Stupri, scariche elettriche, gabbie, atti di sadismo: sono le accuse della Corte penale internazionale al generale libico Elmasry che l’Italia ha liberato e riaccompagnato a casa. Ma per Meloni, che rompe il silenzio dopo la scarcerazione, «ci vogliono chiarimenti»
PIÙ CHIARO DI COSÌ Dopo un lungo silenzio, la premier interviene sulla vicenda libica ma invece di dare chiarimenti li pretende dalla Corte penale
«Manderemo i chiarimenti» alla Corte penale internazionale ma «ne chiederemo a nostra volta, anche sulla base delle interrogazioni che sono state presentate». Dopo un silenzio durato troppo più del dovuto, Giorgia Meloni, a Gedda, in Arabia Saudita, trova il tempo di spendere due parole sul caso di Osama Najeem Elmasry, il capo degli aguzzini libici del carcere di Mitiga ricercato dalla Cpi e arrestato a Torino una settimana fa prima di essere rispedito frettolosamente a Tripoli a bordo di un aereo di Stato italiano. «Credo che anche la Corte debba chiarire perché la procura ci abbia messo mesi a spiccare questo mandato di arresto e perché il mandato di arresto sia stato spiccato quando Elmasry aveva già attraversato almeno tre nazioni europee e lasciava la Germania per andare verso l’Italia», aggiunge la premier. In ogni caso, precisa secca Meloni, il ricercato «è stato liberato sulla disposizione della Corte d’Appello di Roma, non sulla disposizione del governo».
MA A BEN GUARDARE, molte delle spiegazioni che la premier chiede sono già contenute nelle carte dell’inchiesta. Sul responsabile della polizia giudiziaria libica, infatti, pendono dodici capi d’accusa per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il 18 gennaio scorso, un giorno dopo essere stati avvisati della presenza dell’uomo in Germania, i procuratori Karim Khan, Nazhat Shameem Khan e Nicole Samson hanno deciso di far accelerare il fascicolo aperto a suo carico il 2 ottobre, ottenendo dalla corte presieduta dai giudici Iulia Motuc, Sophie Alpini-Lansou e Maria Socorro Flores Liera un mandato di cattura.
L’atto d’accusa della Cpi è lungo 36 pagine e qui si circostanzia che, con ogni evidenza, tra il 15 febbraio del 2015 e il 2 ottobre del 2024, Elmasry – «Mr Najeem» per gli investigatori – ha picchiato, torturato, sparato, molestato sessualmente e ucciso i prigionieri del carcere di Mitiga. E se non lo ha fatto personalmente, ha ordinato agli agenti di farlo. I casi accertati dall’Aja sono 5.140.
La Cpi sostiene di essere in grado di provare numerosi episodi in cui gli “ospiti” di Mitiga – chi arrivava dai paesi dell’Africa sub-sahariana veniva definito «schiavo» e come tale
utilizzato – sono stati picchiati con tubi di plastica, bastoni o a pugni. Chiusi in scatole di ferro, costretti a stare fermi in posizioni innaturali, torturati con scariche elettriche fino al folgoramento. Questo accadeva, e verosimilmente accade ancora, a persone detenute senza accuse o accusate di «comportamenti immorali». I pestaggi, le punizioni arbitrarie e le intimidazioni, poi, non erano solo tecniche da interrogatorio ma talvolta avvenivano «per far divertire le guardie». Un capitolo che arriva a riguardare le violenze sessuali, compiute anche su minori. Quando andava bene si trattava solo di essere toccati nelle «parti private», ma sono documentati anche casi di penetrazione con organi sessuali, altre parti del corpo e oggetti.
QUESTE LE INFORMAZIONI raccolte e attribuite alla diretta responsabilità di Elmasry. Dei tre giudici che hanno autorizzato il suo arresto, una – la messicana Socorro Flores Liera – ha espresso un’opinione dissenziente, cioè ha votato contro l’apertura della fase pre processuale del caso. Il suo parere, raccolto in sei pagine, non riguarda però le accuse al capo della polizia giudiziaria di Tripoli ma l’esistenza stessa del fascicolo sulla Libia: a suo dire, infatti, sarebbe passato troppo tempo dall’inizio dell’indagine su quel paese (era il 2011 e la vicenda arrivò all’Aja spinta dal Consiglio di sicurezza dell’Onu) e la situazione sarebbe ormai troppo diversa. Eppure, proprio ieri l’Unsmil, la missione dell’Onu in Libia, ha chiesto alle autorità di Tripoli di arrestare Elmasry.
Ad ogni modo, chi fosse Elmasry e quali fossero le accuse a suo carico erano particolari noti alle autorità italiane da sabato 18 gennaio, quando un funzionario dell’Aja si è recato all’ambasciata tricolore in Olanda per consegnare il fascicolo con le accuse. Per il governo è assolutamente impossibile, in questo quadro, sostenere di non averne saputo abbastanza o di aver avuto troppo poco tempo per decidere il da farsi. Pesantissimo è dunque il silenzio che il ministero della Giustizia ha indirizzato alla Corte d’appello di Roma nelle 48 ore in cui i magistrati hanno dovuto gestire il caso. E le spiegazioni dovranno essere fornite anche alla Cpi.
È la prima volta che un paese europeo non dà esecuzione a un mandato spiccato dall’Aja. Un precedente incredibile che potrebbe portare la Corte a deferire Roma davanti agli altri stati parte. L’arma non è di quelle più forti (al massimo si arriverà a una dichiarazione formale, e ci vorranno tempi lunghi e un certo numero di passaggi formali), ma il problema è che l’Italia finirebbe nel poco onorevole mucchio dei paesi che non rispettano la giurisdizione internazionale.