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Autostrade. L’accordo raggiunto, con un iter complesso ma abbastanza delineato, smentisce quanti, da subito dopo la strage fino a ieri, hanno sostenuto che nulla poteva essere fatto contro le stratosferiche, miliardarie penali che lo Stato sarebbe stato costretto a pagare ai miracolati concessionari

 

Due anni dopo il crollo del ponte Morandi e i 43 morti sul fondo del Polcevera, il nuovo ponte sta per essere inaugurato mentre i responsabili della tragedia (fino a che punto lo dirà il processo) iniziano a imboccare la via d’uscita dalla gestione di Autostrade. Un doppio risultato, con un valore anche simbolico.

L’accordo raggiunto, con un iter complesso ma abbastanza delineato, smentisce quanti, da subito dopo la strage fino a ieri, hanno sostenuto che nulla poteva essere fatto contro le stratosferiche, miliardarie penali che lo Stato sarebbe stato costretto a pagare ai miracolati concessionari.

Scomodando per l’occasione il jolly dello stato di diritto, perché i contratti si rispettano e se il governo avesse tolto di mezzo i Benetton chi mai più dall’estero sarebbe venuto in Italia a investire? Le due parolacce di uso comune nel vocabolario pentastellato, Benetton e revoca, sconsiderate pure provocazioni.

Perché sui giornali non venisse nominata la famiglia dei maglioncini colorati è un mistero di pulcinella, considerate le ottime relazioni degli imprenditori trevigiani con i grandi gruppi editoriali (grandi firme del Corsera nel Cda di Atlantia, manager Gedi idem).

Non scopriamo niente di nuovo ma vale la pena rimarcarlo. (Anche per apprezzare l’inestimabile valore dell’autonomia e indipendenza di queste pagine).

Dunque si profila una public company, con lo stato imprenditore di un’opera di pubblico servizio. Non che questo ci garantisca la qualità del servizio, e in primis la sicurezza delle nostre autostrade. Ma difficilmente potrebbe capitarci qualcosa di peggiore di quel che il paese ha vissuto con il ponte Morandi, e il contratto capestro concesso ai Benetton dai governi sia di centrosinistra che berlusconiani.

Qualche commentatore, di quelli né di destra né di sinistra, indefessi scommettitori sulla posta fissa della crisi di governo, ieri non si rassegnava al punto segnato da palazzo Chigi, paragonando la situazione politica di oggi al momento in cui, regnante Berlusconi, nel 2011, Merkel e Sarkozy ridicolizzarono il barcollante governo del Cavaliere (poi sostituito da Monti).

Con qualche ragione, i 5Stelle rivendicano il ruolo di protagonisti della battaglia, ma l’esito della vicenda può attribuirselo anche il partito di Zingaretti, nonostante i forti mal di pancia nel digerire l’accordo.

Sensibile al capitalismo di relazione, nei confronti del quale ha «usato i guanti bianchi», come diceva Goffredo Bettini in una recente intervista, questa volta il Pd i guanti sembra esserseli tolti.