La vicepresidente dell'Emilia-Romagna: "In Europa gli ambientalisti vincono quando tengono insieme anche rinnovamento generazionale e questione sociale"
Intervista di Giovanna Casadio su la Repubblica del 6 luglio
ROMA - Elly Schlein, vicepresidente dell'Emilia Romagna, ex europarlamentare di Possibile, ecologista, lei ha partecipato agli Stati popolari degli "invisibili" di Soumahoro a Roma . Serve una politica al passo con gli ultimi?
"Sì, c'è bisogno di ascoltare le spinte che si stanno muovendo spontaneamente nella società. Nelle piazze di queste ultimi mesi ci sono le stesse speranze e un filo rosso le lega, da quella degli "Invisibili" a Roma, a Black lives matter a Bologna alle manifestazioni per la morte di George Floyd, ai Fridays for future, alla stagione delle Sardine: i giovani stanno indicando alcune vie che l'intero campo progressista e ecologista dovrebbe seguire per la ripartenza. Invece il quadro politico attuale è insufficiente. Pd e 5Stelle sono immobili".
Proprio il ministro Roberto Speranza, leader della sinistra, su Repubblica ha lanciato una sfida: possibile che stia cambiando tutto, ma i partiti restino come prima?
"Non è possibile, infatti. Speranza ha ragione. Questo governo potrebbe dare una svolta su clima, disuguaglianze, diritti, parità di genere. E invece rimane inchiodato alle contraddizioni e alle tensioni interne dei suoi partiti maggiori. Serve uno scatto in avanti".
Ad esempio su cosa?
"Dobbiamo ancora attendere per cancellare i decreti sicurezza e i 18 miliardi di sussidi ambientalmente dannosi? Trovo sia stato grave il ritardo sullo sbarco della Ocean Viking. Inoltre c'è già chi sta pagando il conto della mancata transizione ecologica. Penso ai fumi dell'ex Ilva che hanno invaso Taranto sabato".
Ma questa nuova offerta politica di cui lei parla è un partito popolare verde?
"Non serve un nuovo partito solo verde. In Europa i Verdi sono vincenti laddove tengono insieme questione sociale, ambientale e rinnovamento generazionale con persone credibili. Vincono le alleanze progressiste ed ecologiste, spesso affidate alle donne, come si è visto. Per ora in Italia punterei a mettere in rete le persono che trasversalmente condividono una visione di futuro. Alle ragazze e ai ragazzi che abbiamo visto manifestare, se volessero impegnarsi in politica, offriamo di stare in un grande partito o in un grande movimento - Pd e 5Stelle - che dicono tutto e il contrario di tutto? Oppure di scegliere tra dieci sigle di sinistra o ecologiste diverse che dicono le stesse cose? ".
Ma per le prossime regionali di settembre immagina tante liste "Coraggiosa" come quella che lei presentò a sostegno di Bonaccini in Emilia Romagna? E ci vuole un'alleanza tra Pd e grillini?
"L'auspicio c'è sempre, ma vedo molta frammentazione che in Emilia Romagna abbiamo superato. Le alleanze Pd-5S si facciano dove ci sono i presupposti sui programmi, litigando meno sui nomi dei candidati".
In Francia la vittoria alle amministrative è stata donna e ecologista. La vede possibile anche in Italia?
"Altroché se la vedo, ma nella prossima tornata. Nel 2021 a Milano, Bologna, Roma, Torino ci si potrà provare".
E lei si candida sindaca di Bologna?
"Sono impegnata ora in Regione come vice presidente e non metto testa ad altro, peraltro in una comunità regionale molto colpita dall'emergenza Covid, dove ci siamo attrezzati anche per fronteggiare i possibili focolai. Ma i cittadini non abbassino la guardia".
Ha definito Pd e 5Stelle immobili. Perché?
"Sono immobili sui temi posti dalle nuove generazioni, a partire dalla sfida del clima e quindi appaiono respingenti. Dopo il Covid, non torniamo alla normalità di prima, ma cogliamo l'occasione per un cambiamento sociale e ambientale con l'aiuto delle risorse economiche in arrivo dall'Europa".
A proposito di diritti. Lei, che non si è mai fatta ingabbiare in definizioni sull'orientamento sessuale, cosa pensa del litigio persino sulla definizione "identità di genere" nella legge contro l'omofobia?
"Al di là delle polemiche sulle definizioni, spingiamo perché la legge passi. È ferma da troppi anni. Condivido la definizione di identità di genere".
Il caso. 300 milioni complessivi, di cui 180 milioni alle scuole dell’infanzia (0-6 anni) e 120 milioni alle scuole paritarie del primo e secondo ciclo. I grillini si erano opposti. Soddisfatti Pd e renziani. Le destre brindano
Raddoppiano i fondi alle scuole paritarie per l’emergenza Covid grazie a un voto a un emendamento della Lega nel «decreto Rilancio» in Commissione Bilancio alla Camera: 300 milioni di cui 180 alle scuole dell’infanzia (0-6 anni) e 120 alle scuole paritarie del primo e secondo ciclo. Inizialmente erano 150. «Siamo molto amareggiati – ha detto Gianluca Vacca (M5S) – Questi fondi sono, in gran parte, in quota alle opposizioni che hanno stabilito di concentrare queste risorse a disposizione sulle scuole paritarie. Solo per questo motivo è passato l’emendamento».
Tre settimane fa la senatrice Cinque Stelle Bianca Laura Granato aveva sostenuto che il fondo già stanziato da 150 milioni di euro doveva essere ritenuto sufficiente: «Non ci sfugge – ha detto – che la situazione di difficoltà dovuta all’emergenza covid, per questo nel Decreto Rilancio è stato previsto uno stanziamento straordinario di 150 milioni di euro. Abbiamo già dato. Non si tratta di una posizione ideologica o preordinata, ma di una scelta giustificata e sorretta dal dettato costituzionale, che all’articolo 33 sancisce la piena libertà di insegnamento ma senza oneri per lo Stato nel caso delle scuole private». Qualche giorno dopo la situazione è cambiata completamente.
Il voto sull’aumento sostanzioso ha soddisfatto il Pd: «Le scuole paritarie sono parte rilevante del sistema scolastico nazionale, il nostro impegno è stato soddisfatto» ha detto il capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio. «Le maggiori risorse alle scuole paritarie sono state uno sforzo importante» ha detto il segretario Pd Nicola Zingaretti. «Bene così» ha scritto su twitter la vice ministra dell’Istruzione Anna Ascani (Pd). Per i renziani di Italia Viva «è una splendida notizia». «È una nostra vittoria» ha detto il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari. Mario Pittoni (Lega) ora punta a «isolare i Cinque Stelle e la ministra dell’istruzione Azzolina». «Siamo stati decisivi» ha detto Valentina Aprea di Forza Italia. Per Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) «è solo un primo passo»
Commenta (0 Commenti)Sinistra. Lo Stato deve riacquistare un ruolo di imprenditore e di innovatore, come dice Mariana Mazzucato, altrimenti resta una stampella del sistema. Lo si vede bene nella scuola
Le nuove recenti stime del Fondo monetario internazionale prevedono una contrazione del Pil mondiale al 4,9% contro il 3% stimato ad aprile.
Solo la Cina può evitare il segno meno, ma con uno striminzito +1%, come cinquant’anni fa.
La capoeconomista del Fmi, Gita Gopinath parla della peggiore recessione dagli anni ’30.
Per l’Eurozona si aspetta una contrazione del 10,2% e per l’Italia una flessione del 12,8%, avvicinandosi alle stime forniteci da Ignazio Visco (-13%) che ad alcuni paiono eccessive.
L’Ufficio parlamentare per il Bilancio è meno pessimista: -9% a fine anno, ma solo se verrà scongiurata una seconda ondata pandemica in autunno. Una scommessa finora poco fondata. Stando alle fonti ufficiali, pur restando contenuti i numeri, i dati dell’epidemia hanno rallentato o smesso la discesa.
Nuovi focolai si accendono da Nord a Sud dello Stivale, per non parlare del resto del mondo. Se il nostro paese piange gli altri di certo non ridono.
La potente Germania si prepara a un -7,8%, gli Usa scontano un calo dell’8% e perfino l’India che ci aveva abituato a continui tassi di crescita, subirà la prima contrazione in oltre 40 anni, pari al 4,5%.
L’impatto sull’occupazione viene giudicato “catastrofico” dallo stesso Fmi che riprende i dati dell’Organizzazione mondiale del lavoro. A farne le spese maggiori saranno i lavoratori scarsamente qualificati e le donne.
E’ comparsa la “generazione Covid”. Per l’Istat sotto i 25 anni il tasso di disoccupazione sale al 23,5%. Un effetto “devastante e sproporzionato” dice l’Ilo. In realtà piove sul bagnato. Da noi i navigator hanno trovato lavoro solo a se stessi, naturalmente precario.
Gli ottimisti della ripresa a “V” si devono ricredere e pensare a come fronteggiare un lungo periodo di stagnazione senza distruzione sociale. Chi mai può farcela da solo? Il dottor “strarigore”, il premer olandese Mark Rutte ha voglia di predicare, per gli altri, ricette “virtuose”. Irrealistiche quanto stupide come il Patto di Stabilità che Dombrovskis vorrebbe restaurare quanto prima.
Quindi la vera partita che si giocherà il prossimo consiglio europeo di metà luglio, ed oltre, va al di là del Mes, coinvolge l’intero pacchetto di misure, recovery fund in primis, la sua entità, il rapporto fra aiuti e debiti, i tempi della restituzione di questi ultimi, l’emissione di titoli di debito comune, la crescita del bilancio europeo, la sua alimentazione con nuove tasse su scala europea. Su queste cose si misurerà la nuova presidenza tedesca. Le parole della Merkel sono forti, quando, citando Kohl, afferma che: ”L’Europa è questione di pace e di guerra”. Vedremo i fatti.
La Gobinath insiste sulla necessità di una lotta efficace all’evasione e di riforme fiscali che puntino ad allargare la base imponibile per attuare una “maggiore progressività” del prelievo. L’esatto contrario delle varie flat tax, ma anche della riduzione del numero degli scaglioni Irpef su cui parrebbe orientarsi la “misteriosa” riforma fiscale annunciata a più riprese dal nostro governo.
Il ruolo dello Stato non può però essere confinato entro il versante redistributivo. Serve un nuovo protagonismo dello Stato nel campo della innovazione e produzione. La ricetta di Carlo Bonomi la conosciamo: tutti gli aiuti vanno alle imprese perché sono esse a creare lavoro e non lo Stato. La cosa è stata smentita più volte nella storia, specie a ridosso di grandi crisi, ma i “predatori” della Confindustria vogliono in questo modo occupare il futuro annunciando un “piano” 2030-2050.
Lo scontro frontale con questa concezione è inevitabile. Inutile cercare di aggirarlo con soluzioni più dolci, come la partecipazione di minoranza dello Stato nelle imprese propugnata da Romano Prodi. Può sembrare paradossale, ma non è solo un problema di proprietà, quanto di scelte strategiche sul cosa, come e per chi produrre. Lo Stato deve riacquistare un ruolo di imprenditore e di innovatore, come dice Mariana Mazzucato, altrimenti resta una stampella del sistema.
Lo si vede bene nella scuola. Persino il citato rapporto del Fmi chiarisce quale arretramento spaventoso può divenire per l’umanità intera da una prolungata perdita di apprendimento. La scuola pubblica è un investimento sociale non la formazione quadri per le imprese. E’ quindi lo Stato in primissima persona che se ne deve occupare, cominciando a regolarizzare l’esercito di insegnanti precari di cui finora si è servito e assumendone nuovi a tempo indeterminato.
La pandemia ha evidenziato l’inutilità sociale della sanità privata. Ma anche qui non si tratta solamente di costruire ospedali pubblici, anzi bisogna uscire da una visione “ospedalocentrica”, per progettare la prevenzione e pensare a presidi sanitari articolati sul territorio.
L’ultimo focolaio epidemico nel mattatoio del Nord Reno Westfalia, il più grande d’Europa, dove ogni giorno ventimila maiali vengono trasformati in prodotti alimentari per il mercato globale, avverte che non c’è bisogno di raggiungere i mercati cinesi di pipistrelli per studiare l’effetto spillover.
Siamo su un crinale terribile, per salvarsi va colta l’occasione per cambiare gli assi strategici della produzione e quindi per creare nuovi spazi per l’occupazione.
Quantomeno va avviata una riflessione collettiva. Non è venuta da Villa Dora Pamphilj, né lo poteva.
Bisogna riacquistare, e il sindacato, la Cgil, può essere una leva, una posizione creativa e alternativa rispetto agli indirizzi della nostra economia e del vivere sociale, ripensare ad una programmazione democratica, costruita nel confronto con gli attori e i movimenti sociali.
Commenta (0 Commenti)Bilancio. Non scherzano le proposte del Pd: agevolazioni fiscali, incentivi, crediti d’imposta, sgravi, prestiti, premi, in una parola trasferimenti monetari, validi solo nell’urgenza. Il lavoro non può essere una misura che si aggiunge alle altre ma il baricentro di un’intera politica economica alternativa, contro la disoccupazione
Emerge ormai il disvelamento di un’attitudine, già radicata nelle forze politiche e nei poteri pubblici italiani, a intervenire sulle cruciali materie economiche e sociali non con slancio progettuale – per colmare i drammatici vuoti accumulati nell’apparato produttivo e nella struttura sociale – ma mediante la comoda e facile via fiscale, soggetta a rischi di distorsione redistributiva e non in grado di agire sulle strutture.
Lo testimoniano gli specifici elementi di debolezza della proposta di abbassamento dell’Iva: l’elevatissimo costo in termini di minori entrate e di maggior deficit, l’incertezza della traslazione sui prezzi del taglio dell’Iva, il modesto effetto da “moltiplicatore” sulla domanda e l’elevata probabilità che i consumi rimangano comunque bassi, la difficoltà successiva di riportare l’Iva al suo valore corrente.
Della mancanza di uno slancio progettuale sono testimonianza il Rapporto della Commissione Colao zeppo di agevolazioni fiscali, crediti d’imposta, rinvii di tassazione, contrazioni di aliquote, esenzioni, le quali avrebbero tutte il prevalente effetto di contribuire al massacro della coerenza del sistema tributario nazionale, già ridotto a un colabrodo, ragione non ultima della nostra elevatissima evasione fiscale.
Ma non scherzano nemmeno le proposte di politica industriale del Pd, infarcite di incentivi alla transizione e a fondo perduto, agevolazioni fiscali di vario tipo, crediti d’imposta, stimolazione del risparmio, sgravi per la nuova finanza, sostegni monetari, prestiti, premi ai lavoratori, in una parola trasferimenti monetari, diretti e indiretti, i quali, necessarissimi nell’emergenza e quando le difficoltà non siano altrimenti aggredibili come nel caso della povertà, hanno comunque un valore “compensatorio” non “promozionale” e non sono in grado di agire strutturalmente cambiando il modello di sviluppo.
Qui la pulsione anti-tasse ereditata dal neoliberismo (sostenitore dell’”affamamento” della bestia governativa, starving the beast, mediante tagli delle tasse, in realtà a enorme vantaggio dei ricchi) si salda con una crescente riluttanza dello Stato italiano – dopo il mancato decollo dei gloriosi tentativi di programmazione del primo centrosinistra e la fine dell’epoca d’oro della Cassa del Mezzogiorno e delle Partecipazioni Statali – a ideare e a mettere in pratica, invece che solo politiche indirette per prevalente via monetaria e fiscale fatalmente destinate a confermare gli equilibri dati, progetti di alto profilo mediante politiche dirette, volte a incidere profondamente sullo status quo e a modificare il modello di sviluppo in direzioni programmate e intenzionalmente organizzate.
Eppure, ora che dobbiamo risollevarci dalle tragiche conseguenze della pandemia da coronavirus, il momento sarebbe estremamente propizio per un rovesciamento di paradigma, riscoprendo parole-chiave come “programmazione”, “pianificazione”, “capacità progettuale”.
Non a caso nella straordinaria svolta compiuta dall’Europa con il Next Generation Plan il baricentro è sugli investimenti pubblici, per la sanità, la scuola, l’economia verde.
Questa è oggi la strada da aprire con assoluta urgenza, senza esitare a mettere in campo ipotesi di autentica nuova “democrazia economica”, se non vogliamo che, una volta che l’epidemia sarà stata domata, tutto riparta business as usual, con l’unica variante di una maggiore diseguaglianza.
L’inventiva, la creatività, la creazione dal nulla che sono necessarie dovrebbero indurci a trarre ispirazione in modo non retorico da ciò che fece Roosevelt con il New Deal, quando inventò molte istituzioni, tra cui i Job Corps, le Brigate del lavoro.
Non si deve dimenticare che tra le caratteristiche fondamentali del New Deal ci sono state la mobilitazione anche morale di straordinarie risorse umane e intellettuali – dall’associazionismo al volontariato, ai sindacati, alla scuola e alle Università, ai centri culturali e di pensiero, tutti furono chiamati a contribuire all’ideazione dei progetti di cui c’era bisogno – e la cifra “sperimentalista” (per la quale Roosevelt traeva ispirazione dai filosofi pragmatisti americani e da Dewey) e pertanto la sollecitazione della creatività e dell’inventiva.
Se l’insegnamento più importante per l’oggi è che il lavoro non può essere una misura che si aggiunge alle altre ma deve diventare il baricentro di un’intera politica economica alternativa, occorre assumere la questione della disoccupazione non come un “fallimento del mercato” tra gli altri, ma come la contraddizione fondamentale ricorrente del capitalismo, accentuata da eventi come la pandemia.
Questa è, dunque, la vera sfida odierna: puntare su una radicalità inusitata di progettazione teorica e di critica ideologica, opponendo all’operazione deresponsabilizzante che fanno i sostenitori della generalizzazione dei trasferimenti monetari (quali sono anche gli incentivi fiscali) un’iniziativa di forte profilo ideale sul nuovo modello di sviluppo e sulla “democrazia economica”, la quale, assunta in termini alti, può dar vita a una prospettiva di neo-umanesimo.
Commenta (0 Commenti)Intervista ad Alessandro Genovesi. Il segretario generale Fillea Cgil: gli edili chiedono al governo un protocollo specifico per mettere al primo posto l’interesse generale, i bisogni del paese, di studenti, personale e famiglie
Alessandro Genovesi, segretario generale Fillea Cgil, Conte annuncia il decreto Semplificazioni, temete che ci siano modifiche al Codice degli appalti? Si va verso il modello Genova sponsorizzato da Salvini?
Il Codice degli appalti si può sempre migliorare, ma il modello Genova non è tecnicamente ed economicamente replicabile. E metterebbe a rischio diritti e conquiste dei lavoratori. Il motivo principale delle difficoltà a cantierizzare opere si chiama «troppe stazioni appaltanti con troppi pochi tecnici». Tutto il resto è strumentalità politica.
Voi invece vi siete sempre detti disponibili a lavorare con imprese e governo per Protocolli e intese per far ripartire i cantieri. A che punto siamo nei vari territori del Paese?
Far ripartire i cantieri nel pieno rispetto di contratti, sicurezza e legalità sono fondamentali. Il principale intervento per “bloccare i licenziamenti” si chiama riforme strutturali e ripartenza economica. Ripartenza tanto dei consumi che degli investimenti. Da questo punto di vista notiamo che sull’avvio di cantieri diffusi per la manutenzione, il passo sta cambiando anche al Sud e noi siamo per fare la nostra parte.
La scuola è il grande punto interrogativo della ripartenza. Per far tornare gli studenti in aula in sicurezza a settembre servono interventi edilizi veloci. I tempi ci sono? Le procedure lo consentono?
Lo dico chiaramente: i lavoratori edili sono pronti a lavorare 7 giorni su 7, h24, da qui a settembre per mettere in sicurezza il maggior numero possibile di scuole. Abbiamo chiesto al Ministero dell’Istruzione, al Mit, Province e Comuni di sottoscrivere uno specifico protocollo al riguardo. Il sindacato confederale degli edili di fronte ai bisogni del paese, di studenti, personale e famiglie metterà sempre al primo posto gli interessi generali.
La sanità è stata colpita duramente e anche in questo settore servono nuovi ospedali, modifiche agli esistenti e strutture territoriali. Qual è la situazione cantieristica?
L’edilizia sanitaria non è una priorità da anni, tranne scoprire nei giorni drammatici del Covid come servano non solo più personale, più terapie intensive, ma anche spazi, ospedali, attrezzati. Ora il governo ha una grande occasione ridare centralità alla sanità pubblica e anche ai suoi luoghi, con un piano straordinario. Le risorse ci sono e il tempo è prezioso. Al ministro Speranza dico: facciamo presto e bene. Un ospedale che funziona per un territorio è motore di sviluppo oltre che di tutela.
La regolarizzazione dei migranti non ha interessato anche i lavoratori edili: delusi?
La regolarizzazione non ha ricompreso gli edili eppure sono oltre duecentomila i migranti irregolari che, stimiamo, lavorino nel settore. Duecentomila sui quattrocentomila lavoratori irregolari totali, tutti o quasi impiegati nell’edilizia privata. Anche per questo chiediamo che gli incentivi per ristrutturazioni edili, risparmio energetico, sisma bonus, oggi portati al 110 %, siano subordinati alla certificazione di congruità, cioè di impiego di lavoro regolare.
I metalmeccanici sono tornati in piazza. Lo scontro con la Confindustria di Bonomi si annuncia duro. Nel vostro settore qual è la situazione?
Le tensioni ci sono, inutile negarlo. Nei prossimi giorni capiremo se riusciremo a far passi avanti nel rinnovo di un contratto importante come quello del Legno-Arredo o se dovremmo proclamare il secondo sciopero nazionale. Conosco molti imprenditori seri che come noi sanno che serve più pubblico nell’economia, che vogliono le riforme che servono per competere nel mondo, con più innovazione, ricerca, partecipazione. Spero che battano un colpo. Ora servono buone idee e coraggio, non curve da stadio.
Covid-19 e Sicurezza. I sindacati: Bonaccini pressato da turismo e commercio. Intanto alla Bartolini di Bologna altri 27 contagiati. L'Ausl: valutiamo la chiusura
Nonostante continui ad aumentare il numero di contagiati alla Bartolini con altri 27 positivi ieri che fanno arrivare il totale a quota 91, a Bologna in tutta l’Emilia-Romagna prosegue l’allentamento delle misure di sicurezza. La giunta reginale guidata da Stefano Bonaccini fa entrare in vigore da oggi una delibera che prevede «la ripresa del trasporto a pieno carico», seppur «limitatamente ai posti a sedere».
Se fino a ieri – come in tutta Italia – i viaggiatori sui mezzi pubblici non potevano sedersi vicini oppure di fronte, da oggi su autobus e treni regionali il divieto decade completamente.
Nelle 14 pagine di delibera che accomuna anche la riapertura degli ippodromi e la «limitazione del distanziamento in vasche e aree solarium», Bonaccini motiva la modifica sui trasporti con «l’attuale situazione epidemiologica nel territorio».
Una posizione totalmente contrastata dai Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) dei macchinisti che denunciano come «l’occupazione del 100% dei posti a sedere se risolve il problema del sovraffollamento, fa si che però il treno affollato sia la norma e il distanziamento sociale venga meno, fermo restando l’obbligo di indossare mascherine più o meno efficaci. Tale scelta – continuano gli Rls – ha evidentemente motivazioni esclusivamente economiche e che come Rls non ci vede allineati su questa scelta piovuta dal cielo nonostante l’insorgere di focolai in Emilia Romagna».
Ancora più duro il sindacato Sgb (Sindacato generale di base) che chiede «il ritiro immediato dell’ordinanza»: «Una decisione presa in tutta fretta ed in assenza di disposizioni per il personale ferroviario, a dimostrazione di come la giunta Bonaccini sia più sensibile alle pressioni del turismo e del commercio ed ai loro interessi economici».
Tornando alla Bartolini, se il sindaco di Bologna Virgilio Merola parla di «focolaio sotto controllo», il suo assessore al Lavoro Marco Lombardo sottolinea come «dobbiamo evitare che ci sia il tema del bisogno del tornare a lavorare: l’osservanza scrupolosa delle regole potrebbe venire meno in quei settori le tutele sono minori, come appalti e subappalti». Molti lavoratori denunciano di essere stati assunti da Brt con contratti settimanali a contagi già avvenuti, «senza essere stati informai dell’accaduto».
Il direttore del dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Bologna Paolo Pandolfi ha annunciato che «potrebbe essere una strada quella di sospendere l’attività del magazzino. Abbiamo fatto 328 tamponi amministrativi, autisti e altro personale e anche a 30 persone assunte in sostituzione di contagiati».