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Pur apprezzando l'annuncio della Regione Emilia-Romagna di un piano di potenziamento dei tamponi, i sindacati chiedono con forza “di fare il prima possibile”.

 

“Serve un impegno concreto e rapido a tutela della salute di chi lavora e della popolazione, perché la situazione attuale ci preoccupa moltissimo”, spiegano le segreterie regionali di Fp Cgil, Fp Cisl e Fp Uil, lanciando un appello al governatore Stefano Bonaccini e all'assessore alla Sanità Raffaele Donini.

I sindacati ricordano anche che “nelle ultime ore ha raggiunto più di 16 mila firme la campagna per la modifica dell'articolo 7 del decreto legge Speranza che abolisce la quarantena per il personale sanitario” e che “tutti i professionisti delle strutture sanitarie devono essere dotati immediatamente dei giusti dispositivi di protezione individuale e sottoposti al tampone, anche se asintomatici”, considerando anche di metterli in quarantena fino a che il risultato non sarà noto, perché essere sicuri della loro condizione “è il primo strumento per evitare che si rischi di trasformare le strutture sanitarie in punti di propagazione del virus”.

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L'epidemia di Coronavirus, che sarebbe stata generata dal "salto di specie" da animali all'uomo, era stata ipotizzata già qualche anno fa in un testo fondamentale per comprenderne le cause, lo sviluppo e gli effetti: Spillover di David Quammen, edito da Adelphi.

L'autore è stato intervistato domenica 15 marzo da Fabio Fazio a "che tempo che fa"

David Quammen è un notissimo scrittore e divulgatore americano che oltre 10 anni fa ha intrapreso una lunga ricerca sui "cacciatori" di virus, nei luoghi più sperduti del mondo, ma anche nei più affollati dall'uomo; dalle foreste pluviali dell'Africa, alle grotte dell'Asia, dai mercati cinesi, agli allevamenti.

Nel 2012 esce la prima edizione del suo libro d'indagine scientifica, che dimostra il nesso tra azione umana e grandi epidemie. Due le cause principali, strettamente connesse tra loro: 1-l'alterazione degli equilibri naturali e la riduzione di grandi ecosistemi come le foreste, 2- l'azzeramento delle distanze tra specie animali e uomo. Specie selvatiche che convivono con diversi virus. Alcune di queste specie, prelevate dai loro ambienti naturali per essere commercializzate nei mercati, insieme a quelle di allevamento, diventano vettori di virus innescando il "salto di specie" (spillover).

Il libro di Quammen è una "previsione" documentata di ciò che il mondo sta vivendo in questi mesi.

Descrive uno scenario futuro che è diventato presente. Un resoconto delle principali ricerche scientifiche, ignorate da tutti i governi, nonostante i molti (ed inutili) vertici internazionali sull'ambiente. Un libro che spiega la stretta dipendenza della specie umana dalla conservazione della biodiversità e dal rispetto dei limiti naturali.

Segue il link dell'intervista di F Fazio a D Quammen, andata in onda domenica 15 marzo.

https://www.youtube.com/watch?v=vEmml7f1R7k

 

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Roma, 14 marzo – Questa mattina, presso la Presidenza del Consiglio, Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto con il Governo e le parti datoriali un “protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”. (Scarica il protocollo)

È un risultato molto importante in una fase che impone a tutti massima responsabilità nel garantire, prima di ogni altra cosa, la sicurezza e la salute dei lavoratori e delle lavoratrici. La salute di chi lavora è per noi un’assoluta priorità che deve precedere qualunque altra considerazione economica o produttiva.

L’accordo che questa mattina abbiamo sottoscritto consentirà alle imprese di tutti i settori, attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali e la riduzione o sospensione dell’attività lavorativa, la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro.

Nell’accordo è stato previsto il coinvolgimento dei lavoratori e delle loro rappresentanze a livello aziendale o territoriale per garantire una piena ed effettiva tutela della loro salute. Per questo è importante che in tutti i luoghi di lavoro si chieda una piena effettività dell’intesa che è stata raggiunta.

Sappiamo che il momento è difficile e sappiamo che i lavoratori e le lavoratrici italiane sapranno agire e contribuire, con la responsabilità che hanno sempre saputo dimostrare, nell’adeguare l’organizzazione aziendale e i ritmi produttivi per garantire la massima sicurezza possibile e la continuazione produttiva essenziale per non fermare il Paese.

Importante è la sottoscrizione del testo da parte del Governo che, per quanto di sua competenza, favorirà la piena attuazione del protocollo.

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 L' infettivologa Alessandra Govoni: «Non è sbagliato ipotizzare un mese di blocco totale, assembramenti culmine di irresponsabilità»

Risultato immagini per immagini alessandra govoni

 

Una cura contro l'«adolescenza infinita» di chi nei giorni scorsi ha continuato ad agire irresponsabilmente, incurante del contagio da coronavirus. È quella che invoca provocatoriamente Alessandra Govoni, infettivologa faentina oggi impegnata all' ospedale di Imola, dove lavora dal 2006, dopo sette anni trascorsi in quella che è la prima linea di trincea dell'Italia contro le malattie infettive: l' ospedale Spallanzani di Roma.

Lavorava lì quando infettivologi e virologi furono mobilitati per l' epidemia di Sars del 2002, causata anch'essa da un coronavirus.

«Fummo messi in allerta per ciascuna delle grandi epidemie scoppiate nel mondo», ricorda Alessandra Govoni. «Non potrò mai dimenticare la prima epidemia di ebola: una pediatra romana fu contagiata e morì in Africa. Dovemmo mettere mano agli 'scafandri' e sottoporre agli esami tutti i colleghi che l'avevano frequentata. Fortunatamente nessuno di loro risultò positivo».

E' bene ricordare che il coronavirus non è la p r i m a e p i d e m i a c u i i l m o n d o g l o b a l i z z a t o f a f r o n t e , g i u s t o ?

«Esatto. Quando cominciai questo mestiere, a Modena e poi allo Spallanzani, l' Hiv concentrava la quasi totalità degli sforzi di noi infettivologi, come del resto accade tuttora. Ricordo ancora il vuoto che si allargava attorno a me e alle mie colleghe sul bus, al ritorno dall' ospedale, quando inevitabilmente ci trovavamo a parlare di lavoro, e dunque di Aids. Era vera psicosi».

Il mondo doveva aspettarsi un coronavirus? «Non era difficile prevedere che prima o poi ci saremmo trovati a fare fronte a un nemico di questo tipo: sono pochi ormai coloro che non hanno mai preso aerei, e quasi nessuno non ha contatti con persone abituate a viaggiare.

In tanti ci chiedono: perché in Cina? Perché l'ebola in Africa? L' espansione delle aree urbane e la contestuale riduzione di quelle naturali hanno portato l' uomo, e i suoi animali domestici e d'allevamento, a vivere a stretto contatto con specie selvatiche. Ecco allora che un virus può effettuare il cosiddetto salto di specie. Essere causa di elevata mortalità per un virus è un fallimento biologico: uccide il corpo che lo ospita, condannando se stesso. Questo perché il virus si trova in un organismo che non conosce. Alcuni hanno fatto notare come dall'India, dove il consumo di prodotti animali è minore, non partano epidemie. In realtà nessun paese è al riparo dal pericolo».

 

 

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Un excursus delle maggiori pandemie influenzali che, a partire dal secolo scorso, hanno terrorizzato l’Italia. Come quella volta, nel 1957, che tutto il Milan finì in quarantena

Nella primavera del 1918 una devastante influenza emorragica comincia a mietere vittime in Europa, arrivando in pochi giorni in Francia, Spagna, Italia, negli Stati Uniti, in Russia, in India e in Africa. Nel giugno del 1918 i giornali iniziano a parlare di influenza “spagnola”, anche se la nuova malattia di spagnolo aveva ben poco (la Spagna è banalmente la prima a parlare dell’epidemia, a differenza della grande maggioranza dei paesi europei la cui stampa è sottoposta a censura a causa della guerra). Sarà “il più grande olocausto medico di sempre”, mutuando le parole della storica Catharine Arnold. In un’Europa prostrata dalla guerra, in assenza di antibiotici e ossigenoterapia si stima abbia portato alla morte milioni di persone, colpendo un individuo su tre, con una letalità maggiore del 2,5% e circa 50 milioni di decessi, alcuni ipotizzano fino a 100 milioni.

Anche nel 1918 il governo chiederà agli italiani di “ridurre al minimum gli affollamenti in genere e i contatti dei sani coi malati (ad esempio nelle visite agli ospedali)”, arrivando anche a “misure estreme di contenimento e comportamento” come quelle emanate dalla Prefettura di Reggio Emilia il 22 ottobre 1918: “Da oggi e sino a nuovo avviso sono proibiti tutti i cortei funebri. Tutti i feretri, di qualunque categoria, dovranno essere trasportati direttamente dalla casa del defunto al Cimitero e sarà in permanenza un sacerdote per le assoluzioni di rito. Potranno seguire il feretro soltanto un sacerdote e i rappresentanti della famiglia dell’estinto. Tutti i Cimiteri resteranno chiusi al pubblico dal 27 Ottobre corrente all’11 Novembre inclusi, rimanendo così soppresse tutte le funzioni e le onoranze alle tombe, solite a farsi nei primi di Novembre per la commemorazione dei defunti”.

A Reggio Emilia, riporta Michele Bellelli, “veniva presentato un vero e proprio decalogo che i cittadini dovevano tenere alla presenza di altre persone, come prima difesa contro un possibile contagio: non starnutire e non tossire senza essersi coperta la bocca con un fazzoletto; non sputare in terra; non baciare, non dare la mano; non frequentare caffè, ristoranti e osterie affollati; salire in carrozza meno che si può; tenere aperte le finestre con qualunque tempo e in ogni luogo. Vivere più che si può all’aria libera; non fare visite né riceverne. Evitare soprattutto di recarsi negli Ospedali e in quei luoghi ove sono, o sono stati, dei malati; non viaggiare; respirare possibilmente attraverso il naso ed evitare di volgere la bocca a chi vi parla; disinfettarsi le mani prima di mangiare; fare mattina e sera sciacqui alla bocca e gargarismi con acqua e tintura di iodio. Pulirsi regolarmente i denti; non sollevare polvere nelle case. Lavare il pavimento con disinfettanti”.

Dopo la pandemia del 1918, l’influenza ritorna al suo andamento abituale per tutti gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, fino al 1957, quando si sviluppa la nuova pandemia: l’Asiatica. In contrasto a quanto osservato nel 1918, le morti si verificarono soprattutto nelle persone affette da malattie croniche e meno colpiti furono i soggetti sani. L’epidemia non conquisterà le prime pagine dei giornali, ma Il Corriere dell’Informazione del 12 giugno 1957 dedicherà un titolo in prima pagina al Milan in quarantena probabilmente per epatite, con un virus preso (forse) in una vasca da bagno, quattro giocatori infettati – fra cui Juan Alberto Schiaffino – uno scudetto appena vinto, due partite ancora da giocare in campionato e una finale europea.

Si arriva così al 1969. Un anno difficile e straordinario durante il quale si incrociano le canzoni dei Beatles e quelle di Lucio Battisti, il drammatico gesto di Ian Palach e l’arrivo alla Casa Bianca di Richard Nixon, le immagini dell’uomo sulla Luna e le battaglie sindacali per le quaranta ore lavorative. Un anno di transizione che si chiude con la strage di Piazza Fontana e l’inizio della strategia della tensione. La “spaziale” – il nome che le fu dato era davvero il segno dei tempi – si abbatte sull’Italia un anno e mezzo dopo essere partita da Hong Kong. La città italiana più influenzata sarà, ancora una volta, Milano. Il 12 dicembre, giorno della strage di Piazza Fontana, il Giorno così descriveva la situazione generale: malati 1.004 tranvieri (e solo 21 vetture in strada nelle ore di punta), 40 vigili del fuoco su 540, 60 poliziotti su 3 mila. Assente dalla fabbrica della Innocenti il 25% degli operai. 

“Che cosa ci ha portato il Natale? Le solite cose: festoni colorati, pioggia e influenza. Una vera epidemia: 13 milioni di italiani a letto, un italiano su quattro; e cinquemila sono passati a miglior vita. Le strade, le fabbriche, gli uffici, i mercati si sono mezzi vuotati. A riempirsi sono stati gli ospedali: doppi letti dunque anche se le cliniche sono sempre le stesse. Quando Mao starnuta, dice un proverbio inglese coniato da poco, il mondo si ammala. Infatti l’epidemia di questo inverno è nata a Hong Kong nel luglio del 1968 ... Ha impiegato diciotto mesi per arrivare in Italia ma in compenso ci ha colti del tutto impreparati ... L’influenza non è pericolosa? E chi lo dice. Non bastano sciroppi e supposte, gocce e iniezioni che vengono dopo. Occorre fermare il virus prima che arrivi”, recitava un cinegiornale dell’epoca reso disponibile dall’Istituto Luce che sta girando molto in questi giorni.

Corsi e ricorsi storici, situazioni diverse ma accomunate da un’unica, fondamentale costante. Direbbe Vasco Rossi: “Siamo ancora qua, e già”…  L’Italia, il mondo, sono sopravvissuti alla Spagnola, all’Asiatica e alla Spaziale. Sopravviveranno, sopravviveremo anche al Coronavirus. Evitando comportamenti imprudenti e pericolosi, facendo ognuno di noi la nostra parte. “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”, magari, questa volta, riusciremo ad imparare questa unica, basilare lezione.

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A ben guardare, l'emergenza umanitaria e il surriscaldamento climatico hanno legami con la recente diffusione globale del coronavirus. È dunque giunto il momento di cambiare, assumendo il valore del bene comune come il patrimonio più grande da difendere

Siamo alle prese con la grande emergenza sanitaria determinata dal diffondersi del Codiv-19, ormai identificato da tutti con il nome coronavirus. La sua propagazione, la cui origine risalirebbe – secondo gli esperti – al mese di novembre dello scorso anno all’interno del mercato ittico di Whuan, in Cina, oggi non ha più confini e riguarda ormai tutti i continenti, con punte di diffusione in Cina e in Europa, in particolare nel nostro Paese.
La situazione epidemiologica è preoccupante non solo per gli effetti di una malattia virale contro la quale il nostro organismo non ha anticorpi e che provoca serie conseguenze per la salute dei contagiati, in particolare per soggetti più deboli, con un sistema immunitario già compromesso; ma anche per la condizione di un sistema sanitario che fa fatica a garantire la necessaria assistenza a un numero di pazienti che cresce vertiginosamente col passare delle ore. Le autorità competenti del nostro Paese hanno attivato da giorni misure drastiche per limitare il contagio il più possibile, prescrivendo nelle aree identificate come focolaio della presenza del virus un certo numero di restrizioni nei confronti degli abitanti. Restrizioni che col passare delle ore stanno estendendosi a tutto il territorio nazionale, in considerazione dell'espansione dell'epidemia.
Un contesto di questo tipo – chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado, divieti o limitazioni della mobilità, interruzione di molte funzioni giudiziarie, chiusura di luoghi particolarmente a “rischio di socialità” e molto altro – qualcuno probabilmente lo può paragonare a un altro periodo storico molto difficile: il 1943, quando il nostro Paese dovette fronteggiare i bombardamenti della guerra. Non è un paragone ardito quella tra le due epoche. Oggi, l’emergenza sanitaria, così come fu 77 anni fa durante il conflitto mondiale, sta determinando effetti sconvolgenti che potranno portare a conseguenze altrettanto nefaste sul piano sociale, economico, oltreché naturalmente sulla sicurezza delle persone.
Se l’attenzione al coronavirus è massima, tuttavia non vanno sottaciute altre emergenze che attualmente sconvolgono il nostro pianeta. La prima è quella climatica. Sebbene dichiarata con atto

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