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Crisi di governo. Ad oggi, di fatto, contro il premier oltre a Renzi ci sono Confindustria, Salvini, Meloni e Berlusconi. Se è questo il quadro, diventa difficile per il Pd, i 5Stelle e la Sinistra non fare quadrato intorno a Conte, visto che ne hanno condiviso decisioni e comportamenti

 

Mentre l’onda dei contagi sale e centinaia sono i morti ogni giorno in Italia, nel buio fitto della crisi politica finalmente arrivano parole illuminanti: «Mi auguro un governo disponibile ad ascoltare chi ha dimostrato la capacità di far crescere il paese». Così parlò il capo di Confindustria Bonomi in un’intervista al Corriere della Sera del 14 gennaio, un intervento utile a diradare un po’ il nebbione sulle dinamiche reali e di sostanza che muovono le mosse degli attori di questa crisi.

Bonomi fa l’eco di Renzi. O viceversa, il risultato non cambia.

Evidentemente non è Conte, non è questo governo il riferimento degli industriali e del mondo dell’impresa. Del resto non lo è stato mai fin dalla sua nascita, non lo è stato quando milioni di donne e uomini, nel momento esplosivo della pandemia, furono costretti a lavorare per far girare l’economia. Determinando il disastro del contagio e dei morti nei distretti della Lombardia e non solo.

Bonomi fa operazione di verità, a cui replica il segretario della Cgil Landini richiamando, invece, alla responsabilità.

L’attacco a Conte «è un attacco al governo perché se ne vuole un altro», come chiariva il capodelegazione del Pd Franceschini, subito dopo lo strappo di Renzi.

Quale? Quale altro governo in questa situazione? E il Pd, che ha tentato ogni strada per evitare la rottura, non ha nulla da rimproverarsi vedendo i cocci rotti a reti unificate e sotto gli occhi di tutti? Nemmeno di aver lasciato la briglia sciolta sul collo del capo di Italia viva per fargli fare il lavoro sporco di attacco al governo su tutto?

Certo c’è da riflettere molto sul fatto che una piccola forza politica sia in grado di aprire una voragine nel governo e nella maggioranza. Come si dovrebbe riflettere a fondo sulla storia italiana – soprattutto della sinistra – ovvero sul distacco crescente tra governanti e governati.

Ma adesso bisogna fare i conti con i fatti, con quel che è accaduto, con la crisi aperta da Renzi, il patriota di Rignano che i giornali stranieri, tornati testimoni del pittoresco paese, bollano come politico “sleale e disperato”.

L’accusa renziana di inadeguatezza rivolta al presidente del consiglio è tanto sballata quando strumentale. Non perché sia difficile compilare la lista di critiche alle politiche, alle scelte, alle decisioni di Giuseppe Conte, ma perché queste stesse critiche dovrebbero essere rivolte a tutte le componenti del governo, Pd, 5Stelle e Leu.

Ad oggi, di fatto, contro il premier oltre a Renzi ci sono appunto Confindustria, Salvini, Meloni e Berlusconi.

Se è questo il quadro, diventa difficile per il Pd, i 5Stelle e la Sinistra non fare quadrato intorno a Conte, visto che ne hanno condiviso decisioni e comportamenti. A meno che non si pensi che il premier abbia agito senza tener conto delle posizioni dei partiti. Analisi che appare molto improbabile.

Se questo è il micidiale testa-coda in cui ci troviamo, appare evidente quanto sia complicata la situazione per la maggioranza. Perché cambiare premier, come vorrebbero Renzi e Confindustria, diventa difficile. Ancora di più formare la stessa maggioranza imbarcando Italia viva, rimescolando le carte.

Stretta è anche la via parlamentare perché trovare un gruppo di “costruttori” o “responsabili” è operazione ad alto rischio.

Resta, se salta tutto completamente, la via delle elezioni che porterebbero in pompa magna le destre al governo del Paese, e a un Presidente della Repubblica a loro immagine e somiglianza.

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"Purtroppo il ricordo della Guerra Civile non è più un vaccino"

Usa - Sergio

“Francamente non sono troppo sorpreso da quel che sta accadendo negli Stati Uniti”. Parola di Sergio Romano, diplomatico e storico, a proposito dell’assalto al Congresso americano da parte di un gruppo di sostenitori del presidente uscente, Donald Trump.

Ambasciatore Romano, hanno assaltato il cuore della democrazia americana.

Quando Trump fu eletto quattro anni fa fui meravigliato da come una parte della società americana lo trattava, anche solo per il suo linguaggio e le sue dichiarazioni. Conoscevo un paese che aveva sempre accettato il nuovo presidente con grande disciplina e grande correttezza. Mentre in quel momento mi pareva di leggere cose del tutto inimmaginabili in altre circostanze. Tanto che parlai di guerra civile. Ma poi un po’ me ne ero anche pentito “Gli Stati Uniti non faranno questi errori”, mi dicevo. Invece dopo quattro anni addirittura c’è stato un salto di qualità: l’assalto al Congresso non me l’aspettavo ma non mi sorprende. 

Quindi possiamo parlare di guerra civile?

Io non volevo lasciarmi trascinare in quella direzione perché questo paese una guerra civile l’ha fatta e sa quale prezzo è stato pagato in termine di odio, di vendette e di sangue. Insomma, questo ricordo avrebbe dovuto rappresentare una sorta di vaccino ma non è andata così. Ora tocca prendere la cosa seriamente. E una domanda mi preme più di altre.

Quale?

Mi domando cosa vogliono questi americani che sostengono Trump? Cosa desiderano? Hanno un programma? O sono soltanto manifestazioni momentanee? Certo è che l’assalto al Congresso è la fotografia dell’attuale momento storico. In tutto il mondo c’è un passo indietro rispetto alle democrazie liberali o socialdemocratiche attente ai diritti civili e ai diritti umani, che hanno caratterizzato almeno gli ultimi quaranta anni. I sovranismi in un certo senso hanno questa filosofia, ovvero una grande critica al vecchio sistema democratico. Dal Brasile agli Stati Uniti, ma anche in Europa, c’è una grande crisi delle democrazie parlamentari. 

 Quali sono le micce che hanno fatto esplodere in maniera così palese la rivolta negli Stati Uniti?

Dobbiamo ricordare che negli Stati Uniti c’è un fondamento di democrazia religiosa. Nel Paese c’è una forte presenza evangelica che ha posizioni conservatrici e retrive. Basti pensare all’opposizione al diritto degli omosessuali di sposarsi. Aggiungiamo anche il fatto che l’America non ha mai cessato di essere completamente razzista. Non c’è un anno dalla sua nascita in cui un certo razzismo appare alla superficie. Questo perché una parte della società americana non ha mai accettato che i neri fossero esseri umani con gli stessi diritti dei bianchi. Però un tempo queste frange rimanevano sulla scena solo nelle settimane della campagna elettorale per poi scomparire o comunque perdere molta della loro visibilità. Mentre ora assaltano il Congresso. Ma c’è un altro elemento che spiega questo fatto.

Ovvero?

Tutto questo sta accadendo in un momento di declino dello status dell’America nella società internazionale. Se l’americano medio un po’ razzista ma non troppo, a cui non vanno giù i matrimoni tra omosessuali, constatasse che gli Stati Uniti sono pur sempre leader nel mondo, be’, credo ci penserebbe due volte prima di prendere la strada del Congresso. Mentre in questo caso il declino americano c’è.  

Cosa può fare ora il presidente eletto Joe Biden?

Credo che Biden cercherà anche di usare questa situazione, ovviamente in maniera intelligente. Non gli sarà difficile dire: “Ecco cosa accade quando si sta alla Casa Bianca con quella visione politica”. Sarà convincente? Certo, ma solo per quelli che vogliono essere convinti. E non per una buona fetta dei cittadini americani. 

  Giacomo Galanti Giornalista, HuffPost Italia
 
 
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Paolo Mieli sul Corriere evidenzia il rischio che si arrivi ad una crisi politica del governo prima del semestre in cui il Presidente della Repubblica non potrà più sciogliere le Camere. In sostanza un incidente di percorso potrebbe costringerci a votare con la legge elettorale in vigore: il Rosatellum rimaneggiato dalla Lega. Presto entrerà in vigore il decreto del governo che ridefinisce collegi e circoscrizioni sulla base del taglio dei parlamentari, presentato come un atto dovuto, ma non è così.

Non è una “stranezza del destino” che questo decreto, che applica il taglio dei parlamentari, sia in arrivo, come scrive Mieli. La responsabilità è della maggioranza che ha rinunciato ad approvare una nuova legge elettorale, come si era impegnata a fare durante la campagna elettorale referendaria. Questo è il risultato dell'incoscienza di una maggioranza che così rischia di regalare la vittoria alle destre perchè incapace di approvare una nuova legge elettorale proporzionale, tale da aprire una dialettica anche nell'opposizione.

Governo e maggioranza sono attraversati da crescenti tensioni. Il governo tende a rinviare, mentre le destre più aggressive sono all'attacco per ottenere nuove elezioni ad ogni costo.

Le difficoltà e le incertezze su un contrasto efficace alla pandemia, a partire dai vaccini. Le decisioni da prendere a breve sulla destinazione delle imponenti risorse messe a disposizione dall'Europa per reagire alla crisi sociale ed economica. Sono tutte ragioni che spingono settori politici e sociali a puntare ad elezioni anticipate prima possibile. Renzi fa incursioni in questo contesto.

Senza una nuova legge elettorale ci troveremmo a votare con regole più maggioritarie del Rosatellum, perchè la Lega nel maggio 2019 ha ottenuto che il maggioritario fosse prevalente in modo da obbligare il centro destra ad un fronte unico e tentare di ottenere già con il 35%, o poco più, la maggioranza in parlamento.

Con questa legge elettorale, se si votasse prima del semestre bianco, il centro destra a trazione leghista potrebbe eleggere da solo il Presidente della Repubblica, ottenere una maggioranza parlamentare tale da modificare la Costituzione, con l'obiettivo di realizzare un'autonomia per le regioni sul modello di quelle a statuto speciale e il Presidenzialismo. Obiettivi scritti nel programma elettorale delle destre nel 2018.

La maggioranza aveva promesso pochi mesi fa una nuova legge elettorale per correggere almeno le peggiori storture derivanti dalla riduzione dei parlamentari, per migliorare la rappresentanza territoriale e per una rappresentanza politica proporzionale.

Questa situazione di stallo è grave e pericolosa. La maggioranza sembra non avvertire la gravità delle conseguenze del blocco della discussione parlamentare.

E' urgente l'approvazione di una nuova legge elettorale per arrivare ad un impianto proporzionale e per consentire ai cittadini di scegliere direttamente i loro rappresentanti, superando finalmente le liste bloccate dei nominati dall'alto. Le modalità per consentire agli elettori di decidere direttamente i loro rappresentanti possono essere diverse, ma al di là della modalità questo è un punto di fondo.

Mieli non resiste alla tentazione di insistere per una legge elettorale maggioritaria, discutibile sempre, ma che in questa fase taglierebbe di netto la rappresentanza di una parte del paese, che non si sentirebbe rappresentata. Eppure è evidente che il nostro paese è percorso da pulsioni antipolitiche che possono essere recuperate solo riconoscendo il valore di rappresentare il più possibile le diverse posizioni politiche e sociali, le originalità territoriali.

Il nostro paese ha bisogno di una sorta di nuova fase fondativa delle modalità con cui si prendono le decisioni, lavorando per coinvolgere nelle decisioni la grande maggioranza dei cittadini. Esattamente il contrario dell'indicazione del futuro Presidente del Consiglio nella scheda, cosa che con troppa leggerezza è stata fatta passare sotto la fattispecie di capo della coalizione, malgrado sia in evidente contrasto con la Costituzione.

Una legge elettorale maggioritaria sancirebbe l'imposizione di una parte sull'altra e questo potrebbe avvenire senza neppure avere la rappresentanza di una maggioranza dei cittadini.

Così si rischia di consegnare l'Italia alle destre per responsabilità della confusione nella maggioranza sulla legge elettorale.

Alfiero Grandi

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La fine del 2020. Per noi, per il manifesto, questi sono gli ultimi giorni che ci separano dai 50anni di vita. Sperando in un 2021 migliore, tanti auguri alle compagne e ai compagni, alle lettrici e ai lettori che ci accompagnano da sempre

 Abbiamo vissuto un anno terribile, sconvolgente, senza uguali. Il virus-killer è arrivato tra noi mentre eravamo alle prese con appuntamenti di grande rilevanza politica (il referendum costituzionale, le elezioni regionali, i processi di Salvini…), ignari di quel che stava per capitare.

Poi tutto è successo. Sofferenza, dolore, lutti. E non solo per l’Italia ma per miliardi di persone, costretti, per la prima volta, a fronteggiare un nemico presente in ogni angolo del Pianeta.

Un nemico forte, particolarmente spietato nel nostro Paese, terreno fertile per la sua micidiale missione distruttiva: strutture sanitarie fragili e insufficienti; confusione organizzativa, debolezza decisionale e disorientamento del governo centrale, spinte centrifughe delle Regioni.

Con un protagonismo mediatico eccessivo di una parte della comunità scientifica, artefice di messaggi contraddittori e irresponsabili (ricordate il “virus clinicamente morto” secondo il medico di Berlusconi?).

E infine i cittadini, non sempre capaci di rispettare le poche e banalissime regole, utili per evitare il diffondersi del virus, più che visibile. Perché economicamente capace di ridurre l’Italia allo stremo, facendo perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro, chiudendo una valanga di attività in quasi ogni settore produttivo, distruggendo tessuto sociale, cultura, vita collettiva.

Con le donne e i giovani drammaticamente penalizzati, vittime eloquenti, specchio fedele dell’arretratezza del paese. Tuttavia qualche luce è rimasta accesa nel buio di Covid-19 e altre speriamo stiano per accendersi.

Abbiamo visto donne e uomini sacrificarsi – anche fino allo stremo – per assistere, curare, salvare. Medici, infermieri, l’intero personale sanitario hanno dimostrato quanto possono essere importanti la nostra Sanità e chi ci lavora, nonostante il massiccio definanziamento degli ultimi decenni. E nonostante le incapacità di alcuni amministratori che hanno determinato, come è avvenuto in Lombardia, dei vuoti assistenziali spaventosi.

L’altra luce è il vaccino.

Mai prima era accaduto che l’intera comunità scientifica e l’apparato farmaceutico/industriale fossero impegnati per uno stesso obiettivo. Che in meno di un anno è stato raggiunto. Pur sapendo che il vaccino, da solo, non potrà traghettare il Mondo fuori dall’emergenza epidemica. C’è un’altra luce che si intravvede (siamo tutti obbligati all’ottimismo della volontà), non meno importante: la complicata risalita dalla pandemia economica e sociale.

Il governo nei mesi scorsi è riuscito a rispondere, almeno in parte, al disastro che ha devastato l’economia italiana come di tanti paesi. Il nostro più di altri: la Caritas stima che nel 2020 i nuovi poveri siano passati dal 31 al 45 per cento. E nessuno è innocente se le diseguaglianze esplodono insieme all’evasione fiscale calcolata, solo per l’Irpef, al 30 per cento.

Quando si dice che questo micidiale ospite ha svelato altre perniciose malattie del nostro tempo, costringendo l’establishment a brusche e radicali revisioni, dobbiamo innanzitutto pensare al ruolo positivo quanto disconosciuto della mano pubblica, dello Stato, del peso crescente del welfare state, non più residui novecenteschi ma architravi del futuro.

Erano i giorni dell’esplosione epidemica, con Mario Draghi che invitava i governi “a un significativo aumento dei debiti pubblici”. Improvvisamente l’Europa di Maastricht, arcigna guardiana del liberismo, pronta a sorvegliare e punire gli aiuti di Stato, travolta dai lockdown che facevano precipitare la ricchezza delle nazioni in una depressione più forte di ogni storico precedente dell’epoca, ha cambiato verso inaugurando, con il Next Generation Eu, la stagione del debito pubblico europeo destinato a tutti i paesi.

E, ironia della sorte, assegnando proprio all’Italia, tra i paesi più indebitati del mondo, la fetta più grande della torta.

Ed è a questo punto che, mentre il governo Conte era sballottato tra le montagne russe dell’emergenza sanitaria, a insidiare l’appetito del Coronavirus è piombata l’idea di un governo di salvezza nazionale con Renzi e Salvini, da entrambi reclamato e perciò da temere come una calamità nazionale.

Un governo di disgrazia pubblica. In profonda sintonia con il manifesto di Confindustria che indicava la rotta: prima la borsa poi la vita.

Nel frattempo mentre le opposizioni urlavano in Tv e in Parlamento contro il presidente del consiglio accusato di essere “un criminale”, sul fronte centrosinistro, proprio nell’anniversario del 25 Aprile, la Fiat stampava il suo marchio su Repubblica mettendo in campo le notevoli armi di persuasione rispetto agli assetti politico-istituzionali, presenti e futuri. Con la blasonata testata, sventolata e applaudita dalle destre in Parlamento.

Con De Benedetti al lavoro per fondare un altro quotidiano, mentre giurava in tv che Conte faceva più danni di Berlusconi.

Con Renzi, proprio lui, che invocava la resistenza in difesa della Costituzione contro il dittatore di palazzo Chigi. Salvo poi acconciarsi tutti a votare il primo scostamento di Bilancio di 55 miliardi di euro assegnati a famiglie, disabili, spettacolo, lavoro di cura, debiti della pubblica amministrazione, imprese.

Una pioggia di bonus sotto la quale tutti gli ombrelli sono rimasti accuratamente chiusi per bagnarsi meglio e di più.

L’autogol di una crisi di governo con lo sbocco elettorale, criticata ieri dalla Cgil di Landini (“non è il momento di votare”), accompagna questi ultimi giorni del 2020, con il paradosso che le spinte più forti anti-governative non vengono dalle opposizioni ma dalla stessa maggioranza, e principalmente da un politico, giovane promessa del passato, che ama i folli giri di giostra e che anche questa volta, potrebbe farsi male, pur cadendo dalla minima altezza della sua credibilità.

Il governo rischia molto, appare fragile, diviso e combattuto tra spinte diverse. E anche se incassa la fiducia sulla legge di Bilancio dovrà arrivare alla prova del nove del Recovery plan, crocevia politico delle settimane che ci aspettano.

Per noi, per il manifesto, questi sono gli ultimi giorni che ci separano dai 50anni di vita. Nonostante la spada di Damocle dei Fondi dell’Editoria pesi sulle nostre spalle, come i lettori ben sanno, sarà un 2021 importante, l’occasione per prendere, dalla nostra lunga e straordinaria storia, l’energia necessaria per guardare ai prossimi decenni del giornale e della sinistra.

In un Continente cambiato dall’emergenza sanitaria; in un Pianeta stravolto da una crisi climatica giunta a un punto di non ritorno e foriera di trasformazioni geopolitiche; in un mondo che vede uscire Trump se non dalla scena, certamente dalla Casa Bianca, un giornale politico, una testata storica come il manifesto, ha ancora molto lavoro da fare.

Sperando in un anno migliore, tanti auguri alle compagne e ai compagni, alle lettrici e ai lettori che ci accompagnano da sempre.

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