Storie. Un murales che ricorda la resistenza a Reggio Emilia non piace ad Autostrade che chiede di toglierlo. Scatenando la rivolta di Anpi, Regione e della città: «La memoria non si tocca»
Nessuno tocchi il murales dei partigiani di Reggio Emilia. Nemmeno Autostrade, che ha tentato con un blitz di farlo rimuovere perché, così ha sostenuto la società per azioni che gestisce la A1, distrarrebbe gli automobilisti. Non succederà. Tutta la città è insorta contro l’ultimatum: dieci giorni per cancellare il murales di Casa Manfredi, a Villa Sesso, vicino al tragitto autostradale. A prendere le difese dell’opera che celebra i partigiani uccisi dai fascisti nel 1944 anche Comune e Regione e così, dopo le minacce legali, Autostrade è stata costretta a tornare sui suoi passi. «La Direzione di Tronco di Bologna di Autostrade per l’Italia evidenzia la più ampia disponibilità e volontà di collaborazione per assicurare il ricordo delle vittime partigiane, nel rispetto dei parametri di legge necessari per garantire la sicurezza degli utenti in transito», ha scritto in una nota la società che si sarebbe anche scusata per l’accaduto.
IL MURALES era stato inaugurato 8 mesi fa, nel settembre 2020, dopo un percorso partecipato sostenuto dal Comune di Reggio Emilia e dall’Anpi e gestito dall’Istoreco, l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Su un rudere che fu la casa della famiglia Manfredi nonché base di latitanza e di passaggio dei giovani che andavano verso la montagna, è stata creata una parete tutta rossa, con la scritta a caratteri cubitali «partigiano reggiano» e una citazione del cantante Zucchero: «Un canto libero, l’amore libero, un cuore unico, come un partigiano reggiano». Sotto le parole le facce di 8 partigiani uccisi dai fascisti nel 1944: i 5 membri della famiglia Manfredi (il padre Virginio e i figli Gino, Aldino, Alfeo e Guglielmo); e i 3 membri della famiglia Miselli (il padre Ferdinando e i figli Ulderico e Remo). La casa nel 1944 divenne una base dei Gap reggiani, i gruppi paramilitari creati dal Pci per operare clandestinamente nelle città. La notte del 16 dicembre 1944 200 fascisti, imbeccati da spie e informatori, rastrellarono le campagna attorno a Casa Manfredi, uccisero quattro giovani e altri ne arrestarono. I partigiani reagirono e tre giorni dopo uccisero sei fascisti ritenuti responsabili dell’eccidio. La rappresaglia della Brigata Nera fu terribile: 432 fermi, 57 arresti con torture e 14 fucilazioni. Il 21 aprile altre cinque fucilati. In tutto le camicie nere uccisero 23 persone, partigiani ma anche giovani “colpevoli” di ascoltare Radio Londra.
PROPRIO per ricordare questi eventi, e in generale la lotta partigiana contro i nazifascisti, è stato realizzato il murales, commissionato agli artisti Fabio Valentini, nome d’arte Neko, e Marco Temperilli, nome d’arte Maik. Murales che Autostrade avrebbe voluto cancellare perché «per sua natura, forma, dimensione, contenuto e posizione» sarebbe stato «fonte di grave pericolo per la sicurezza della circolazione». Opinione che in Emilia-Romagna non ha trovato spazio. «Il murales non deve essere cancellato – dichiara il Presidente della Regione Stefano Bonaccini – Questa terra pagò un prezzo altissimo alla follia nazifascista, in termini di eccidi, lutti, violenze. Guai dimenticare chi ha dato la propria vita per ridarci libertà, pace e democrazia». «Il murales è parte integrante del nostro Dna, ricorda un fatto gravissimo e Reggio Emilia, città Medaglia d’Oro della Resistenza, non è disponibile ad annullare la propria storia e la propria memoria», dice il sindaco di Reggio Luca Vecchi.
«DA UNA RAPIDA ricerca online – spiega Dario De Lucia, consigliere comunale Pd a Reggio e tesoriere dell’Istoreco – è possibile vedere come esistano diversi progetti di street art che coinvolgono strade e autostrade, in più il murales per i martiri di Villa Sesso si trova a centinaia di metri e su un dislivello rispetto all’autostrada A1. Da qui la domanda: il problema è la street art o il contenuto della nostra street art? A questo punto rilancio: facciamo presto un altro murales per ricordare la nostra storia partigiana». Più nette ancora le posizioni di chi non ricopre incarichi istituzionali. «Ridicolo», dice l’Anpi. «Sapete cosa mi distrae in autostrada? Le crepe dei viadotti, gli uomini al lavoro operare al buio di notte, i pedaggi in aumento per i cittadini e gli stipendi milionari dei dirigenti», commenta Cosimo Pederzoli della segretaria regionale di Sinistra Italiana. «Casa Manfredi esisteva da decenni quando è stata fatta l’autostrada – scrive il cantante Max Collini – e avendo il murale un valore storico, politico, sociale e culturale per quanto mi riguarda la società concessionaria del servizio autostradale può tranquillamente venire a sua volta espropriata delle concessioni dallo Stato quanto prima, che sarebbe sempre ora».
Sovrintendenze. Pensare di affrontare le enormi sfide che abbiamo davanti senza modificare stili di vita, valutazione delle priorità, rapporto con il territorio, significa essere fuori dalla realtà e andare incontro ad un disastro annunciato
C’è modo di trovare una soluzione capace di far installare 70 GW di rinnovabili nei prossimi 10 anni, quanto ci chiede la Ue, rispettando il paesaggio? Sì, perché il rispetto del pianeta e la conservazione della nostra eredità culturale sono due facce della stessa medaglia.
Sì, se si affronta la questione modificando gli atteggiamenti del passato. In effetti qualche problema c’è se le Sovrintendenze continuano a non autorizzare impianti anche in zone non vincolate.
Pensare di affrontare le enormi sfide che abbiamo davanti senza modificare stili di vita, valutazione delle priorità, rapporto con il territorio, significa essere fuori dalla realtà e andare incontro ad un disastro annunciato. Solo questo sembrerebbe un’ottima ragione per eliminare ogni preconcetto autoritario, ed abbracciare una visione «laterale».
Grandissima parte delle installazioni a terra di fotovoltaico necessarie per raggiungere gli obiettivi europei (parliamo di 50.000 ettari) potrebbero riguardare terreni marginali non coltivati da decenni. Questi terreni, abbandonati dagli agricoltori perché improduttivi, rappresentano meno del 2% della perdita di Superficie Agricola Utile italiana avvenuta negli ultimi trent’anni, stimata in tre milioni di ettari. Oppure utilizzare aree industriali dismesse: quindi nessuno pensa di installare in Italia impianti fotovoltaici ed eolici in aree vincolate, nei Sic, nelle Zps, nelle Aree protette e nei siti Natura 2000. Inoltre, l’evoluzione delle tecnologie consentono una maggiore produzione a parità d’ingombro rispetto agli impianti esistenti.
Per l’eolico, poi, oltre alle tecnologie del repowering sugli impianti esistenti, che riducono ulteriormente la già esigua occupazione di suolo, il Pnrr prevede l’installazione di pale eoliche off-shore galleggianti anche a distanze considerevoli dalle coste. Però non è solo l’urgenza climatica che ci deve guidare in queste scelte, ma anche un atteggiamento culturale, che riguarda contestualmente le ragioni dell’una e l’altra parte.
Oggi le tecnologie rinnovabili e le azioni di efficienza energetica, vista la loro diffusione che includono una integrazione nel patrimonio edilizio e una distribuzione sul territorio, determinano un nuovo modello dell’energia stessa che, vista anche la partecipazione attiva dei cittadini, assume le caratteristiche di un bene collettivo, partecipato e condiviso. Così come partecipate e condivise sono le recenti
definizioni del patrimonio culturale (si veda la Convenzione di Faro), che sottolineano il valore dell’eredità culturale secondo i concetti della sostenibilità, includendo questi ultimi, quindi, nella individuazione del rispetto e della tutela dell’ambiente. Questo significa che oggi occorre inserire le azioni di contrasto al cambiamento climatico tra le forme, inedite, di tutela, e tra queste il corretto uso dell’energia pulita.
Considerare cioè il processo di decarbonizzazione dell’energia uno strumento per la conservazione, alla stessa stregua del recupero conservativo di un bene culturale. L’Italia, con il suo grande patrimonio culturale più di altri Paesi è chiamata ad esercitare la sua leadership per dimostrare come efficienza energetica e uso delle fonti rinnovabili concorrano a preservare il significato e l’identità di un bene tramandato nei secoli. È tempo di riorientare il rapporto tra conservazione e sviluppo, da non considerarsi più in antitesi (la lotta ai cambiamenti climatici lo impone), e lo sviluppo nel caso di un bene culturale non può essere solo recupero e ripristino, ma qualcos’altro.
In quest’ottica, che rispecchia l’Agenda Onu 2030, efficienza energetica e uso delle fonti rinnovabili (ed efficienza energetica) sono chiamate però insieme a fornire una prova di responsabilità per selezionare quegli interventi che garantiscano la conservazione dell’identità e della testimonianza del bene, e della sua valorizzazione.
L’ambiente, parte del patrimonio culturale, necessita di un sistema di tutele specifiche e forse la più importante tra queste, quella che riguarda l’intero pianeta, è proprio la decarbonizzazione dell’energia. Questo perché il patrimonio culturale, nelle sue varie dimensioni, materiali ed immateriali, è, al pari dell’energia, una risorsa condivisa e un bene comune e proteggerlo diventa quindi una responsabilità comune.
* Prorettore di Sapienza Università di Roma per le Politiche Energetiche e Presidente del Coordinamento Free
Commenta (0 Commenti)Questione israelo-palestinese. Vogliono zittire le voci severamente critiche delle scellerate politiche di Netanyahu, fra queste quelle di democratici Usa come la deputata Ocasio Cortes e Bernie Sanders
La prima istanza che mi pare importante sollecitare parlando della questione israelo-palestinese è quella di chiedere ad alta voce all’informazione mainstream di accogliere tutte le opinioni sul tema anche quelle considerate «estremiste» e opposte al pensiero dominante e, nel caso che qualcuno ravvisi reati di opinione lo si inviti a rivolgersi ai tribunali invece di imporre censure preventive, opzioni discriminatorie o auto censure.
Personalmente solo per avere esercitato il diritto costituzionale ad esprimere le mie opinioni a titolo personale sono diventato obiettivo di calunnie feroci e di minacce.
Ogni volta che mi sono rivolto ai principali ambiti dell’informazione televisiva per parlare della questione ho trovato un muro di gomma. Detto questo non mi lamento per la mia persona, ma per il vergognoso silenzio sulla immane tragedia del popolo palestinese. Molte sono le domande inevase nel mondo occidentale o che trovano solo risposte retoriche, ipocrite o elusive. Il sociologo Adel Jabar, già professore di sociologia dell’emigrazione alla Ca’ Foscari, ne ha poste alcune che ritengo non opponibili.
1) Fino quando deve durare la colonizzazione e l’occupazione della terra di Palestina?
2) Perché Israele non vuole la soluzione dei due stati?
3) Perché Israele non vuole la soluzione di uno stato unico binazionale?
4) Qual è l’alternativa che si dà ai palestinesi?
5) Perché per il dissidente russo Navalny si fanno boicottaggi, sanzioni economiche e campagne mediatiche ma per le sistematiche violazioni israeliane della legalità internazionale non si fa nulla?
6) L’orientamento di Hamas può anche essere condannato ma ciò è sufficiente per negare ai palestinesi il diritto alla propria terra?
A queste domande del professor Jabar vorrei aggiungerne una mia: come mai all’annuncio dato dalla Santa Sede di voler riconoscere lo Stato di Palestina il governo israeliano ha protestato? Sulla base di quale legittimità se non quella della prepotenza dell’occupante?
I fatti sono chiari. Il governo israeliano di Netanyahu non vuole nessuno Stato palestinese, in nessuna forma se non forse quella di un simulacro di autorità priva di qualsiasi sovranità su piccoli bantustan, aggregati magari alla Giordania. Le intenzioni del premier israeliano si sono bene espresse nell’avere promosso il varo della legge dello Stato-Nazione, una legge segregazionista che esclude i palestinesi israeliani dalla piena cittadinanza la quale è riservata solo agli ebrei.
Dunque i non ebrei diventano cittadini di serie b, per non parlare poi dei palestinesi dei Territori occupati che diventano paria su cui esercitare ogni tipo di arbitrio. Se qualcuno avesse dubbi al riguardo si informi sulla gestione da parte dell’autorità israeliana della pandemia da COVID 19 nei confronti dei palestinesi dei territori di cui l’occupante è responsabile per definizione secondo le più elementari convenzioni del diritto internazionale: più del 60% degli israeliani risulta vaccinato, solo il 3% i palestinesi dei Territori – senza dimenticare che in questi giorni arrivano pure a distruggere con i bombardamenti le strutture sanitarie palestinesi vitali in pandemia.
Oggi nell’infuriare dei venti di guerra prevalgono le interpretazioni più schematiche ed emotive. Questa non è una guerra anche se ne ha certe apparenze. Ma la sproporzione fra le forze è talmente soverchia che alla fine Gaza ne uscirà ulteriormente devastata ammesso che si possa parlare di più devastazione in una terra già così martoriata, gli israeliani se la caveranno con danni limitati, le vittime palestinesi si conteranno a centinaia, quelle israeliane a unità. Sia chiaro: l’uccisione di ogni essere umano è una grande tragedia ma oramai da decenni il numero delle vittime palestinesi è smisurato. I sostenitori acritici delle ragioni di Israele sempre e comunque non vedono neppure le sofferenze dei palestinesi e se qualcuno gliele indica ne attribuiscono le responsabilità a loro stessi. In questa circostanza sostengono che l’attacco dei missili di Hamas era preparato da tempo e reiterano come un mantra l’articolo dello statuto di Hamas che parla della distruzione di Israele.
Con questo vogliono chiudere la bocca alle voci severamente critiche delle scellerate politiche di Netanyahu, voci fra le quali si annoverano in questi giorni quelle di esponenti del Partito democratico degli Stati Uniti per fare qualche nome, la deputata Ocasio Cortes e Bernie Sanders, il quale per la cronaca è ebreo. Queste personalità oneste e coraggiose dovrebbero essere in particolare uno stimolo per i politici dell’Unione europea per rompere la cortina di ipocrisia e di pavida retorica che li porta ad appiattirsi sulla propaganda menzognera dell’establishment israeliano che pretende uno statuto di impunità nei confronti di una politica fondata sull’illegalità brutale di un’oppressione che non può avere alcuna giustificazione.
Commenta (0 Commenti)Bologna verso le primarie. Sfida di sinistra del Pd anti-renziano: «Ecologista, femminista e solidale». Ok M5s
Sorpresa. Mentre a Roma l’effetto del governo Draghi sembra archiviare l’asse Leu-Pd-5 Stelle, a Bologna le primarie del centro sinistra riportano indietro le lancette e rilanciano un’alleanza tutta spostata a sinistra, sancita con tanto di firme su un programma comune.
Il candidato alle primarie del Pd bolognese, Matteo Lepore, ha siglato un accordo con Emily Clancy di Coalizione civica, la rete della sinistra che mette assieme Sinistra italiana, centri sociali e attivismo ambientale. La lista delle cose da fare in città per i prossimi anni assomiglia tanto a una sorta di impegnativo libro dei sogni rosso-verde: 5mila nuove case popolari senza consumare suolo ma usando il patrimonio inutilizzato; servizi educativi dai 0 ai 6 anni gratuiti e a gestione pubblica grazie al Recovery fund e allo stop (graduale) ai soldi pubblici comunali per le scuole private paritarie; trasporti gratis per chi studia; aumento dei consultori; creazione di un centro antiviolenza lgbt per dare concretezza alla futura legge Zan; un’ipotesi di ritorno del pubblico nella gestione idrica (a Bologna c’è la multiutility Hera); reinternalizzazione di parte dei servizi socio-educativi-sanitari.
Provvedimenti che magari non arriveranno subito, ma questo è l’orizzonte politico. «Bologna sarà femminista, ecologista, solidale: la città meno diseguale d’Europa», dice Emily Clancy: «Bologna può diventare la capitale nazionale dell’innovazione sociale. E indicare così la strada al resto delle coalizioni progressiste nelle altre città», ragiona Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana. Le proposte di Coalizione civica, che il dem Lepore ha assicurato di voler sostenere, saranno fatte proprie anche dal resto della coalizione: Articolo 1 e Emilia-Romagna Coraggiosa di Elly Schein, che potrebbero creare un’unica lista di sinistra proprio con Coalizione. Ci sarà anche il Movimento 5 Stelle, che ha già dato il suo appoggio a Lepore ma non dovrebbe partecipare alle primarie. «Non lasceremo la città a Renzi», dice la consigliera regionale 5 Stelle Silvia Piccini. Il primo banco di prova per l’alleanza bolognese sarà alle primarie del centrosinistra del 20 giugno, quando a sfidare Lepore ci sarà la «civica» Isabella Conti, appoggiata da una parte «ribelle» del Pd locale, dai centristi, e lanciata nell’agone del voto direttamente da Matteo Renzi.
Tra i punti fondativi dell’alleanza tra Lepore e Coalizione civica c’è anche lo stop al «Passante di Bologna», una grande opera da quasi due miliardi di euro. Se le primarie le vincerà Lepore con i voti decisivi di Coalizione civica, potrebbe essere una svolta per la storia della città dell’ultimo decennio. Fino a pochi mesi chi criticava il passante era bollato come un nimby, e l’amministrazione chiedeva procedure semplificate per fare partire i cantieri. Il sindaco Merola, impegnato nel supportare il suo delfino Lepore, ha congelato una delibera che avrebbe dovuto dare il via libera definitivo al progetto.
Un crinale sottile quello su cui si stanno incamminando Coalizione Civica e Lepore. Intanto dovranno intendersi bene tra di loro. Per Lepore l’opzione zero (non si fa nulla) sul Passante non è contemplata, per Coalizione civica ancora sì. Al momento si parla di un passante riprogettato, capace in futuro di alimentare con energia solare le auto elettriche tramite apposite corsie ad induzione, come sarà sperimentato sull’A35 in Lombardia. In attesa di capire che fare concretamente, partiranno una serie di tavoli e commissioni tecniche. Ci sono anche le pressione esterne.
C’è chi il passante lo vuole comunque: sindacati, imprese, il Presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e lo stesso Pd bolognese. E c’è chi il passante non lo vuole, come i comitati che si battono contro il «mostro di cemento». Una sfida difficile per Coalizione civica, che però ci crede e prepara assieme a Lepore iniziative elettorali in tutta la città per spiegare punto per punto il programma.
Commenta (0 Commenti)La presa di posizione. Con un post Facebook e delle foto con i cartelli, ragazzi e ragazze italiani di religione ebraica prendono la parola contro l'occupazione Israeliana e gli sfratti di Sheikh Jarrah
Siamo un gruppo di giovani ebree ed ebrei italiani. In questo momento drammatico e di escalation della violenza sentiamo il bisogno di prendere la parola e dire #NotInOurNames, unendoci ai nostri compagni e compagne attivisti in Israele e Palestina e al resto delle comunità ebraiche della diaspora che stanno facendo lo stesso.
Abbiamo già preso posizione come gruppo quest’estate condannando il piano di annessione dei territori della Cisgiordania da parte del governo israeliano e il nostro percorso prosegue nella sua formazione e autodefinizione.
Diciamo #NotInOurNames: gli sfratti a Sheikh Jarrah e la conseguente repressione della polizia gli ultimi episodi repressivi sulla Spianata delle Moschee il governo israeliano che pretende di parlare a nome di tutti gli ebrei, in Israele e nella diaspora i giochi di potere (di Netanyahu, Hamas, Abu Mazen) che non tengono conto delle vite umane i linciaggi e gli atti violenti che si stanno verificando in molte città israeliane il bombardamento su Gaza il lancio di razzi indiscriminato da parte di Hamas la riduzione del dibattito a tifo da stadio l’utilizzo strumentale della Shoah sia per criticare che per sostenere Israele le posizioni unilaterali e acritiche degli organi comunitari ebraici italiani gli eventi di piazza organizzati dalle comunità ebraiche con il sostegno della classe politica italiana, compresi personaggi di estrema destra e razzisti la narrazione mediatica degli eventi in Medio Oriente che non tiene conto di una dinamica tra oppressi e oppressori qualunque iniziativa e discorso che veicoli rappresentazioni islamofobe e antisemite
La situazione attuale rappresenta l’apice di un sistema di disuguaglianze e ingiustizie che va avanti da troppi anni: l’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi e l’embargo contro Gaza incarnano l’intollerabile violenza strutturale che il popolo palestinese subisce quotidianamente. Condanniamo le politiche razziste e di discriminazione nei confronti dei palestinesi.
All’interno delle nostre società riteniamo necessaria ogni forma di solidarietà e mobilitazione, ma ci troviamo spesso in difficoltà. Pur coscienti che antisionismo non sia sinonimo di antisemitismo, osserviamo come un antisemitismo non elaborato, che si riversa più o meno consciamente in alcune delle giuste e legittime critiche alle politiche di Israele, rende alcuni spazi di solidarietà difficili da attraversare. Si tratta di una impasse dalla quale vogliamo uscire, per combattere efficacemente ogni tipo di oppressione.
*** Firmatari:
Aliza Fiorentino
Sara De Benedictis
Daniel Damascelli
Bruno Montesano
Teodoro Cohen
Micol Meghnagi
Michael Blanga-Gubbay
Susanna Montesano
Michael Hazan
Beatrice Hirsch
Giorgia Alazraki
Bianca Ambrosio
Alessandro Fishman
Tali Dello Strologo
Giulia Frova
Sara Missio
Alessandro Dayan
Ruben Attias
Keren Strulovitz
Enrico Campelli
Jonathan Misrachi
Yael Pepe
Claudia Pepe
Daniel Disegni
Sara Buda
Dana Portaleone
Ludovico Tesoro
Viola Gabbai
Edoardo Gabbai
Benjamin Fishman
Lorenzo Foà
Alessandro Foà
Giulio Ambrosio
Gaia Fiorentino
Joy Arbib
Nathan De Paz Habib
Joel Hazan
Tami Fiano
Emanuel Salmoni
[dall'intervista su La Stampa del 17/5] "Confronto preventivo e negoziare i contenuti"
Roma, 17 mag. (askanews) – Sulle riforme e i processi attuativi legati al Recovery Fund “le risposte” dal governo “non sono ancora arrivate. Il governo con noi il 5 di maggio si è impegnato ad un confronto preventivo prima che venissero presentati i decreti e che venissero prese le decisioni. Noi, con grande responsabilità, abbiano avanzato proposte su tutti i singoli temi: ci auguriamo di avere rapidamente delle risposte. Altrimenti dovremo valutare quali sono le iniziative più utili da mettere in campo per ottenere i risultati che ci aspettiamo. Noi vogliamo cambiare il Paese anche più del governo”. Così dalle pagine della Stampa il leader della Cgil, Maurizio Landini.
“Sul sistema di relazioni rispetto agli investimenti previsti dal Pnrr e le riforme che sono previste”, spiega “la nostra richiesta è che si determini un sistema che consenta un confronto preventivo rispetto alle scelte che vengono compiute e che ci sia una possibile negoziazione sulle riforme più importanti”. Tra queste, il sindacalista ricorda “la riforma fiscale, quella della pubblica amministrazione, le semplificazioni, salute e sicurezza sul lavoro”, “la patente a punti” alle imprese per concorrere negli appalti, “un protocollo sui temi dell’istruzione e della formazione”, ed “un investimento sulla scuola e sulla riapertura in sicurezza”. In ogni caso, sottolinea, sul Recovery “serve un confronto preventivo e la possibilità di negoziare i contenuti delle varie riforme, comprese le semplificazioni” e ” ci deve essere anche la possibilità di monitorare l’attuazione dei progetti: il piano ne prevede 190 e per questo abbiamo bisogno di conoscerli tutti in dettaglio.
“Un nuovo patto sociale, stile 1993? Rispetto al 1993 il problema non è la pace sociale. Serve una mediazione sociale sulle riforme da realizzare e occorre che i nuovi investimenti creino nuova occupazione. Per questo servono accordi sulle singole riforme, e accordi di merito che valorizzino il lavoro”, conclude Landini.
Sav/Int5
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