piattaforma politica, civica e di sinistra, che vogliamo costruire una nuova rappresentanza. È con questo programma che vogliamo chiamare le italiane e gli italiani a votare.
Vogliamo che sia chiaro fin da ora: noi non ci stiamo candidando a guidarla. Anzi, non ci stiamo candidando a nulla: anche perché le candidature devono essere scelte dagli elettori. Ma in un momento in cui gli schemi della politica italiana sembrano sul punto di ripetersi immutabili, e immutabilmente incapaci di generare giustizia ed eguaglianza, sentiamo – a titolo personale, e senza coinvolgere nessuna delle associazioni o dei comitati di cui facciamo parte – la responsabilità di fare questa proposta. L’unica adeguata a questo momento cruciale.
Perché una sinistra di popolo non può che rinascere dal popolo.
Invitiamo a riunirsi a Roma il prossimo 18 giugno tutti coloro che si riconoscono in questi valori, e vogliono avviare insieme questo processo.
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Si accelerano i tempi della crisi e si avvicinano le scadenze elettorali: sembra che il dibattito nella sinistra cominci a poggiare i piedi per terra e ad assumere toni comprensibili anche ai comuni mortali. Ne proponiamo qui di seguito un esempio: il recente intervento di Vincenzo Vita sul Manifesto del 28 maggio 2017
Una lista, non più di una. A sinistra del partito democratico -nelle ormai imminenti elezioni politiche- spazio per avventurose duplicazioni (o peggio) non c’è. Il rischio che numerose aree del disagio e del bisogno siano escluse dalla rappresentanza è altissimo. Al di là dei ceti politici. Il corpo a corpo sembra essersi ristretto, infatti, alla polarità dialettica costituita dal Pd centrista e moderato, nonché dall’ eclettico e contraddittorio Mov5Stelle. Interi pezzi di società non si riconoscono in quei poli e ingrossano la vera maggioranza relativa: l’astensionismo. A parte la destra tuttora divisa tra aziendalisti berlusconiani e sovranisti xenofobi di Salvini, cui però è difficile affidare future magnifiche sorti, la contesa sembra essersi ristretta e rinsecchita. E questo è il problema principale, visto che ampi settori di tradizionale simpatia per la gauche sono già andati a finire nell’imbuto del non-voto o –limitatamente- nel consenso pentastellato. Per mancanza di attendibili alternative. All’origine delle difficoltà sta proprio il forte ridimensionamento di un credibile progetto di e per una sinistra moderna: capace di rilanciare i valori fondamentali della libertà, dell’etica, dell’uguaglianza, del lavoro e della conoscenza: riscritti nella sintassi digitale. Innanzitutto, dunque, è essenziale ricostruire il filo di culture politiche adeguate, immaginando con creatività contenuti e forme nuovi di organizzazione tra piazze e social, leggendo l’attualità dei conflitti cui non va dato il nome di comodo di “populismi”.
Ci vuole del tempo, né si possono improvvisare slogan e soluzioni puramente mediatiche. E’ indispensabile, però, arrivare alla fase del rilancio con i soggetti interessati o interessabili vivi e non defunti. E con il coraggioso ripristino di una concreta affidabilità morale verso l’universo scomposto e deluso delle persone in carne e ossa.
Su tali temi nei giorni scorsi l’Associazione per il rinnovamento della sinistra ha convocato un riuscito incontro con le varie forze in campo. Sono intervenuti Maurizio Acerbo (Rifondazione), Mauro Alboresi (Pci), Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), Miguel Gotor (Mdp-Art.1), Massimo Torelli (Altra Europa), assente giustificato Pippo Civati (Possibile). Nel corso del dibattito –introdotto da chi scrive e concluso da Aldo Tortorella- Maria Luisa Boccia presidente del Centro per la riforma dello stato ha dato la parola anche ad Anna Falcone, Alberto Benzoni, Roberto Biscardini, Salvatore Bonadonna, Bia Sarasini, Alfonso Gianni e Roberto Bertoni. E’ emersa una volontà condivisa di verificare la praticabilità di un traguardo unitario, a patto che sia chiara la discontinuità con le linee del passato: le “terze vie” subalterne al liberismo (il D’Alema di oggi è diverso da quello di ieri, Mdp-Art1 ha votato contro il ripristino dei voucher), il fantasma di un’ormai improbabile riedizione del “centrosinistra”, la cancellazione delle (contro)riforme di questi anni. Il tutto va declinato, però, in positivo, attraverso programmi credibili e il superamento dei vecchi metodi del e nel far politica.
La forma della lista non è meno importante dei suoi contenuti. Non può, non deve ricordare passate esperienze di sommatorie di sigle, accordi di potere, logiche spartitorie. E’ moneta fuori corso e ricordare quelle stagioni perdenti assomiglia ad un grottesco latinorum. Lo sguardo va rivolto –per usare un criterio- al vastissimo popolo che ha permesso la schiacciante vittoria del No al referendum costituzionale lo scorso 4 dicembre, nonché a quello contiguo (in buona parte sovrapposto) che ha animato l’enorme manifestazione con i migranti sabato 20 maggio a Milano. Sono emerse, tra le altre, personalità fresche e autorevoli come la citata Anna Falcone –vicepresidente del Comitato del No- e l’apprezzato presidente di “Libertà e giustizia” Tomaso Montanari. E chissà quante altre figure “civiche” si celano sotto la superficie dei segni conosciuti da una politica troppo ripetitiva. Una lista di sinistra, anzi, va incrociata con il miglior “civismo”. L’Ars, ovviamente, non ha il compito di fare nomi o suggerire soluzioni operative. Anzi, lo statuto recita che l’Associazione non si presenta alle elezioni. Tuttavia, è giusto prendere atto della lezione della realtà: una lista che, pur non avendo pregiudizi verso le espressioni partitiche, sia davvero aperta ai movimenti, all’associazionismo, ai protagonisti delle mobilitazioni sociali e culturali.
Naturalmente, tutto questo esige la sconfitta dell’ennesimo patetico giro di valzer sulla legge elettorale, che prende ogni giorno sembianze diverse: dal “rosatellum” al “tedesco” ora in discussione. Il sottotesto è un altro sussurrato “Patto del Nazareno” (del resto, il caos sulla Rai il sospetto lo fa venire). Il voto del 4 dicembre ci ha consegnato il mandato di batterci per una seria riforma proporzionalista, purissima o meno, ma chiara, restituendo il potere di scelta ai cittadini.
Vincenzo Vita
Riprendiamo dall'inserto del settimanale Setteserequi, del 26 maggio 2017, "ll Castoro" - giornale degli studenti del Liceo "Torricelli-Ballardini" di Faenza - una interessante intervista al presidente del Cineclub Raggio Verde, Enrico Gaudenzi, sulla vicenda Arena Borghesi.
Finalmente alcune questioni mai dette dall'Amministrazione Comunale e da Conad vengono alla luce, per esempio, è chiarificatore leggere: " ....Con la nuova formula l'amministrazione ci ha proposto il cambiamento di questo tipo di gestione: il privato non deciderà solo per lo spazio di sua competenza, ma gestirà anche buona parte della stagione cinematografica, scegliendo almeno i due terzi dei film e lasciando solo 20, 25 serate di programmazione in mano al cineclub....".
Adesso è più chiaro cosa significava il tanto sbandierato "dono" dell'Arena all'amministrazione, è piuttosto il contrario: la cessione a Conad anche della programmazione cinematografica!
Avanti con la modernità della giunta Malpezzi: cementificare e privatizzare spazi pubblici di pregio, cedere la funzione pubblica e la cultura ad una catena di supernercati !
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