A Roma e Firenze l’estrema destra contro il Giorno della Memoria
La Brigata Ebraica a Milano – La Presse
«Rottura tra ebrei e partigiani per il Giorno della Memoria». Sembra un titolo satirico e invece campeggiava sui giornali di destra che gongolano per la decisione delle comunità ebraiche di alcune città, sulla scia di quanto fatto a Milano, di non partecipare agli eventi in ricordo dell’Olocausto e del Porrajmos con l’Anpi. Una scelta incomprensibile anche agli occhi di diversi ebrei.
«L’ANATEMA scagliato dai portavoce delle comunità ebraiche contro l’Anpi nel Giorno della Memoria è un controsenso della storia, non rappresenta i valori dell’ebraismo italiano né la memoria dei partigiani ebrei caduti per la Liberazione del nostro Paese», ha scritto in un post il giornalista Gad Lerner, ricevendo insulti veementi contro la sua persona e contro l’associazione degli ex partigiani. Anche l’avvocato Luciano Belli Paci, figlio della senatrice a vita Liliana Segre (oggetto di odio on line per il suo impegno nel diffondere la memoria dei campi di sterminio nazisti), considera la mossa della comunità ebraica milanese «autolesionista».
L’avvocato premette in due interviste uscite ieri su Repubblica e Corriere di non essere membro della comunità ma di far parte del comitato provinciale dell’Anpi e, in quanto tale di aver «criticato molto le posizioni sull’Ucraina e su Israele e Palestina», tuttavia, ragiona Belli Paci «forse sarebbe stato meglio manifestare unità nel rispetto del Giorno della Memoria, le comunità ebraiche dovrebbero cercare amici non nemici».
UNA VISIONE SIMILE a quella di Emanuele Fiano, figlio di Nedo, sopravvissuto ad Auschwitz, ed ex presidente della comunità ebraica di Milano. «La memoria della Shoah deve essere onorata dalle comunità ebraiche sempre, a maggior ragione se invitati da altri che organizzano il ricordo, o che per statuto si occupano della memoria della resistenza e della deportazione», scrive sui social l’ex deputato dem, dicendosi in «completo dissenso» con la diserzione del suo successore, Walker Meghnagi. Anche a Bologna tra gli ebrei c’è chi accusa l’amministrazione comunale di «inventare un altro genocidio» e chi, come il presidente della comunità ebraica cittadina pensa che sia «escludibile sottrarsi, il Giorno della Memoria va onorato».
L’OMOLOGO DI Firenze, Enrico Fink, invece, sceglie di replicare la linea dettata dai milanesi. «Saremo sempre disponibili a partecipare a eventi e confronti ma non il 27 di gennaio, i tentativi di annacquare il Giorno della Memoria sono un favore ai negazionisti, ai fascisti, ai razzisti». «Negazionisti, fascisti e razzisti» intanto sfilano per Firenze anche oggi, invitati dalla sigla di estrema destra Lealtà-Azione per «omaggiare i giovani fascisti fucilati dalla barbarie alleata». L’Anpi provinciale ha scritto al questore Fausto Lamparelli pregandolo di non cogliere «la provocazione alla nostra città da parte di un gruppo nato negli ambienti naziskin», seguita dall’amministrazione cittadina e da Pd e Avs, uniti nel parlare di «oltraggio a Firenze».
ANCHE A ROMA c’è tensione per l’adunata dei nazionalisti europei organizzata da Roberto Fiore di Forza Nuova, anche presidente dell’Alliance for Peace and Freedom (Apf). L’hotel vicino alla stazione Termini in cui avrebbe dovuto avere sede l’iniziativa ha declinato l’affitto della sala, ufficialmente «a causa di un guasto al centro congressi». Una motivazione che può sembrare risibile ma comprensibile in tempo di minacce. Questo non ha però fermato i gruppi antisemiti che si sono ieri riuniti vicino Viterbo e oggi si ritroveranno nella sede di Forza Nuova nel quartiere Tuscolano (a qualche centinaia di metri da via Acca Larenzia). Presenti i franchisti Gonzalo Martin e Pedro Chaparro (Democracia Nacional) e Manuel Andrino (Falange), Claus Cremer del partito neonazista tedesco Heimat, Ivan Benedetti e Pierre-Marie Bonneau de Les Nationalistes, gruppo francese antisemita e negazionista dell’Olocausto, il greco Christi Dimitru (Noua Dreapta), i suprematisti del Party of Serbian Nationalist Misha Vacic, Pavle Bihali, Goran Davidovic e Hassan Sakr (Ssnp). «Non possiamo dire cosa stiamo dicendo o facendo – comunicano – perché il questore, con un provvedimento urgente, lo ha proibito pena l’arresto per Roberto Fiore», (condannato per l’assalto alla sede della Cgil del 9 ottobre 2021, ndr).
DOPO LE PRESSIONI dell’Anpi e dei partiti di centro sinistra, che chiedevano di vietare il raduno «pericoloso per l’ordine pubblico, potenzialmente eversivo», la Questura di Roma ha fatto sapere che «non sussistendo presupposti di legge idonei ad intervenire sullo svolgimento della riunione in luogo privato, è stato adottato un provvedimento teso ad evitare che, nelle fasi di afflusso e deflusso, si tengano comportamenti apologetici o offensivi del sentimento della memoria». Intanto gli estremisti di destra passeggiano per la Capitale, Medaglia d’Oro per la Resistenza, «per approfittare del vento che percepiscono favorevole», come ha sottolineato l’Anpi.
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Stupri, scariche elettriche, gabbie, atti di sadismo: sono le accuse della Corte penale internazionale al generale libico Elmasry che l’Italia ha liberato e riaccompagnato a casa. Ma per Meloni, che rompe il silenzio dopo la scarcerazione, «ci vogliono chiarimenti»
PIÙ CHIARO DI COSÌ Dopo un lungo silenzio, la premier interviene sulla vicenda libica ma invece di dare chiarimenti li pretende dalla Corte penale
«Manderemo i chiarimenti» alla Corte penale internazionale ma «ne chiederemo a nostra volta, anche sulla base delle interrogazioni che sono state presentate». Dopo un silenzio durato troppo più del dovuto, Giorgia Meloni, a Gedda, in Arabia Saudita, trova il tempo di spendere due parole sul caso di Osama Najeem Elmasry, il capo degli aguzzini libici del carcere di Mitiga ricercato dalla Cpi e arrestato a Torino una settimana fa prima di essere rispedito frettolosamente a Tripoli a bordo di un aereo di Stato italiano. «Credo che anche la Corte debba chiarire perché la procura ci abbia messo mesi a spiccare questo mandato di arresto e perché il mandato di arresto sia stato spiccato quando Elmasry aveva già attraversato almeno tre nazioni europee e lasciava la Germania per andare verso l’Italia», aggiunge la premier. In ogni caso, precisa secca Meloni, il ricercato «è stato liberato sulla disposizione della Corte d’Appello di Roma, non sulla disposizione del governo».
MA A BEN GUARDARE, molte delle spiegazioni che la premier chiede sono già contenute nelle carte dell’inchiesta. Sul responsabile della polizia giudiziaria libica, infatti, pendono dodici capi d’accusa per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il 18 gennaio scorso, un giorno dopo essere stati avvisati della presenza dell’uomo in Germania, i procuratori Karim Khan, Nazhat Shameem Khan e Nicole Samson hanno deciso di far accelerare il fascicolo aperto a suo carico il 2 ottobre, ottenendo dalla corte presieduta dai giudici Iulia Motuc, Sophie Alpini-Lansou e Maria Socorro Flores Liera un mandato di cattura.
L’atto d’accusa della Cpi è lungo 36 pagine e qui si circostanzia che, con ogni evidenza, tra il 15 febbraio del 2015 e il 2 ottobre del 2024, Elmasry – «Mr Najeem» per gli investigatori – ha picchiato, torturato, sparato, molestato sessualmente e ucciso i prigionieri del carcere di Mitiga. E se non lo ha fatto personalmente, ha ordinato agli agenti di farlo. I casi accertati dall’Aja sono 5.140.
La Cpi sostiene di essere in grado di provare numerosi episodi in cui gli “ospiti” di Mitiga – chi arrivava dai paesi dell’Africa sub-sahariana veniva definito «schiavo» e come tale
Leggi tutto: Nelle carte della Cpi tutte le «spiegazioni» sul caso Elmasry - di Mario Di Vito
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Dario Franceschini con Elly Schlein – Ansa
Un Franceschini in versione maoista («Per battere la destra meglio marciare divisi») scuota il dibattito nel campo del centrosinistra. Campo sì, perché di coalizione, a sentire l’ex ministro della Cultura, meglio non parlarne proprio. E ancor meno del suo potenziale perimetro, del candidato premier o di potenziali federatori. Molto meglio, come sta facendo Schlein, concentrarsi sui temi che interessano le persone, dalla sanità ai salari, e lasciare in un cassetto i dossier «politicisti».
FRANCESCHINI, IN UNA lunga intervista a Repubblica realizzata nel suo nuovo studio in una ex autofficina dell’Esquilino, a Roma, fa prova di «realismo». «Inutile pensare di poter rifare l’Ulivo con Conte, Renzi, Fratoianni e Calenda, quell’esperienza non tornerà». Troppe le differenze, e non solo sulla politica estera, pesano anche i veti reciproci. L’unica soluzione è un cartello elettorale, che permetta candidati comuni nei collegi uninominali, esattamente quello che non è stato fatto nel 2022.
Non sarà una passeggiata trovare quei candidati, e far sì che riescano a fare il pieno dei voti potenziali, ma sarà comunque più semplice che mettere in piedi una vera coalizione. Certo, ammette Franceschini, si rischia di perdere qualcosa in termini di credibilità della proposta di governo. In cambio si potrebbero evitare tre anni di discussioni «autolesioniste» sull’assetto della coalizione e sul potenziale leader. E impiegare questo tempo per concentrarsi sulle battaglie comuni, dentro e fuori il Parlamento.
A UNA PRIMA LETTURA, l’intervento dopo settimane di silenzio del potente capocorrente, tra i primi a sostenere Schlein al congresso del 2023, è suonato come una bocciatura della vocazione «testardamente unitaria» della segretaria. Ma fonti vicine a Franceschini spiegano che, invece, se il suo schema si concretizzasse, «Elly» avrebbe tutto da guadagnare. In primo luogo perché si fermerebbe la ricerca di federatori o papi stranieri da candidare a palazzo Chigi, quella sì una mossa ostile alla segretaria portata avanti da chi non crede che lei possa governare. Schlein potrebbe andare a elezioni alla guida del Pd e, dopo il voto, giocarsi le sue carte per andare al governo sulla base dei voti presi. E, stando ai numeri delle ultime europee, non dovrebbe avere tanti avversari in grado di impensierirla.
Lo schema, inoltre, non impedirebbe delle «cooperazioni rafforzate» tra alcuni partiti, e neppure l’elaborazione di proposte comuni da presentare agli elettori. Ma senza l’assillo di un programma di 300 pagine come quello dell’Unione del 2006. Franceschini fa anche un passo in più: mette una zeppa sul progetto (per ora solo minacciato) di una fuoriuscita dei cattolici dal Pd verso una forza centrista: «Non possiamo che restare in una forza progressista, come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli».
C’è anche un velato invito a Forza Italia ad affrancarsi da Meloni: «Con una legge proporzionale sarebbe arbitra dei governi per vent’anni, hanno in tasca il biglietto della lotteria ma non lo sanno». Ma da Fi ribattono: «Stiamo bene dove stiamo».
DAL NAZARENO OSTENTANO tranquillità. Schlein ieri era con i lavoratori davanti al petrolchimico di Marghera, oggi sarà davanti a un ospedale di Vicenza e poi alla commemorazione di Giulio Regeni a Fiumicello e questo resterà il suo stile di fronte a discussioni e fibrillazioni dentro il partito e la (presunta) coalizione. «Il Pd è un partito che discute, ogni contributo è utile», spiegano i suoi, assicurando che «non c’è nulla di ostile nelle parole di Dario» che, anzi, ha lodato i risultati della segretaria.
NON È AFFATTO SCONTATO però che Schlein aderirà all’idea di un semplice cartello elettorale, del «marciare divisi per colpire uniti». Chi le ha parlato assicura che, invece, «nei prossimi due anni continuerà a cercare di coinvolgere tutte le opposizioni in battaglie comuni contro le destre». Su sanità, scuola, salari, politiche industriali. E di sicuro, dicono, farà di tutto per presentare alle prossime politiche il fronte più unito possibile contro Meloni. Nella peggiore delle ipotesi anche un cartello elettorale sul modello francese, un barrage per contendere quanti più collegi possibili alla destra.
IN CASA 5S SORRIDONO. Una linea «assolutamente compatibile» con quanto emerso dalla nostra assemblea di novembre, in cui i 5s si sono definiti «progressisti indipendenti», fanno sapere dal quartier generale di Campo Marzio. «Ci si può lavorare».
Diversa la reazione di Angelo Bonelli di Sinistra-Verdi: «Caro Dario no, non sono d’accordo», spiega. «Per marciare divisi servirebbe un sistema proporzionale puro e non mi sembra che la destra lo voglia». E poi «un minimo comune denominatore con cui presentarsi alle elezioni e battere la destra serve. È quello che abbiamo fatto alle regionali in Sardegna, Umbria, Emilia. E quello su cui lavoreremo per le prossime regionali che ci attendono. Perchè lo stesso schema non deve valere per le politiche? Il tempo delle maggioranze variabili e dei governi tecnici è finito».
Calenda invece definisce la proposta di Franceschini «intelligente e realistica». «Oggi la linea politica di Azione, Pd, 5S e Avs è troppo diversa per portare ad una coalizione credibile».
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Incubo americano La tremenda immagine scelta dalla Casa Bianca: una fila di illegali sale sul cargo militare
La foto scelta dalla Casa Bianca sui suoi social ufficiali per comunicare l’inizio della grande deportazione. Diffusa dalla portavoce Karoline Leavitt
La Casa Bianca ha pubblicato sui suoi canali social la foto di una fila di migranti ammanettati e in catene mentre vengono imbarcati su un volo cargo militare, con il messaggio:“I voli di espulsione sono iniziati. Promessa fatta, promessa mantenuta”. Il volo è poi partito per il Guatemala.
La foto sarebbe stata scattata alla Biggs Army Airfield, la base militare di Fort Bliss, a El Paso, in Texas, dopo che l’Immigration and Customs Enforcement (Ice) ha effettuato in tutti gli Usa 308 arresti di «criminali immigrati illegali» che sono stati deportati dagli Stati Uniti nel corso di un’operazione di massa. Diffusa dall’addetta stampa della Casa Bianca Karoline Leavitt, l’immagine è stata pubblicata dopo che il Pentagono ha confermato il primo dispiegamento di 1.500 militari sul confine – ma l’obiettivo di Donald Trump è quello di arrivare a diecimila. «Le espulsioni stanno andando bene», ha detto il tycoon al suo arrivo in North Carolina, dove era in visita ufficiale nelle zone alluvionate, e ha sottolineato che le autorità americane «stanno mandando via tutti i peggiori criminali».
IN REALTÀ non si sa bene chi siano le persone arrestate ed espulse. Il sindaco democratico di Newark, in New Jersey, Ras Baraka, ha dichiarato che gli agenti dell’Ice «hanno fatto irruzione in un locale arrestando residenti e cittadini senza documenti, senza esibire un mandato», e che uno degli arrestati durante il raid era un veterano dell’esercito statunitense che «ha subito l’umiliazione di vedere messa in discussione la legittimità della sua documentazione militare». Il senatore del New Jersey ed ex sindaco di Newark (dove ancora vive) Cory Booker ha detto di essersi già «rivolto al Dipartimento della sicurezza interna per avere delle risposte» e avere notizie delle persone arrestate nel raid.
LE ESPULSIONI sono prevedibilmente iniziate a partire dalle città-santuario che proteggono i migranti. e che sono
Leggi tutto: «Una promessa mantenuta». Usa, i primi migranti in catene - di Marina Catucci NEW YORK
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Il padrino Il presidente Usa detta la linea del nuovo «radioso» mondo del capitale. Abolizione del Green New Deal, fine delle «ingerenze» Ue
Il pubblico ascolta l’intervento di Donald Trump all'incontro annuale del World Economic Forum a Davos, in Svizzera – Ap
Trump ha accettato i copiosi complimenti e le congratulazioni a nome della «nuova età dell’oro» ora iniziata per gli Stati uniti e di riflesso quindi per il pianeta «irrorato di luce».
LUMINOSITÀ collettiva che poi, ovviamente andrà verificata nel dettaglio, dato che il racconto del nuovo radioso mondo del capitale fatto da Trump è risultato piuttosto a senso unico. Nella cosmologia trumpiana gli Stati uniti «riaperti e pronti a far business» sono inequivocabilmente al centro dell’universo plasmato dagli affari. Nello specifico il presidente ha descritto i suoi Usa come una sorta di zona economica speciale, un paradiso fiscale dove le aziende, libere da gabelle e normative e i requisiti ambientali del «ridicolo Green New Deal che ho abolito» potranno fiorire rigogliosamente.
«Buone cose accadranno a chi farà affari con noi», ha aggiunto Trump che ha annunciato l’abbassamento delle tasse industriali al 15% ed un ecosistema normativo dove grazie ai poteri conferitigli dalla dichiarazione di «stato di emergenza energetica», potrà «personalmente conferire i permessi necessari nel giro di una settimana».
Il miglior luogo per produrre da ora in poi sono gli Stati uniti, ha aggiunto, chi si ostinerà a non farlo soffrirà le conseguenze.
GLI STATI UNITI perseguiranno una aggressiva campagna di investimenti privati e Trump ha citato quelli di Oracle e Softbank nel progetto Stargate per l’intelligenza artificiale (già smentito però da Elon Musk), e ha parlato di 600 miliardi sauditi promessi da Mohammed Bin Salman («Facciamo 1.000 miliardi, che è più tondo»). Assieme ai dazi, parte del progetto di far finanziare agli stranieri la «rinascita americana».
Parlando come l’amministratore di una riorganizzata Usa Inc., Trump ha delineato invece le cose meno belle cui andrà incontro chi non starà
Leggi tutto: A Davos i cortigiani di Trump - di Luca Celada LOS ANGELES
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Donald Trump su uno schermo della sala del World Economic Forum di Davos
In attesa che Donald Trump si manifesti oggi in video-collegamento a Davos, il Commissario europeo per l’Economia Valdis Dombrovskis e la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde hanno chiarito ieri al forum mondiale dell’economia che si sta tenendo in Svizzera che l’Europa è pronta a partecipare alla guerra commerciale e a rispondere «in maniera proporzionata». «Gli Usa sono un importante partner strategico – ha detto Dombrovskis – ma è chiaro che siamo pronti a difendere i nostri valori e i nostri interessi se necessario».
UNO DEI PORTAVOCE della Commissione Ue, Olaf Gill, ieri ha esplicitato il contenuto polemico del confronto con gli Usa che, «pragmaticamente», è stato diluito nell’intervento di Dombrovskis, e in quello dell’altro ieri della presidente della commissione Ue Ursula von Der Leyen. Trump sostiene la «verità alternativa» per cui esiste un surplus commerciale europeo di 350 miliardi di dollari. «Non esiste – ha risposto Gill – Abbiamo quindi un surplus nel commercio di beni per noi e un surplus nel commercio di servizi. Non commenteremo le uscite del presidente Trump». Secondo il Census Bureau l’attivo europeo per il 2024 sarebbe stato di oltre 213 miliardi.
STA DI FATTO che i dazi sono dati per certi in uno scenario di guerra commerciale generalizzata. Per la presidente della Bce Lagarde Trump sta studiando misure «più selettive e mirate». «È un approccio molto scaltro – ha detto Lagarde – perché i dazi generalizzati non danno necessariamente i risultati che si attende. Ma questo non significa che non li avremo, nei prossimi giorni o settimane». Lagarde ha contestato la teoria che sta alla base dei ragionamenti di Trump. «Questa teoria della sostituzione, in cui abbasso le importazioni dall’Europa per aumentare la produzione interna negli Usa, è opinabile. L’idea che puoi fabbricare quello che non importi è qualcosa che richiederà un po’ di tempo».
LA PRESIDENTE BCE ha sollecitato l’Ue a partecipare alla «competizione» lanciata da Trump completando gli strumenti che la renderebbero un attore capitalistico più agguerrito. «Dobbiamo essere preparati – ha detto – Ma abbiamo ancora barriere nel mercato interno che bisogna eliminare. Abbiamo un enorme mercato, con tanti consumatori pronti a attivare il loro potere di acquisto e a usare i loro risparmi».
L’IDEA DI LAGARDE andrebbe verificata: gli alti tassi di interesse della Bce da lei diretta e l’inflazione hanno falcidiato il potere di acquisto, mentre i risparmi sono usati per sopperire alla crisi economica che morde. Probabilmente Lagarde, come la stessa von Der Leyen che ha evocato la stessa prospettiva l’altro ieri a Dav os, pensano ai grandi fondi di investimento che dovrebbero finanziare un mercato unico dei capitali. Un’idea condivisa nel piano sulla «competitività» commissionata dalla Commissione Ue a Mario Draghi.
LA GUERRA DEI DAZI potrebbe rialzare l’inflazione, Ciò potrebbe rallentare il percorso di riduzione dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve americana, A tale proposito ieri Lagarde ha lasciato intendere che la Bce proseguirà sul suo cammino. «È un problema loro» ha tagliato corto. Espressione brusca che dà l’idea del clima politico. In fondo anche le politiche monetarie, che sono un campo di battaglia nel nuovo conflitto inter-capitalistico. Se nel 2025 la Bce continuerà a tagliare i tassi di interesse come ha detto ieri Lagarde si dovrà comunque fare i conti con il dollaro che si va rafforzando. Trump potrebbe imbizzarrirsi con un euro debole che aiuta l’export europeo.
PEDRO SANCHEZ, il primo ministro spagnolo, ieri a Davos ha sferrato un attacco a tutto campo contro le Big Tech da X a Facebook, che si sono allineate all’estrema destra trumpiana. Hanno in mano uno «strumento di oppressione – ha detto Sanchez – Bisogna costringerli all’apertura della scatola nera dei social media e rendere personalmente responsabili gli amministratori delegati dei social media». Sanchez è l’unico europeo a sostenere queste elementari soluzioni che, insieme a una disciplina fiscale e antimonopolistica, servirebbero a spezzare l’arma del nuovo fascismo tecnologico del Capitale. Ai pari grado di Sanchez non passa per la testa che la plutocrazia che accompagna Trump possa essere colpita usando gli strumenti degli Stati costituzionali di diritto, per di più uniti. L’Europa è però uno spettro che pensa all’unione dei capitali e alla «competitività» senza avere i mezzi. Il ritiro di Trump dagli accordi sulla tassa «minima» delle multinazionali, che colpirebbe i suoi amici smanettoni, lo conferma. Su questo, come su altri fronti, l’Europa mantiene per ora un silenzio imbarazzato.
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