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Quirinale Il Capo dello Stato durante gli auguri alle alte cariche: «Democrazie insidiate dalle grandi società che concentrano capitali e sfuggono alle regole». «Chi opera nelle istituzioni deve rispettare i limiti del proprio ruolo, senza invasioni di campo e contrapposizioni. La Repubblica vive di questo ordine». «Sostenere il pluralismo nell’informazione non affidandosi soltanto alle logiche di mercato»

Il Presidente Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per lo scambio degli auguri di fine anno con i Rappresentanti delle Istituzioni foto Paolo Giandotti Sergio Mattarella

Di fronte alla tante «faglie» che minano il tessuto politico e sociale delle nostre democrazie, Sergio Mattarella lancia un messaggio ai chi ricopre cariche istituzionali. Richiama il «senso del dovere che richiede a tutti coloro che operano in ogni istituzione, di rispettare i limiti del proprio ruolo. Senza invasioni di campo, senza sovrapposizioni, senza contrapposizioni». E «a prescindere dalle appartenenze politiche». «La Repubblica vive di questo ordine. Ha bisogno della fiducia delle persone che devono poter vedere, nei comportamenti e negli atti di chi ha responsabilità, armonia tra le istituzioni».

MATTARELLA PARLA DAVANTI alle più alte cariche dello Stato per i tradizionali auguri di fine anno nel salone dei corazzieri. E, senza allarmismi che non sono nel suo dna, descrive un’Italia esposta a molti rischi, che derivano dalle guerre che «seminano in profondità paura, divisione e odio» (per questo occorre «riaffermare con forza e convinzione le ragioni della pace»), ma anche dalle polarizzazioni e dalle divisioni che limitano lo spazio «del dialogo e della mediazione», portano a una «radicalizzazione che pretende di semplificare escludendo l’ascolto e riducendo la complessità alle categorie di amico/nemico».

«Si rischia che non esistano ambiti tenuti al riparo da questa tendenza alla divaricazione incomponibile delle opinioni», avverte il Capo dello Stato, che cita i conflitti sui vaccini e sui cambiamenti climatici come esempi di temi su cui lo scontro non riesce ad approdare ad una «serena riflessione comune». Di qui l’invito a chi esercita le maggiori responsabilità in campo istituzionale, ai governanti che devono tenere conto di come il tasso di astensionismo stia indebolendo la democrazia, fino al rischio di «una democrazia senza popolo e di fantasmi».

PER IL PRESIDENTE L’ANTIDOTO a questi rischi non è solo la «stabilità» dei governi e neppure la crescita dell’occupazione. Ma ritrovare «spirito di servizio. passione civile, senso del dovere». Una «miniera di valori» che il Capo dello Stato non si limita ad evocare in senso astratto. Ma che richiama citando esempi, dai sindaci ai militari dell’Unifil in Libano, a tante espressioni della società civile. Il monito alle alte cariche è di «poter essere all’altezza delle nostre responsabilità. Di riuscire a farvi fronte con lo stesso impegno e la stessa fiduciosa determinazione con la quale tantissimi nostri concittadini, affrontando difficoltà, mandano avanti, ogni giorno, le loro famiglie e le nostre comunità».

IN PRIMA FILA GIORGIA MELONI ascolta: nel discorso del presidente, come ovvio, non ci sono riferimenti al comiziaccio di domenica ad Atreju, in cui la premier ha attaccato con veemenza molti avversari, compresi il leader della Cgil Landini e l’ex presidente della commissione Ue Romano Prodi. Ma è difficile dire che le orecchie non le siano fischiate quando il capo dello Stato ha esortato ad evitare la «costante ricerca di contrapposizioni» ricordando che «le istituzioni sono di tutti» e chiedendo «comportamenti» adeguati.

IL CAPO DELLO STATO, come già aveva fatto nel dicembre scorso, analizza anche altri gravi rischi che incombono sulle democrazie: quelli rappresentati dalla «concentrazione in pochissime mani di enormi capitali e del potere tecnologico, così come il controllo accentrato dei dati». Nel mirino non c’è solo Elon Musk «come ci si azzarda a interpretare», chiarisce. Ma tutti quei soggetti, pochi, «con immense disponibilità finanziarie, che guadagnano ben più di 500 volte la retribuzione di un operaio o di un impiegato. Grandi società che dettano le loro condizioni ai mercati e – al di sopra dei confini e della autorità degli Stati e delle organizzazioni internazionali – tendono a sottrarsi a qualsiasi regolamentazione, a cominciare dagli obblighi fiscali».

Mattarella torna a denunciare i rischi di questi soggetti che perseguono la ricchezza come «strumento di potere che consente di essere svincolati da qualunque effettiva autorità pubblica». Fino a sfidare il monopolio della forza e della moneta, architravi dello stato moderno che rischia di essere svuotato. L’unica «garanzia» rispetto alla crescita di questi poteri extrastatali è «la tenuta e il consolidamento delle istituzioni democratiche, unico argine agli usurpatori di sovranità». E se dentro le democrazie si insinua il dubbio su una loro presunta lentezza o inadeguatezza rispetto ai mutamenti della tecnologia e dell’economia, per Mattarella la riposta è una sola: «Bisogna amare la democrazia, prendersene cura».

Come? Evitando «conflitti e radicalizzazioni» che producono «una desertificazione del tessuto civile» che può lasciare «campo libero ad avventure di ogni tipo». E anche «sostenendo il pluralismo, nelle articolazioni sociali come nell’informazione», non affidandosi soltanto «alle logiche di mercato». Tutti i possibili destinatari delle sue parole erano presenti ieri sera al Quirinale. A partire da Meloni