Campo largo L’ex ministro propone un’intesa solo nei collegi uninominali. Sì di 5s e Calenda, gelo di Avs. La proposta toglie di mezzo la caccia al «federatore». Schlein non commenta: «Ma non è una mossa ostile»
Dario Franceschini con Elly Schlein – Ansa
Un Franceschini in versione maoista («Per battere la destra meglio marciare divisi») scuota il dibattito nel campo del centrosinistra. Campo sì, perché di coalizione, a sentire l’ex ministro della Cultura, meglio non parlarne proprio. E ancor meno del suo potenziale perimetro, del candidato premier o di potenziali federatori. Molto meglio, come sta facendo Schlein, concentrarsi sui temi che interessano le persone, dalla sanità ai salari, e lasciare in un cassetto i dossier «politicisti».
FRANCESCHINI, IN UNA lunga intervista a Repubblica realizzata nel suo nuovo studio in una ex autofficina dell’Esquilino, a Roma, fa prova di «realismo». «Inutile pensare di poter rifare l’Ulivo con Conte, Renzi, Fratoianni e Calenda, quell’esperienza non tornerà». Troppe le differenze, e non solo sulla politica estera, pesano anche i veti reciproci. L’unica soluzione è un cartello elettorale, che permetta candidati comuni nei collegi uninominali, esattamente quello che non è stato fatto nel 2022.
Non sarà una passeggiata trovare quei candidati, e far sì che riescano a fare il pieno dei voti potenziali, ma sarà comunque più semplice che mettere in piedi una vera coalizione. Certo, ammette Franceschini, si rischia di perdere qualcosa in termini di credibilità della proposta di governo. In cambio si potrebbero evitare tre anni di discussioni «autolesioniste» sull’assetto della coalizione e sul potenziale leader. E impiegare questo tempo per concentrarsi sulle battaglie comuni, dentro e fuori il Parlamento.
A UNA PRIMA LETTURA, l’intervento dopo settimane di silenzio del potente capocorrente, tra i primi a sostenere Schlein al congresso del 2023, è suonato come una bocciatura della vocazione «testardamente unitaria» della segretaria. Ma fonti vicine a Franceschini spiegano che, invece, se il suo schema si concretizzasse, «Elly» avrebbe tutto da guadagnare. In primo luogo perché si fermerebbe la ricerca di federatori o papi stranieri da candidare a palazzo Chigi, quella sì una mossa ostile alla segretaria portata avanti da chi non crede che lei possa governare. Schlein potrebbe andare a elezioni alla guida del Pd e, dopo il voto, giocarsi le sue carte per andare al governo sulla base dei voti presi. E, stando ai numeri delle ultime europee, non dovrebbe avere tanti avversari in grado di impensierirla.
Lo schema, inoltre, non impedirebbe delle «cooperazioni rafforzate» tra alcuni partiti, e neppure l’elaborazione di proposte comuni da presentare agli elettori. Ma senza l’assillo di un programma di 300 pagine come quello dell’Unione del 2006. Franceschini fa anche un passo in più: mette una zeppa sul progetto (per ora solo minacciato) di una fuoriuscita dei cattolici dal Pd verso una forza centrista: «Non possiamo che restare in una forza progressista, come ci hanno insegnato Zaccagnini e Granelli».
C’è anche un velato invito a Forza Italia ad affrancarsi da Meloni: «Con una legge proporzionale sarebbe arbitra dei governi per vent’anni, hanno in tasca il biglietto della lotteria ma non lo sanno». Ma da Fi ribattono: «Stiamo bene dove stiamo».
DAL NAZARENO OSTENTANO tranquillità. Schlein ieri era con i lavoratori davanti al petrolchimico di Marghera, oggi sarà davanti a un ospedale di Vicenza e poi alla commemorazione di Giulio Regeni a Fiumicello e questo resterà il suo stile di fronte a discussioni e fibrillazioni dentro il partito e la (presunta) coalizione. «Il Pd è un partito che discute, ogni contributo è utile», spiegano i suoi, assicurando che «non c’è nulla di ostile nelle parole di Dario» che, anzi, ha lodato i risultati della segretaria.
NON È AFFATTO SCONTATO però che Schlein aderirà all’idea di un semplice cartello elettorale, del «marciare divisi per colpire uniti». Chi le ha parlato assicura che, invece, «nei prossimi due anni continuerà a cercare di coinvolgere tutte le opposizioni in battaglie comuni contro le destre». Su sanità, scuola, salari, politiche industriali. E di sicuro, dicono, farà di tutto per presentare alle prossime politiche il fronte più unito possibile contro Meloni. Nella peggiore delle ipotesi anche un cartello elettorale sul modello francese, un barrage per contendere quanti più collegi possibili alla destra.
IN CASA 5S SORRIDONO. Una linea «assolutamente compatibile» con quanto emerso dalla nostra assemblea di novembre, in cui i 5s si sono definiti «progressisti indipendenti», fanno sapere dal quartier generale di Campo Marzio. «Ci si può lavorare».
Diversa la reazione di Angelo Bonelli di Sinistra-Verdi: «Caro Dario no, non sono d’accordo», spiega. «Per marciare divisi servirebbe un sistema proporzionale puro e non mi sembra che la destra lo voglia». E poi «un minimo comune denominatore con cui presentarsi alle elezioni e battere la destra serve. È quello che abbiamo fatto alle regionali in Sardegna, Umbria, Emilia. E quello su cui lavoreremo per le prossime regionali che ci attendono. Perchè lo stesso schema non deve valere per le politiche? Il tempo delle maggioranze variabili e dei governi tecnici è finito».
Calenda invece definisce la proposta di Franceschini «intelligente e realistica». «Oggi la linea politica di Azione, Pd, 5S e Avs è troppo diversa per portare ad una coalizione credibile».