Italia veloce. L'approvazione "salvo intese" del "decreto semplificazioni" rischia di riprodurre gli errori del passato, trascurando le esigenze di uno sviluppo sostenibile e green della mobilità e dello spazio urbano
Un elenco lunghissimo di opere definite prioritarie, commissari per sbloccarle, riduzione delle gare e dei pareri ambientali, tanti chilometri di asfalto e pochi di ferro nelle aree urbane. Come venti anni fa, solo che questa volta non si chiama Legge Obiettivo, e Silvio Berlusconi è all’opposizione di un Governo con il Pd e il Movimento Cinque Stelle.
Il panico per la crisi economica e la fretta di sbloccare qualche cantiere, sta producendo conseguenze inimmaginabili. Qual è il senso politico di stravolgere il Codice degli appalti approvato quando Graziano Delrio era al Ministero delle infrastrutture, per tornare a ricette per aggirare le gare come ai tempi di Lunardi e che avevano portato ad arresti per corruzione, ritardi e spreco di denaro pubblico? Nessuno.
E davvero non si comprende come queste ricette possano contribuire a rilanciare il Paese. Nel Piano #Italiaveloce della ministra De Micheli sono previsti circa 3mila chilometri di nuove strade e autostrade: pedemontane in Veneto e Lombardia, Val d’Astico, Tibre, autostrada Cispadana, Pontina, Gronda di Genova, solo per citare le più note. Tutte opere che risalgono ai tempi della Legge Obiettivo, oramai inutili e che potrebbero essere sostituite da alternative ben più sostenibili, ma costosissime a beneficio dei soli concessionari. Soprattutto mancano proprio le opere più urgenti ai tempi del Covid, quelle che riguardano le aree urbane.
Dobbiamo augurarci che questa ennesima approvazione «salvo intese» porti a un risveglio politico nella maggioranza, perché se il nostro Paese è in crisi lo deve proprio alle scelte sbagliate realizzate negli ultimi venti anni. Se le città italiane vivono una condizione ambientale e sociale così difficile la ragione è in una mobilità dove a prevalere sono gli spostamenti in automobile. I ritardi sono storici ma nel frattempo si è continuato nella stessa direzione, visto che dal 2010 ad oggi sono stati inaugurati 275 km di autostrade, 1543 di strade nazionali a fronte di 70 chilometri di metropolitane e 34 km di tram. Mentre si parla di cura del ferro per le città nel 2019 non è stato inaugurato neanche un chilometro di metropolitane.
E ancora, la tesi per cui occorre affidare gli appalti senza gara e stravolgere il codice appalti, perché non starebbe funzionando e rallenta i cantieri, è falsa. Basta leggere le analisi del Cresme sulle gare d’appalto in corso o ascoltare le richieste di costruttori e Sindacati per capire che in realtà il Governo sta seguendo altri interessi, ossia di chi punta a ottenere appalti senza gare e controlli. Ma in una crisi drammatica come quella che stiamo vivendo non è accettabile che si rinunci a correggere le cose che non funzionano – che pure ci sono nelle stazioni appaltanti, nei tempi delle procedure, nelle valutazioni ambientali – abdicando all’idea che l’unica strada per uscire dalla crisi sia questa. Anche perché stavolta un’alternativa credibile esiste, ed è quella di puntare sulle città come cuore del rilancio del Paese.
L’elenco è già negli uffici della ministra De Micheli, sono gli interventi che i Comuni hanno previsto nei Piani urbani della mobilità sostenibile. L’obiettivo è di raddoppiare entro il 2030 i chilometri di piste ciclabili, di realizzare 330 km di tram e 154 km di metropolitane. Inutile aggiungere che queste opere non sono prioritarie e in larga parte non hanno finanziamenti. L’altre grande limite di questo progetto del Governo riguarda il Sud, dove si annuncia l’ennesimo elenco di cantieri ma nulla è previsto per far tornare i treni a circolare. Quando il problema oggi è che tra Bari e Napoli, tra Reggio Calabria e Taranto, tra Potenza e Lecce i treni sono scomparsi.
A proposito di ricette per il rilancio, quei treni che mancano si potrebbero produrre nelle fabbriche dell’ex Ansaldo a Napoli e Reggio Calabria, con l’acciaio proveniente da Taranto. L’augurio è che si apra un dibattito politico vero sulle idee per far ripartire il Paese, magari puntando ad aprire milioni di cantieri, grandi e piccoli, in ogni Comune e su cui costruire l’ossatura della proposta italiana per il green deal da finanziare con risorse europee.
* vicepresidente di Legambiente