La tragedia della pandemia ci ha messo di fronte alle ragioni ultime della convivenza: ciò che porta a formare una società è, prima di tutto, la tutela della vita e la tutela dei diritti considerati fondamentali (salute, lavoro, cura). Ci ha anche ricordato che il contratto sociale si basa su valori etici, come la dignità e l'uguaglianza. Infine, ci ha ricordato che i poteri costituiti devono essere al servizio dei diritti, ma che non sono strutture di potere in conflitto tra loro. Se usiamo questa griglia di giudizio, appare in tutta la sua chiara evidenza la distanza che separa la realtà del vivere dall'agire politicamente, sempre ai giochi di palazzo.
Da un lato centinaia di morti al giorno, l'impossibilità di guarigione (e non solo nel caso dei covid), la precarietà delle condizioni materiali (economiche, ma anche esistenziali); dall'altra le polemiche spezzate, le "posizioni" dei vari partiti politici, la ricerca di visibilità mediatica, l'acidità dello scherzo sprezzante. Stiamo assistendo al declino della politica come "governo della polis" e al trionfo dell'autonomia autoreferenziale dei soggetti di governo.
Lasciamo ora da parte la questione dei poteri centrali (Governo e Parlamento) - su cui ci siamo più volte soffermati - guardiamo alla vicenda dei poteri locali. Quello che è emerso in questi mesi "eccezionali" è che, a fronte delle evidenti difficoltà di tutte le Regioni a tutelare i diritti fondamentali nei loro territori, si è assistito ad un aumento delle polemiche strumentali. Il riflesso istituzionale - dei presidenti-governatori - è stato quello di agire come controparti del governo centrale. Posizioni oscillanti, tra richieste di maggior rigore e insofferenza per i limiti imposti, ma sempre tese a rivendicare entro i propri confini tutto lo spazio decisionale politico. Con meno clamore, ma una simile convinzione, anche i sindaci hanno cercato di sperimentare una sorta di sovranità comunale.
Il Capo dello Stato ha cercato di ricordarci che prima di rivendicare poteri, gli amministratori locali dovrebbero pensare all'unità nazionale, perché questa è la posta in gioco oggi. Ma l'istinto ha prevalso: più i morti aumentavano, più i "governatori" scaricavano le loro responsabilità sugli altri, non riuscendo a sentirsi parte di un destino comune. Nessuno è senza colpa e più di un errore è stato commesso dal centro. Ma in mezzo alla pandemia, l'aver visto le Regioni stabilire regole di sicurezza e libertà fondamentali in contrasto con quelle definite a livello nazionale mostra come sia stato raggiunto il limite della rottura dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica.
Quanto a quanto può essere accaduto, la ragione principale è da ricercare nell'affermazione di un modello autonomo di natura "competitiva", lontano da quello originariamente previsto dalla Costituzione, che è di natura "solidale". Una trasformazione che viene da lontano, ma che ora, nel profondo della crisi più grave, rischia di mettere in discussione i principi supremi della convivenza. Basta guardare indietro per capire la parabola del regionalismo italiano.
Molto tempo dopo l'istituzione delle Regioni Ordinarie, la sinistra ha cercato di affermare uno "Stato di Autonomia", puntando sulla partecipazione, sulla centralità delle assemblee e dei consigli regionali, provinciali, comunali e distrettuali. È stato il principio della "differenziazione", non quello della "concorrenza", a legittimare l'attribuzione di poteri agli enti locali, che hanno operato dimostrando una diversa capacità di amministrazione. Il "modello emiliano" era l'orgoglio della sinistra perché meglio di altri poteva dimostrarsi buona amministrazione fornendo servizi pubblici locali. Tuttavia, questa prospettiva è stata abbandonata dai suoi stessi creatori.
La svolta per le Regioni arriva nel 1999 quando, per legge costituzionale, si decide di abbandonare
LORI CAMBIA LEGGE CONTESTATA, "ORA VERIFICA SU CONSUMO SUOLO" (DIRE) Bologna, 16 dic. -
La giunta fa marcia indietro all'ultimo momento e i rossoverdi festeggiano. E' stata ascoltata la richiesta avanzata in particolare da Emilia-Romagna Coraggiosa di stralciare gli articoli della nuova legge sulla rigenerazione nei centri urbani che modificavano la legge urbanistica regionale, la cosiddetta taglia-cemento, in senso "meno restrittivo". E' stata lo stesso assessore alla Pianificazione territoriale Barbara Lori a presentare gli emendamenti, tre, alla legge. "Oggi- ha detto questa mattina in commissione- credo sia giusto fermarsi su un aspetto che impatta ben poco sul superbonus che e' l'oggetto di questa legge. E' chiaro che sul tema interverremo, cosi' come interverremo con strumenti legislativi ad hoc per accompagnare i nostri territori alla semplificazione".
Soddisfatti i capogruppo di Coraggiosa e Verdi, rispettivamente Igor Taruffi e Silvia Zamboni. "Crediamo che a tre anni dall'approvazione della legge urbanistica- affermano i due consiglieri di maggioranza- sia giunto il momento per una puntuale e complessiva verifica dei risultati ottenuti dalla legge stessa. In particolare in termini di riduzione del consumo di suolo. Per quanto ci riguarda- aggiungono- si pone infatti l'inderogabile necessita' di una profonda discussione sulla legge nel suo complesso, anche, in particolare, alla luce degli obiettivi stabiliti nel patto per il lavoro e per clima, sottoscritto proprio in questi giorni. Nella scorsa legislatura ci opponemmo alla legge urbanistica. In questa crediamo debba essere rivista".
Un passo indietro era nelle cose come ha spiegato anche il relatore di maggioranza della legge, il dem Andrea Costa, per il quale si tratta di una sorta di work in progress. "Vista la complessita' del testo, e' necessario arrivare ad una formulazione la piu' possibile condivisa e, nonostante il lavoro svolto, da qui all'aula credo che ci sara' spazio per intervenire su altri ambiti". Ma il centrodestra chiede per questo un esame ulteriore della norma. "Stante l'emendamento dell'assessore Lori arrivato pochi minuti prima dell'inizio della seduta odierna- ha detto il leghista Massimiliano Pompignoli, della Lega- vorrei si rifacesse l'udienza conoscitiva con i tecnici, perche' la soppressione di due articoli cosi' importanti come il 30 ed il 32", entrambi sui Pug "hanno di fatto snaturato in maniera importante questo testo e cio' comportera' un'approfondita fase di discussione quando saremo in aula".
Sull'articolo 32 "attendo di capire i motivi di questo ripensamento- afferma invece Marco Lisei di Fdi- perche' condividevo tale articolo in un'ottica di semplificazione, in quanto l'attuale legislazione e' fin troppo restrittiva. A seguito di questa decisione avremo per il momento una posizione interlocutoria su questo provvedimento e poi decideremo in base al comportamento che verra' tenuto in aula".
Critica anche la 5 stelle Silvia Piccinini: "Quando si scrive che in fase di asseverazione il tecnico si deve occupare solo delle parti sottoposte a bonus, significa chiudere gli occhi di fronte ad eventuali abusi. Uno spirito del tutto contrario a una legge nazionale fortemente voluta dal Movimento 5 stelle che mira alla rigenerazione facendo emergere eventuali abusi". (Bil/ Dire) 16:51 16-12-20 NNNN
Commenta (0 Commenti)Assemblea Equologica. Una giornata di lavori per discutere di «giustizia sociale e ambientale» come pietra angolare di un nuovo soggetto politico.
Un’assemblea nazionale, digitale, per discutere di «giustizia sociale e ambientale». Provare a costruire intorno ai due elementi un nuovo soggetto politico che si misuri con i territori e subito con gli appuntamenti elettorali. A partire dalle amministrative della prossima primavera, con le principali città al voto.
Equologica ha messo in campo ieri 44 tavoli tematici e 8 panel con esponenti di partiti di sinistra, Verdi, Psi, il sindaco di Milano Beppe Sala, Luciana Castellina, i ministri Roberto Speranza e Gaetano Manfredi, Legambiente, Friday for future e il Wwf, gli economisti Jean Paul Fitoussi e Gunter Pauli, Aboubakar Soumahoro, Cgil e Uil, le sardine Mattia Santori e Jasmine Cristallo, pezzi dell’universo 5S che si sentono a loro agio a sinistra come il presidente della Camera Roberto Fico e la ministra Nunzia Catalfo ma anche gli ex Paola Nugnes e Lorenzo Fioramonti.
A tirare le somme, in serata, ci ha pensato Gessica Allegni, assessora comunale di Bertinoro e parte dell’associazione È viva: «Crisi economica e crisi ambientale sono connesse. Bisogna riaprire la discussione nel governo, esecutivo che sosteniamo, ma è necessario migliorare la qualità della sua azione». Giuseppe Conte è presente con un video messaggio («giustizia, equità, ambiente: condivido i vostri temi») e li incontrerà mercoledì.
Il nemico è Matteo Renzi: «Non si tratta di fare come altri – l’attacco di Allegni, risuonato anche in altri interventi -, cioè ipocritamente tenere alta la tensione per logiche di potere. Vogliamo restituire un ruolo ai luoghi della democrazia. Le nostre proposte sono in campo: patrimoniale, reddito universale e salario minimo, un sistema davvero universalistico della Sanità, un welfare inclusivo, diritto alla casa e diritti per chi lavora».
Il problema, come sottolineato da Castellina, è «su quali gambe far camminare nei territori e nelle istituzioni un nuovo progetto politico, come impresa collettiva». Allegni: «Costruiamo una leadership collettiva per tornare a essere comunità. Oggi (ieri ndr) non nasce un partito ma ci diamo l’obiettivo di realizzare una soggettività politica con una sua autonomia e capacità di rappresentanza. Ci daremo un nome per renderci visibili (Equologia – rete Ecologia sinistra civismo ndr), ci daremo un impegno per le amministrative di primavera, a cominciare dalla rielezione di Sala. Superiamo lo spezzatino di liste come alle ultime regionali».
I lavori sono cominciati ricordando la strage di Piazza Fontana ma anche nel nome di Giulio Regeni e Patrick Zaki. L’avvocata della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini: «Due persone al giorno in Egitto spariscono come Giulio. Chiediamo il ritiro dell’ambasciatore e lo stop alla vendita di armi». Diritti prima degli affari, sostenibilità umana e ambientale prima del profitto. Il deputato e portavoce di È viva Francesco La Forgia: «Dobbiamo trovare un collegamento con i blocchi sociali. Se si lascia che il sistema trovi la sua direzione, finisce per assumere traiettorie che allargano la forbice delle disuguaglianze». E Nicola Fratoianni: «Usciamo dalla subalternità culturale, dobbiamo creare strumenti di redistribuzione delle ricchezze».
Se la sardina Sartori rimprovera ai partiti di esserci arroccati, tra mille leaderini e nessun gregario, Angelo Bonelli dei Verdi interroga i dem: «Il fronte progressista è un tentativo già fatto. Ci vuole innovazione. La questione ecologica permette di intercettare anche i cattolici e i moderati. Se il Pd pensa con lo sbarramento al 5% di risucchiare le altre culture politiche fa un errore strategico che non favorisce neppure il Pd». La risposta dal vicesegretario Andrea Orlando: «Non abbandoniamo la nostra vocazione maggioritaria ma serve una pluralità nell’offerta, con una forte compatibilità tra le diverse forze altrimenti non si è credibili. Un progetto per battere le destre ha bisogno di recuperare una proposta radicale per riconnettersi con chi ha pagato le crisi».
Adriana Pollice da “il Manifesto” del 13.12.2020
Ambiente e sindacato. Accanto al miraggio della decrescita felice c'è il rischio della decrescita infelice
La risposta della Filctem Cgil all’appello di Castellina e Muroni rivela come una parte del sindacato sia ancora lontana dall’aver recepito la drammaticità del momento storico che stiamo vivendo. Il messaggio di Francesco, degli studenti di Greta e del mondo scientifico stanno rimettendo in discussione il rapporto tra uomo, elementi naturali e biosfera, chiarendo quanto la sopravvivenza e la giustizia sociale siano irreversibilmente a rischio. La portata del disastro e il tempo limitato a disposizione per affrontarlo – di cui trattano nel loro appello Castellina e Muroni – assieme al lento declino della vita vegetale e animale può convincere il mondo del lavoro ad uscire da una posizione puramente difensiva e diventare punto di riferimento essenziale di una trasformazione radicale del modello di sviluppo.
Oltre la pandemia, le emergenze sempre più prossime fanno sì che lo sviluppo debba cedere il passo al bisogno di sopravvivenza: una autentica rottura. Ad esempio, la necessità di porre la questione sanitaria al centro della ricerca scientifica e della stessa prospettiva della produzione sta già spezzando l’andamento della spirale della crescita tecnologica, visto che il vaccino sta nell’ottica della salvaguardia della specie, in luogo della cura rivolta al singolo. Dall’idea del progresso lineare e infinito dentro al meccanismo del consumo, nel pensiero umano prende prevalenza la logica di una ugualitaria conservazione della specie. Un fatto del genere non era capitato neppure di fronte al richiamo del mutamento climatico, nonostante gli sforzi di Francesco, di Greta, degli studenti, degli ecologisti ancora assortiti per culture nazionali diverse.
Queste novità sfuggono imprudentemente al documento del sindacato energia. Non sono i fior fiori di ingegneri e tecnici iscritti alla Cgil che dovrebbero chiarirci le linee della svolta necessaria: anch’essi, come noi, sono figli di una educazione non interdisciplinare, che sa ben trattare la trasformazione di materia e energia, ma non presta attenzione agli effetti irreversibili che, oltre una soglia, la tecnologia può procurare alla comunità umana, alla vita e alla riproduzione di tutto il vivente. In fondo, almeno negli ultimi cinquant’anni, c’eravamo abituati alla penuria d’acqua, alla furia dei tornado, all’erosione del suolo, ma trascuravamo, non senza colpa, i danni procurati da una crescita incontenibile di energia.
Finora la ricaduta sui territori è stata elusa e la discussione è rimasta ai piani alti. Non sarà mai più così. Noi abbiamo di fronte l’esperienza sul nascere di Civitavecchia, dove la pretesa degli enti energetici di ricondannare le popolazioni già colpite nel passato ad un futuro a metano, sta suscitando un autentico movimento popolare e dove la Cgil territoriale, assieme alla Uil, ha avanzato la richiesta di mettere in rete tutti i comitati e le associazioni che avanzano proposte alternative per la riconversione della centrale a carbone, ottenendo l’attenzione di medici, studenti, associazioni ambientaliste, sindacati di categoria e cittadini, che hanno reso pubblica una totale convergenza in una trasmissione molto significativa sulla rete TV locale.
Siamo, dicono i partecipanti alla trasmissione, ad un momento storico, ad un voltar pagina, che può contare su ricerca, occupazione qualificata, sviluppo del territorio con ridotto impatto sull’ambiente e con il sostegno, per la prima volta, di una finanza Ue che allenta i criteri di pura competizione tra le singole nazioni. Purtroppo, l’illusione che non ci fosse freno al consumo di energia è rimasto nel bagaglio delle nostre generazioni già da quando andavamo a scuola. A quella storia rischia di rimanere appeso il sindacato dei lavoratori dell’energia, che quando parla di transizione pensa che molto possa a parole cambiare, ma che esista una soglia di danno – quella in particolare provocata da nuovi investimenti in gas – tollerabile per un “green washing” delle imprese e utile per la tutela dei lavoratori attualmente occupati. Ignorando così le ben più consistenti possibilità occupazionali per loro e per i giovani del territorio, che potrebbero derivare da una riconversione davvero verde della produzione di energia e dalle possibilità di sviluppo che si aprirebbero per l’intero contesto territoriale.
Questa saldatura sul territorio fra organizzazione sindacale e associazione della cittadinanza attiva, la volontà manifestata dalla Camera del Lavoro di assumere come livello di decisione, quando le questioni di politica del lavoro e di politica economica riguardano la vita di tutti i cittadini, un ambito più grande di quello dei lavoratori attualmente sindacalizzati, è un esempio importante di quella “Camera del lavoro di strada” che più volte Maurizio Landini ha evocato. Restringere l’ambito della determinazione delle posizioni al sindacato di categoria, alla ragionevolezza di quello che è possibile fare dentro l’attuale modello di sviluppo, magari riuscendo a redistribuire i profitti in maniera più equa, è certamente una visione alternativa a quella decrescita felice che la Filctem sembra ritenere il pericolo maggiore da esorcizzare, ma rischia di mantenerci prigionieri di quella decrescita infelice che caratterizza ormai gli ultimi anni della nostra storia.
Commenta (0 Commenti)Proprio nei giorni in cui l’ex Ilva torna pubblica arriva una svolta importante da quella «piccola Taranto» che è Civitavecchia. Una svolta che ha molto a che vedere con il dibattito partito sul manifesto con l’intervento di Luciana Castellina e Rossella Muroni sul tema sindacato e ambientalismo.
La svolta riguarda l’atteggiamento della Cgil verso il progetto di riconversione della centrale Enel di Torrevaldaliga Nord. Una riconversione che il gigante dell’energia a proprietà pubblica ha deciso sia fatta usando come combustibile il gas. Una scelta ora apertamente criticata dalla Cgil di Civitavecchia che invece chiede di passare all’idrogeno e alle fonti rinnovabili.
La svolta ambientalista della Cgil arriva alla fine di un lungo percorso di ascolto e confronto con il territorio concluso qualche giorno fa. «La Camera del lavoro è stato un punto di aggregazione e di convergenza fra le tante associazioni sul territorio – spiega la segretaria della Cgil di Civitavecchia Stefania Pomante – . Un territorio che da 70 anni sta pagando un prezzo molto alto sotto l’aspetto dell’inquinamento e della salute e che ora lancia un progetto di rilancio ambientale e occupazionale basato sull’uso dell’idrogeno, dell’eolico e del fotovoltaico, messo a punto assieme a tecnici dello stesso territorio a dimostrazione che non siamo “il partito del no” ma vogliamo sfruttare una situazione storica senza precedenti: le fonti rinnovabili possono dare più lavoro e i fondi europei fanno superare la frattura fra lavoro e salute».
UNA MOSSA CHE FA SINTESI anche delle posizioni articolate delle varie categorie. La centrale Enel ha dato lavoro per decenni a migliaia di persone, scese di molto dall’ormai lontano 2003 quando iniziarono i lavori di riconversione. I dipendenti diretti sono ora 320 e sono sostanzialmente lavoratori elettrici in Cgil coperti dalla Filctem. A loro però vanno aggiunti 460 metalmeccanici – e dunque tutelati dalla Fiom – che lavorano nella manutenzione e nella pulizia industriale. Al computo vanno infine aggiunti i 200 portuali che da decenni che si occupano dello scarico del carbone – in Cgil sotto la responsabilità della Filt, categoria dei trasporti.
IL PROGETTO DELLA NUOVA centrale a gas Enel ha avuto una lunghissima e contestata gestazione e manca ancora della procedura di autorizzazione ambientale. La scelta dell’ad Enel Francesco Starace di scegliere il gas con la motivazione che «prima del 2050 (anno dello stop europeo al gas, ndr) serve una fase transitoria con centrali di questo tipo» è contestata dalle associazioni ambientaliste ma viene difesa da governo e sta facendo breccia tra le istituzioni locali in teoria contrarie – a Civitavecchia dopo decenni di giunte di sinistra c’è stato un interregno del M5s e ora il sindaco è leghista – che sottolineano come il progetto porti nuovi posti di lavoro.
La verità però è sotto gli occhi di tutti: il cantiere produrrà «una bolla» di qualche centinaio di posti di lavoro per massimo 3 anni ma la nuova centrale darà lavoro definitivo a non più di 40-50 persone esattamente come è successo all’altra centrale a gas Torrevaldaliga Sud, di proprietà della Tirreno Power. Questo porterà anche al trasferimento di molti lavoratori elettrici di Enel che non perderanno il lavoro ma saranno ricollocati altrove.
«LA NOSTRA POSIZIONE non ha ricevuto critiche dalle categorie – continua Pomante, sindacalista che proviene proprio dalla Filctem – perché tutti sono coscienti che l’occupazione calerebbe e che in 20 chilometri di costa ci sarebbero tre centrali a gas, contando anche Montalto di Castro, in pratica la massima concentrazione in Europa».
«Il nostro obiettivo è non mettere in competizione il diritto alla salute e il diritto di lavorare – spiega Giuseppe Casafina, segretario della Fiom di Civitavecchia – e pensiamo che per Civitavecchia ci sono le condizioni per un futuro verde che dia sviluppo economico anche al porto tramite l’uso dell’idrogeno e dell’eolico off-shore galleggiante, su cui sappiamo esiste un progetto. Lo diciamo a tutti, non solo a Enel: non possiamo più continuare così, senza salute e con poco lavoro».
Commenta (0 Commenti)15 dicembre 1969. C’è stato un tempo in cui un ex partigiano come Giuseppe Pinelli poteva piombare giù dal quarto piano di una questura della Repubblica e vedersi calunniato anche da morto, accusato di essersi suicidato perché colpevole «il gesto -dichiarò Guida ai giornalisti- potrebbe equivalere ad un confessione»
C’è stato un tempo in cui Marcello Guida, ex direttore fascista della colonia di confino di Ventotene, dirigeva la questura di Milano. In quegli uffici Guida trattenne illegalmente quello che nel 1944-45 era stato un giovane partigiano, Giuseppe Pinelli.
La guerra era finita da quasi 25 anni, ma l’ultima azione di resistenza fu compiuta da Pinelli proprio nella questura di Guida la notte del 15 dicembre 1969 quando morì precipitando dalla finestra della stanza del commissario Luigi Calabresi che lo interrogava illegalmente, con i suoi uomini, nonostante i termini del fermo di polizia fossero largamente scaduti e fosse suo diritto tornare libero a casa.
Al ferroviere anarchico i poliziotti volevano imporre un cedimento ovvero strappargli l’ammissione di una colpa inesistente: quella di essere responsabile, lui ed i suoi compagni, della strage di Piazza Fontana realizzata tre giorni prima dai neofascisti di Ordine Nuovo coadiuvati da uomini degli apparati di sicurezza e dei servizi segreti dello Stato.
I poliziotti compirono un reato contro Pinelli (il fermo illegale) e gli mentirono durante l’interrogatorio con l’espediente del «saltafosso» (dicendogli che un altro anarchico da lui conosciuto, Pietro Valpreda, aveva confessato l’esecuzione del massacro).
Pinelli si oppose e con la sua resistenza rese vani gli intenti di chi si era proposto non solo di incastrare lui ed i suoi compagni ma di scrivere una storia diversa del Paese con la strage del 12 dicembre 1969 attraverso un’operazione paramilitare contro civili inermi in tempo di pace; non rivendicata dagli esecutori materiali; realizzata con l’obiettivo di attribuire la responsabilità all’avversario politico (la sinistra politica e sindacale, parlamentare ed extraparlamentare) e finalizzata a provocare una reazione psicologica presso l’opinione pubblica per favorire un’involuzione autoritaria del nostro sistema costituzionale.
Erano gli anni, ha scritto Silvio Lanaro, in cui «il lealismo istituzionale» delle forze armate, delle classi proprietarie e delle forze politiche conservatrici «non riesce a reggere i socialisti al governo e i comunisti al 25% dei voti», anni in cui, affermerà il generale Mario Arpino in commissione stragi «per noi militari un terzo del Parlamento era il nemico». Per questo fu possibile che uomini dello Stato sostenessero e coprissero gli autori e depistassero le indagini rendendosi «doppiamente colpevoli», come ha affermato il Presidente della Repubblica Stato Sergio Mattarella nel 50° anniversario, poiché «Non si serve lo Stato se non si serve la Repubblica e, con essa, la democrazia».
C’è stato un tempo in cui un ex partigiano come Giuseppe Pinelli poteva piombare giù dal quarto piano di una questura della Repubblica e vedersi calunniato anche da morto, accusato di essersi suicidato perché colpevole «il gesto -dichiarò Guida ai giornalisti- potrebbe equivalere ad un confessione».
La magistratura derubricherà come «malore attivo» la causa del volo nel vuoto del ferroviere e tale versione sarà incisa come verità ufficiale anche sulla targa collocata dal Comune di Milano in piazza Fontana che ricorda, con pudore omissivo, che Pinelli è «morto tragicamente». Accanto ad essa una stele rappresenta, invece, una memoria storica «altra» e reale della Milano democratica e antifascista. Lì si ricorda che Pinelli è stato «ucciso innocente».
C’è stato un tempo, infine, in cui il Parlamento, con voto quasi unanime, scelse di bocciare la mozione che proponeva il 12 dicembre come giornata in ricordo delle vittime del terrorismo e di votare al suo posto il 9 maggio (giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani a Roma). Una preferenza tanto politicamente «logica» per lo Stato quanto storicamente discutibile.
La Repubblica ha scelto di rappresentare quegli anni attraverso una narrazione autoassolutoria che racconta l’azione di un agente esterno alle istituzioni, le Brigate Rosse, che porta l’attacco al cuore dello Stato, omettendo al Paese il fatto che il fenomeno del terrorismo in Italia sia nato, molti anni prima, proprio da quel cuore. Questo Pinelli aveva capito, quella notte in quella questura. E dopo mezzo secolo, anche grazie a lui, lo sappiamo anche noi.
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