Dalla Grecia il papa mette in guardia dall’«arretramento della democrazia». E invoca «partecipazione» e «buona politica»
Da Atene, «culla della polis», papa Francesco lancia l’allarme per il pericoloso «arretramento della democrazia», in Europa ma anche in altre parti del mondo, messa in discussione da «populismi», «nazionalismi» e «autoritarismi».
LA GRECIA è la seconda tappa del trentacinquesimo viaggio apostolico del pontefice, che giovedì e venerdì ha attraversato Cipro e ieri è atterrato ad Atene, da dove ripartirà lunedì, dopo che oggi visiterà anche il campo profughi di Mytilene, sull’isola di Lesbo.
Nella capitale greca, ieri mattina il papa è stato accolto dalla presidente della Repubblica, Katerina Sakellaropoulou. Di fronte a lei, al capo del governo e a diversi ministri, nel palazzo presidenziale di Atene, Francesco ha tenuto il suo discorso in difesa della democrazia. «Qui si è iniziato a sentirsi cittadini non solo della propria patria, ma del mondo intero», ha detto citando Socrate. E poi, proseguendo con Aristotele: «Qui l’uomo ha preso coscienza di essere “un animale politico” e, in quanto parte di una comunità, ha visto negli altri non dei sudditi, ma dei cittadini, con i quali organizzare insieme la polis. Qui è nata la democrazia».
QUELLA DEMOCRAZIA, diventata apparentemente patrimonio di tutti gli Stati e della stessa Unione europea, che però oggi, ha rilevato Bergoglio con «preoccupazione», registra un evidente «arretramento». La pratica della democrazia è infatti «complessa», «richiede la partecipazione e il coinvolgimento di tutti», comporta «fatica e pazienza». Invece «l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti. In diverse società, preoccupate della sicurezza e anestetizzate dal consumismo, stanchezza e malcontento portano a una sorta di scetticismo democratico». Scorciatoie che possono quindi vanificare un percorso durato oltre due millenni.
L’antidoto, secondo il papa, a questa deriva antidemocratica? La «partecipazione» e la «buona politica», cioè una politica a servizio del bene comune e delle persone più deboli. C’è infatti «uno scetticismo nei confronti della democrazia provocato dalla distanza delle istituzioni, dal timore della perdita di identità, dalla burocrazia. Il rimedio a ciò non sta nella ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità, nella proclamazione di promesse impossibili», ma nella «buona politica» come «arte del bene comune». E «affinché il bene sia davvero partecipato, un’attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più deboli».
Nella contingenza del tempo presente, sono due secondo Bergoglio le conseguenze operative e gli impegni pratici di una «buona politica»: la cura della «casa comune» – ovvero del pianeta – e l’accoglienza dei migranti.
PRENDENDO come simbolo gli ulivi del Mediterraneo, devastati da malattie e da incendi, «auspico che gli impegni assunti nella lotta contro i cambiamenti climatici siano sempre più condivisi e non siano di facciata, ma vengano seriamente attuati. Alle parole seguano i fatti, perché i figli non paghino l’ennesima ipocrisia dei padri», ha detto papa Francesco. Sembrano risuonare le parole di Greta Thunberg, con le sue accuse ai grandi della Terra – anche in occasione dell’ultima Cop26 a Glasgow – di non agire ma di fare solo «bla bla bla».
E POI I MIGRANTI. «Questo Paese, improntato all’accoglienza, ha visto in alcune sue isole approdare un numero di fratelli e sorelle migranti superiore agli abitanti stessi, accrescendo così i disagi, che ancora risentono delle fatiche della crisi economica», ha detto Bergoglio, puntando il dito verso l’Europa. «Il temporeggiare europeo perdura: la Comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord». Quello che serve però è una «visione d’insieme, comunitaria», perché i migranti, «protagonisti di una terribile moderna odissea», «secondo le possibilità di ciascun Paese, siano accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità».
OGGI i migranti saranno al centro dei gesti e della parole del pontefice, che tornerà a Lesbo, dove era già stato del 2016. Risuoneranno parole simili a quelle pronunciate l’altro ieri a Cipro, durante la preghiera ecumenica con i migranti: «Guardando voi, penso a tanti che sono dovuti tornare indietro perché li hanno respinti e sono finiti nei lager, veri lager, veri posti di confinamento, di tortura e di schiavitù». E la denuncia dei «fili spinati»: si mettono per non lasciare entrare il rifugiato, quello che viene a chiedere libertà, pane, aiuto, fratellanza, gioia, che sta fuggendo dall’odio e si trova davanti a un odio che si chiama filo spinato. Questa è la storia di questa civiltà sviluppata, che noi chiamiamo Occidente».