da “il Manifesto” del 11 marzo 2020
Davvero qualcuno crede che per contrastare con successo l’emergenza sanitaria provocata dal coronavirus sia necessario un governo di “salute pubblica” che va da Salvini a Zingaretti passando per Renzi e Berlusconi? Leggendo alcuni quotidiani e stando alle posizioni espresse da alcuni esponenti politici, la riposta è sì. Ma sarebbe un governo di disgrazia pubblica.
L’alleanza 5Stelle-Pd, fin dai primi vagiti, l’estate scorsa, era stata presa di mira e non solo dalle forze di destra e di centrodestra, anche componenti o commentatori dell’area democratica sostenevano che sarebbe stato meglio andare alle elezioni anticipate. Così, per fortuna, non è stato e l’inedita alleanza giallorossa, affidata alla barra governativa di Conte, ha retto.
Nonostante difficoltà oggettive (l’economia), soggettive (gli antichi, reciproci rancori tra piddini e grillini), scivoloni, ambiguità, incertezze, incapacità. Perché se ci si pone in posizione di critica preventiva nei confronti di questa novità politica, diventa fin troppo facile trovare una debolezza di base.
Tuttavia i due partner, pur tirando, da una parte e dall’altra, una coperta fin troppo corta, sono riusciti a non strapparla e proprio in questo momento stanno dimostrando di poter guidare il paese in una situazione di inedita, imprevedibile gravità. Anche per merito della componente di sinistra che, diversamente da Renzi, ha sempre dimostrato lealtà, sostegno attivo e non acritico.
A conferma, il buon comportamento del ministro della salute Speranza, capace di gestire senza allarmismo, in maniera equilibrata una situazione che richiede misure molto forti.
Da questo punto di vista si deve riflettere su un aspetto anch’esso inedito, ovvero sul fatto che anche la nostra democrazia è in messa in quarantena. E forse non potrebbe essere altrimenti, si stanno mettendo in pratica misure draconiane con conseguenze sulla vita quotidiana di ogni singolo cittadino. E qui si apre un altro capitolo: è proprio necessario arrivare a provvedimenti drastici per tutta la popolazione al fine di riuscire a sconfiggere il nemico Covid19? Certo, se prendiamo come riferimento l’esempio cinese la risposta non può che essere positiva. Ma in Cina non c’è un sistema democratico, qui sì. E la nostra libertà, individuale e collettiva, viene messa oggi tra parentesi. Se è drammaticamente in gioco il bene del paese, la salute di 60 milioni di persone, forse possiamo accettare con responsabilità e consapevolezza, una fase difficile della nostra storia: quando si è in guerra, e contro il coronavirus lo siamo, ognuno ha il diritto e il dovere di fare la propria parte. E molti italiani, paradossalmente, oggi sono convinti di poter dare il loro contributo per portare il paese fuori da questa difficilissima crisi. Se vinceremo la sfida, il prima possibile, il paese ne uscirà più forte perché avremo dimostrato di essere capaci di gestire qualcosa di davvero incomparabile.
Ma se andiamo a rivedere le cronache dei giorni scorsi, è più che evidente come alcune forze politiche
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Commenta (0 Commenti)Coronavirus. Anche fautori del liberismo e della disarticolazione istituzionale mettano ora sotto accusa il taglio alla sanità pubblica e la scellerata «autonomia differenziata»
Scriveva Thomas Mann che «certe conquiste dell’anima e della conoscenza non sono possibili senza malattia». Sul tema si è soffermato anche Dostoevskij, in una sorta di misticismo della malattia. Un tratto comune della grande letteratura europea a cavallo dei due secoli trascorsi.
I I Si pensi a Proust: «La Recherche è la grande opera di un malato» commentava infatti Giovanni Macchia. La malattia, dunque, come un viaggio della e nell’anima alla scoperta di una nuova relazione fra sé e la realtà esteriore che la transitoria sanità del corpo impediva di vedere con tanta vibrante lucidità. L’evento della malattia era inteso come un accadimento all’individuo, non ad una collettività. Ma quando un’epidemia che tracima in pandemia investe di fatto l’intera popolazione mondiale senza zone franche, si può immaginare un simile percorso di «redenzione»?
SE LEGGIAMO le migliori riflessioni che si fanno strada tra l’opprimente volume di banalità che le soffoca, troviamo forse qualche cosa di nuovo. Non solo il rafforzamento di elementi critici verso il sistema economico e l’impalcatura istituzionale del moderno capitalismo, ma sbucano elementi che alludono ad una strada diversa. Nel nostro paese la cosa è abbastanza evidente. Non passa giorno che persino fautori del liberismo e della disarticolazione istituzionale non mettano sotto accusa il taglio alla sanità pubblica e la sua regionalizzazione. Mentre appare ridicolo insistere nello scellerato progetto di una autonomia differenziata voluta e sostenuta dalle regioni del Nord, le prime ad essere travolte dalla inedita emergenza sanitaria.
QUANTE VOLTE abbiamo sentito dire, retoricamente, che «L’Europa deve parlare con una voce sola», di volta in volta riferendosi ai più diversi argomenti, quali la politica energetica o quella estera. Ora il tema si pone in modo grave, acuto, urgentissimo su due versanti: uno non nuovo, ma riproposto in modi terribili e strazianti, quello dei migranti spinti da Erdogan contro le militarizzate frontiere di una Grecia dove ben si coglie il carattere barbaricamente regressivo del cambio di politica e di governo. L’altro è quello del terreno delle politiche economiche da attuare subito per fornire strumenti e risorse contro l’ondata epidemica, almeno per contenere se non invertire gli effetti depressivi che comunque lascerà nella società e nella economia europea.
QUESTI DUE aspetti, persino brutale l’uno, drammatico l’altro, incastonati in uno sfondo di guerre e di deterioramento climatico-ambientale, non sono separati ma sfaccettature di un prisma di ottusità impermeabile a qualsiasi pratica di solidarietà fra i paesi della Ue. Ma se quest’ultima non affronta e risolve questi nodi che ci sta a fare? I fenomeni di deglobalizzazione non hanno aspettato le recenti drammatiche congiunture per manifestarsi. Da tempo sono in crisi i vecchi assetti dei rapporti commerciali. Non da oggi la curva della profittabilità delle multinazionali, che delocalizzavano intere fabbriche alla ricerca del minore costo del lavoro possibile, si è volta verso il basso o quantomeno appiattita. Il sistema economico dominante ha reagito strutturando nuove tipologie e modalità di formazione e di organizzazione delle catene del valore, abbattendo lo stato sociale, puntando sul «capitalismo delle piattaforme», su quello «della sorveglianza» ove sono abbattute le spese per impianti fissi e per personale stabile, agendo essenzialmente con il lavoro precario o addirittura gratuito in quanto nascosto nella crisalide del consumo. Tutto ciò oggi viene messo a nudo anche da fattori extraeconomici.
SE AL DI LÀ di vuote parole, verso i processi migratori, indotti da guerre e da disastri ambientali da noi stessi europei in gran parte provocati, persiste la cieca politica della negazione della vita; sul versante economico – e non a caso – si fa strada seppure faticosamente qualche barlume di consapevolezza. Il tema degli Eurobond, pur nelle sue molteplici versioni possibili, non è più un tabù e neppure l’idea stravagante di qualche Cassandra. Anzi è nato un nuovo neologismo: i coronabonds. In sostanza obbligazioni emesse dai singoli Stati nazionali ma garantite dall’insieme dei membri dell’Unione e vincolate a finanziare il contrasto alle conseguenze economiche dell’epidemia in corso. Si tratta come è noto di superare le logiche sovraniste e separatiste di diversi paesi, non «frugali» ma «tirchi» come li ha definiti il capo del governo portoghese, e soprattutto le ataviche resistenze della Germania. La suddivisione fra i vari paesi del rischio lo ridurrebbe a poco più di nulla.
Anziché discutere delle modifiche regressive al Mes, che cristallizzano la divisione dei Paesi in quelli finanziariamente sicuri e quelli no, è di questa innovazione che bisognerebbe urgentemente parlare e decidere. Tanto più che la pioggia di liquidità del quantitative easing, ha perso sempre più di efficacia, fomenta nuove bolle, non raggiunge né imprese né persone, ma si ferma nelle banche. Cosa più disastrosa che inutile in una situazione in cui, anche a causa delle recenti restrizioni, la crisi si fa sentire su entrambi i lati, quello della domanda e quello dell’offerta.
NELLO STESSO tempo una svolta solidale in economia aprirebbe spiragli per contrastare la disumanità con cui trattiamo i migranti. Anziché fili spinati, gas ustionanti, pallottole e bastonate, servirebbe aprire le porte della Ue, ridare speranza di vita a chi è stata tolta anche per nostra responsabilità, per smontare il ricatto criminale di Erdogan e per trovare insieme le strade di un nuovo modello di società.
Commenta (0 Commenti)Si moltiplicano gli appelli della campagna #iorestoacasa - a cui hanno aderito tanti personaggi pubblici - : "Non è il momento di trasgredire alle limitazioni e tutti quanti - giovani e non - dobbiamo rispettare la richiesta di stare in casa il più possibile. Non usciamo se non è indispensabile!".
Con un nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri tutte le misure già stabilite con il precedente Decreto del giorno 8 marzo per le cosiddette zone rosse sono estese a tutta l’Italia. Dunque, da oggi e sino al 3 aprile anche per le nostre zone valgono i seguenti provvedimenti (parte dei quali, peraltro, cioè i commi b, d, n, q e s dell’articolo 1, erano già stati estesi a Ravenna da ordinanze del Presidente della Giunta Regionale
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Perché gli attuali disagi nella vita quotidiana e il peggioramento della situazione economica e sociale sarebbero solo “un’amorevole carezza sulla guancia” rispetto ai rischi che correremmo se ritardassimo ancora ad intervenire contro il cambiamento climatico.
Le pagine del Sole 24 Ore sembrano un bollettino di guerra. Allarme imprese, due su tre in difficoltà. Borse: quotazioni giù. Il Parlamento si mette in quarantena. Terza zona rossa, pressing della Lombardia sul governo. Hotel, prime chiusure a Milano. Produttori tv: «Sono a rischio serie e programmi».
Negli Stati Uniti prende piede l’ipotesi secondo cui la crisi economica provocata dal coronavirus potrebbe compromettere la rielezione di Trump.
Tutto per effetto di un nuovo virus, la cui virulenza è moderata, con ragionevoli prospettive di un superamento della fase più critica a scadenza non molto lontana, dopo di che conviveremo con lui, come già accade con altri suoi confratelli.
Se tanto mi dà tanto, cosa potrebbe succedere se le misure di contrasto alla crisi climatica continuassero a essere tardive e insufficienti, e la crescita della temperatura globale superasse largamente i due gradi?
L’effetto congiunto della fusione dei ghiacci nella regione artica e antartica e della dilatazione dei volumi delle acque oceaniche, provocata dall’aumento delle temperature, innalzerà il livello medio dei mari e intere regioni costiere, oltre a molte isole, non esisteranno più. Le rese agricole caleranno ovunque, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. Anche le risorse idriche, la salute umana, la biodiversità saranno verosimilmente colpiti in modo grave. Ne potrebbero conseguire grandi spostamenti di popolazioni e gravi perturbazioni dell’economia nei paesi maggiormente coinvolti.
L’aumento del numero e dell’intensità di inondazioni, incendi, siccità, eventi atmosferici estremi e ondate di calore metterebbe a repentaglio il funzionamento del sistema energetico, con impianti di produzione fuori servizio anche in via definitiva e linee elettriche distrutte.
La ridotta disponibilità alimentare, principalmente a causa dello stress idrico e della minore fertilità del suolo, indebolirebbe le resistenze fisiche degli individui, per di più costretti a convivere con situazioni igienico-sanitarie certo non ottimali.
Il rischio di contrarre malattie sarebbe ulteriormente acuito in molte regioni dalla diffusione, per le mutate condizioni climatiche, di agenti patogeni prima assenti e con la popolazione locale priva di adeguate difese immunitarie.
La scarsità di risorse essenziali, a partire dall’acqua, porrebbe limiti alla produzione industriale e al turismo, diminuendo il valore economico dei capitali investiti: conseguenza inevitabile, il progressivo impoverimento della maggior parte della popolazione.
Con colpevole ritardo, i governi sarebbero costretti a reagire, introducendo misure draconiane: razionamento alimentare idrico ed energetico, divieto di spostamenti non autorizzati, chiusura delle fabbriche più climalteranti…
A differenza dell’epidemia dovuta al coronavirus, senza poter contare sulla scoperta di un vaccino in grado di mettere sotto controllo la situazione. Anche se di colpo le emissioni nette di CO2 fossero azzerate, il quantitativo in eccesso già presente nell’atmosfera vi permarrebbe mediamente per circa un secolo, continuando a far sentire i suoi effetti.
L’impoverimento progressivo e l’inevitabile deterioramento di una serie di servizi, a partire da quello sanitario, cui si aggiungerebbero gigantesche ondate migratorie dalle zone più colpite, finirebbero col provocare a più riprese rivolte popolari, alle quali i governi presumibilmente risponderebbero con ulteriori limitazioni alle libertà dei cittadini, alla fine ridotti alla pura resistenza passiva.
Al confronto, gli attuali disagi nella vita quotidiana e l’inevitabile peggioramento della situazione economica e sociale equivalgono a un’amorevole carezza sulla guancia.
Un divario su cui tutti dovrebbero meditare.
Commenta (0 Commenti)Conte: rinvio sine die del referendum previsto il 29 marzo. Ministro D'Incà: rinviato perché serve informazione e campagna
05 marzo 2020 - Rinviato, a causa dell'emergenza Coronavirus, il referendum su taglio parlamentari.
Il Consiglio dei ministri ha deciso di rinviare il referendum sul taglio dei parlamentari, a data da definirsi. Il Cdm ha dato il via libera al rinvio della consultazione sul taglio dei parlamentari.
Secondo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il rinvio del Cdm è 'sine die'.
Ministro D'Incà: rinviato perché serve informazione e campagna "Il Governo ha ritenuto opportuno rivedere la decisione circa la data del referendum che era stata fissata prima dell’emergenza sanitaria, allo scopo di assicurare a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un’informazione adeguata.
Le procedure referendarie in Italia e all’estero dunque si sospendono e saranno rinnovate quando sarà fissata una nuova data per il referendum.
La legge ci consente di fissare la nuova data entro il 23 marzo 2020, in una domenica compresa tra il 50° ed il 70° giorno successivo all’indizione": lo dichiara il Ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà.
Commenta (0 Commenti)Il personaggio. Scomparso domenica scorsa a 95 anni in Nicaragua. Era stato ministro della Cultura prima di diventare un oppositore del regime instauratosi a Managua negli ultimi anni
«Soy poeta, sacerdote y revolucionario» così si era definito recentemente Ernesto Cardenal, scomparso domenica scorsa a 95 anni in Nicaragua; dopo che poco più di una anno fa papa Francesco, al capezzale di quello che anzitempo si suppose fosse il suo letto di morte, gli revocò la sospensione a divinis che gli aveva comminato papa Wojtyla nei primi anni ’80, per essere ministro della cultura del governo rivoluzionario.
Ernesto Cardenal era nato da una ricca famiglia nella cittadina coloniale di Granada nel 1925. Studiò lettere a Managua, Città del Messico, New York. E girò l’Europa prima di essere ordinato sacerdote a quarant’anni a Cuernavaca in Messico. Per poi far ritorno nel suo paese.
IL NICARAGUA era allora un paese dell’istmo centramericano a noi pressoché sconosciuto. Una banana republic che aveva fatto parlare di sé per il terremoto del ’72 (che rase al suolo la capitale) ma soprattutto per la comunità contemplativa di Solentiname che il padre Ernesto, su ispirazione del poeta e religioso Thomas Merton (di cui era stato discepolo), aveva fondato nel 1966 nell’omonimo incontaminato arcipelago nel Grande Lago Cocibolca; con i suoi taller di poesia e dove nacque la pittura primitivista. Una comunità che nel ‘77 la guardia somocista distrusse uccidendo molti dei suoi attivisti. Mentre i superstiti si integrarono nella guerriglia del Fronte Sandinista (cui aderì anche Ernesto) che due anni più tardi, il 19 luglio del ’79, rovesciava la dinastia dei Somoza.
Allora padre Cardenal era già assai conosciuto come poeta per i suoi Epigramas, Salmos e Oración a Marilyn Monroe. Era un antisistema, dedito al riscatto dalle ingiustizie; soprattutto delle popolazioni originarie del subcontinente. Il culmine della sua opera letteraria è probabilmente Canto Cosmico del 1992, che lo ha proiettato fra i più grandi poeti della storia dell’America Latina. Non è un caso che, oltre a varie onorificenze letterarie, nel 2012 gli sia
Leggi tutto: Ernesto Cardenal, addio al poeta della rivoluzione - di Gianni Beretta
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