Crisi energetica. Gas e petrolio alle stelle. L'intervista ad Alessandro Volpi, docente a Pisa ed esperto in mercati finanziari
North Stream 2, gasdotto © La Presse
La denuncia della speculazione che gonfia i prezzi di gas e benzina non è contro ignoti, almeno secondo il professor Alessandro Volpi, docente universitario a Pisa ed esperto di storia dei mercati finanziati. Il suo ultimo libro: «Viaggio al termine della crisi», edito da Altreconomia.
Professor Volpi, come si forma il prezzo del gas?
Il prezzo del gas nel nostro Paese, così come definito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, per poco meno di metà dipende dagli «oneri di sistema», in buona parte costituiti da varie forme di prelievo fiscale che stanno determinando un forte gettito, data l’impennata dei prezzi. L’altra metà dipende dal prezzo della materia prima «gas», che a sua volta discende da vari fattori. Solo in parte dipende della domanda e dall’offerta reale, un prezzo in larga misura negoziato in alcuni «hub» fisici tra cui il più importante è quello di Amsterdam, il cosiddetto Ttf (Title tranfer facility, il mercato di riferimento per lo scambio del gas naturale con sede nei Paesi Bassi, ndr). Lì si definisce il prezzo originario dei contratti sottoscritti da compratori e venditori reali, quelli che hanno bisogno del gas. Tali contratti possono essere di natura giornaliera, come ha spinto a fare, sbagliando, la normativa europea, o di lungo periodo. Su questo piano, esiste un primo margine forte di speculazione: spesso il prezzo fatto dai venditori, che a loro volta hanno comprato dalle grandi compagnie internazionali, è molto più alto di quello che hanno pagato.
Questo elemento favorisce la speculazione?
Senz’altro, insieme a un altro non facilmente rilevabile, perché i contratti sono «segreti»: è certo però che negli ultimi mesi si è trattato di differenze molto alte fra prezzi d’acquisto e prezzi di vendita. Come accennato, tuttavia, i prezzi sul mercato reale sono solo un pezzo della determinazione del prezzo finale del gas su cui incide, pesantemente, la speculazione finanziaria fatta da fondi hedge, banche e altri operatori che di fatto scommettono sul prezzo definito all’hub di Amsterdam o su altri listini. Per dare un numero chiaro di un simile fenomeno, a marzo 2022, sono esposti sul gas del Ttf ben 218 soggetti finanziari, di cui 164 sono fondi apertamente speculativi, mentre i soggetti commerciali, quelli realmente interessati al gas, sono 134.
Come affrontare, oggi, questa situazione?
In presenza di una guerra che comporta una possibile riduzione nell’offerta di gas può partire una spirale di rialzo dei prezzi, in cui tutti scommettono sul rialzo del prezzo del gas e dunque il prezzo della materia prima e come conseguenza delle bollette si impenna. Un simile fenomeno avviene, peraltro, in mercati regolamentati con futures quotati come nel caso di Ice-Endex. In altre parole se paghiamo l’energia carissima, lo dobbiamo alla costruzione avvenuta in un ventennio circa di un perverso meccanismo finanziario. Peraltro è significativo che per abbattere le bollette il governo abbia già speso una ventina di miliardi e molti altri ne dovrà spendere, aumentando il debito pubblico. Senza mettere mano ai mercati dell’energia, limitandone l’uso ai soggetti che la vendono e la comprano realmente, sarà difficilissimo affrontare la crisi in cui siamo finiti. Va fermata la speculazione.
Sul prezzo della benzina valgono le stesse considerazioni?
Il prezzo della benzina, in costante ascesa e dunque componente importante dell’inflazione, dipende per circa il 60% da un prelievo di natura fiscale. Il restante 40% dipende dal prezzo della materia prima, a sua volta in larga parte legato a meccanismi speculativi. Il prezzo dei carburanti, infatti, non discende direttamente dal prezzo del barile di petrolio, ma dai prezzi dei carburanti definiti da una piattaforma-agenzia privata che ha sede a Londra e si chiama Platts, di fatto di proprietà di McGraw-Hill. È lì che operano i principali fondi speculativi del mondo, a cominciare da Barclays Global Investors, Goldman Sachs Asset Management, Vanguard Group, Deutsche Asset Management Americas, Barclays e Global Investor. Questi fondi quantificano il prezzo dei carburanti ogni giorno, attraverso scommesse sull’andamento dei prezzi che non dipende dall’offerta reale.
C’è un modo per intervenire?
Anche in questo caso, vanno bloccati i fondi speculativi e le banche d’investimento, che partendo dal dato reale determinano i prezzi prima sul mercato del petrolio e poi su quello dei carburanti, operando scommesse che hanno la forza di autoavverarsi. Su questi prezzi, chiaramente speculativi e distanti dalla realtà, interviene la filiera dell’industria petrolifera che può determinare una differenza, a volte non banale, tra quanto costano estrazione e produzione e il prezzo a cui i big di tale industria vendono alla rete distributiva che in genere ha poco margine. Quanto costa la benzina, dunque, dipende davvero poco da quanto petrolio è disponibile sul mercato. Con una domanda e un’offerta di circa 95 milioni di barili al giorno, il prezzo del petrolio è passato da 60 a 120 dollari e quello della benzina da 1,40 a oltre 2 euro al litro».
Quindi il governo italiano dove dovrebbe agire esattamente?
In sede Wto (Organizzazione mondiale del commercio) e nelle sedi delle autorità finanziarie per modificare la normativa sugli strumenti derivati, riducendo il numero degli operatori autorizzati a crearli, di fatto riportandoli alla loro natura originaria di assicurazioni contro i rischi del mercato reale. Come per i future sul grano, che dovrebbero essere creati solo da venditori e compratori fisici.