La Germania rialza il muro 350 sì e 338 no (su 693): il Bundestag boccia la stretta sui migranti Alice Weidel scioccata: «Il partito conservatore è imploso». Clamorosa vittoria, a tre settimane dalle elezioni, di Spd, Verdi e Linke
Il voto al Bundestag sul piano del leader della Cdu, Friedrich Merz, contro il diritto d’asilo – Ap
I franchi-tiratori della Cdu e di Fdp affondano la legge Merz. Nella sorpresa generale di tutti i leader politici, e contrariamente a ogni pronostico, il Bundestag respinge la proposta del leader cristiano-democratico di abolire il diritto di asilo per i migranti, blindare i confini ed estendere i poteri della polizia.
UNA CLAMOROSA VITTORIA di Spd, Verdi e Linke: le tre forze politiche del fronte anti-Afd si sono dimostrate in grado di convincere, all’ultimo momento, i deputati democratici degli altri partiti indisposti a offrire l’ennesima sponda istituzionale ai fascio-populisti. Non sono pochi i voti mancati al segretario della Cdu. Si è volatilizzato un quarto del sostegno dei liberali, come si era già intuito prima del voto con l’interruzione di tre ore della seduta parlamentare per mancanza di accordo fra Merz e Fdp, ma pesa anche la defezione di 12 parlamentari del gruppo Cdu-Csu, segno che il leader dell’Union non è riuscito, prima di tutto, a tenere i merkeliani risvegliati dalla critica di “Mutti” a Merz due giorni fa.
Scioccata Alice Weidel, cancelliera di Afd. Ha strabuzzato gli occhi di fronte al tabellone con l’esito del voto, in attesa di conoscere l’elenco del voto nominale che le ha sottratto l’ennesima vittoria che pareva a portata di mano fino a poche ore prima della votazione. Riesce a balbettare che «è una chiara sconfitta per Merz».
Ma è una porta in faccia anche per Sahra Wagenknecht, altrettanto pronta a offrire la stampella del Bsw alla legge Merz, salvo pochi malpancisti. Con 350 voti contrari e 338 a favore e 5 astenuti ha potuto fare ben poco nei confronti del sussulto bipartisan che ha scompigliato gli opposti schieramenti sulla norma anti-asilo. Al contrario della Linke, i cui voti invece sono stati vitali per dire nein a Merz.
IN UN CLIMA INFUOCATO come mai. A Berlino ieri si è scatenato il dibattito più feroce della legislatura con accuse, insulti reciproci e polemiche uscite dall’Aula. Cdu e Fdp contro Spd e Verdi; i Verdi e la Linke contro la Cdu, e il Bsw e Afd contro tutti.
È finita che «si sono tirati anzitutto indietro i liberali», come ammette a denti stretti Merz denunciando i 23 voti contrari e la marea di non votanti di Fdp. Non era negli accordi, conferma il vicepresidente di Fdp, Wolfgang Kubicki, per niente contento del tradimento di troppi suoi deputati: «Sono sbalordito dal loro comportamento di sicuro non aiuterà il nostro partito nella campagna elettorale. Prima del voto all’interno del nostro gruppo avevamo concordato che la legge della Cdu fosse corretta e necessaria». I liberali si sono spaccati: solamente 67 su 90 hanno seguito le indicazioni del segretario Christian Lindner, altro grande perdente della seduta di ieri che non è riuscito a gestire come avrebbe immaginato.
«Comunque, sono in pace con me stesso. Sono contento almeno di averci provato» si consola Merz, prima di lasciare a passo di corsa il Bundestag per volare verso Erfurt, capitale della Turingia e roccaforte di Afd guidata dal deputato di ultra-destra Bjorn-Höcke, dove il leader Cdu punta a raccogliere voti in vista delle urne del 23 febbraio.
Lascia un partito in subbuglio al punto che ieri, subito dopo la sonora bocciatura della legge, la direzione della Cdu-Csu ha inviato una mail con la spiegazione auto-assolvente a tutti i membri. «Abbiamo provato fino all’ultimo minuto a convincere il governo Scholz ad agire sull’immigrazione e oggi cercavamo una maggioranza nel centro democratico per una vera svolta sul diritto di asilo. Non è passata per colpa di Spd e Verdi».
NON UNA PAROLA sull’effetto Merkel, nonostante il libro di memorie dell’ex cancelliera svettasse fra i banchi del governo, in bella vista, come monito per chi volesse cambiare per sempre la storia della Cdu.
Mentre il capogruppo parlamentare della Spd, Rolf Mützenich, prende in giro (ma neanche tanto) il leader Merz: «Gli sono mancati tre dozzine di voti da questa nuova coalizione che ha voluto formare insieme ai suoi nuovi alleati di Afd. Ringrazio i deputati di Cdu e Cdu pronti a rifiutare di votare la sua legge sul diritto di asilo».
PEGGIO DI COSÌ per il candidato-cancelliere dei democristiani non poteva finire. Dopo avere incassato la mozione anti-migranti dal valore pressoché nullo approvata dal Bundestag tre giorni fa, si vede bocciare la legge fotocopia che sarebbe stata vincolante per il governo.
Commenta (0 Commenti)Niente da fare: per la terza volta i giudici smontano il «modello Albania». Ordinano di riportare in Italia e liberare 43 richiedenti asilo deportati fuori dai confini. A nulla serve cambiare la competenza delle corti. È la legge, ma per la destra è un altro complotto delle toghe
Riporto sicuro Tutti liberi i 43 richiedenti asilo di Bangladesh ed Egitto reclusi a Gjader. Dopo il terzo flop, saranno trasferiti a Bari. Partenza prevista per le 12 di questa mattina. I giudici di secondo grado hanno rinviato tutto alla Corte di giustizia Ue
Migranti sbarcano da una nave della Marina Militare italiana a Shengjin in Albania – Vlasov Sulaj/Ap
Cambiando l’ordine degli addendi non cambia il risultato: tutti i 43 richiedenti asilo rinchiusi nel centro di Gjader, 35 del Bangladesh e 8 dell’Egitto, tornano liberi. Stavolta il no ai trattenimenti è arrivato dalla Corte d’appello della capitale, dopo che il governo aveva sottratto la competenza alla sezione romana specializzata in immigrazione, che il 18 ottobre e l’11 novembre dell’anno scorso aveva deciso nello stesso modo. In questo caso le toghe capitoline hanno sospeso il giudizio rinviando tutto alla Corte di giustizia Ue.
UN PROVVEDIMENTO che si inserisce nella scia di rinvii pregiudiziali a Lussemburgo partiti dai tribunali di Bologna, Palermo e Roma e della sospensione del giudizio della Cassazione in attesa dell’udienza europea del 25 febbraio e poi della sentenza che dovrebbe arrivare entro la primavera. In tutti questi procedimenti la richiesta dei giudici nazionali a quelli comunitari è di chiarire se sia legittimo, ai sensi delle direttive Ue, considerare «sicuri» paesi che non lo sono per alcune categorie di persone.
Categorie che spesso includono migliaia e migliaia di persone, come in Egitto e Bangladesh. Lo dimostrano le relative schede paese redatte sulla base delle fonti qualificate e allegate al vecchio decreto interministeriale del maggio 2024. Schede che dovrebbero essere sostituite, secondo la nuova legge, da una relazione del Consiglio dei ministri da trasmettere alle competenti Commissioni parlamentari. Il termine per scriverla era il 15 gennaio ma, a quanto risulta da un’interrogazione presentata dal deputato di +Europa Riccardo Magi, la settimana scorsa risultava ancora «in via di definizione».
NELLA SUA DECISIONE la Corte d’appello richiama lo «specifico dovere», che la sentenza europea del 4 ottobre scorso attribuisce al giudice, di «verificare d’ufficio» la legittimità della designazione di «paese sicuro» da parte delle autorità governative. Cita anche l’ordinanza interlocutoria della Cassazione che, pur non
Leggi tutto: Albania, governo bocciato anche in Appello - di Giansandro Merli
Commenta (0 Commenti)I tagli agli italiani Mentre l’esecutivo piccona la magistratura l’economia è ferma e la Cig è alle stelle. Il sindaco di Napoli e presidente Anci Gaetano Manfredi: "Viviamo una storia già vista nel 2008-2013 [l’austerità]. Se vogliamo ripeterla è meglio che lo diciamo. È un film già visto
Mentre è impegnato a trasportare in Libia i torturatori dei migranti e a picconare la magistratura, il governo Meloni continua a mostrare un disinteresse rispetto alla crisi economica e sociale in corso in Italia. Si tratta di una scelta politica, accompagnata da un uso ideologico dei dati sull’occupazione, più attento all’aspetto quantitativo dell’aumento dei contratti a tempo indeterminato che alla qualità del lavoro svolto, ai salari e al loro potere di acquisto. Lo stesso accade sui dati sul crollo della produzione e del fatturato nell’industria o sull’aumento della cassa integrazione. Prevale, nel governo, la legge del «pilota automatico», quello dell’Europa che per le destre non è più matrigna, ma l’alibi usto per tagliare la spesa sociale, a cominciare da quella dei comuni.
QUELLO CHE È ACCADUTO ieri è stato un concentrato delle contraddizioni che avvolgono l’operato del governo Meloni. Verso le 10 l’Istat ha confermato le stime del prodotto interno lordo nel quarto trimestre 2024: per il secondo trimestre consecutivo il Pil è rimasto fermo. L’anno che si è chiuso da poco si è dunque chiuso con una crescita dello 0,5%, esattamente la metà di quanto previsto dal governo nel Piano strutturale di bilancio, più basso rispetto a quanto previsto nella Nota di aggiornamento a un farlocco Documento di economia e finanza (era lo 0,7%). Questo arretramento è evidentemente causato dalla crisi industriale: la produzione cala da 22 mesi consecutivi. Ieri l’Istat ha segnalato che il fatturato delle industrie sta calando da 20 mesi consecutivi.
È POSSIBILE, in queste condizioni, un rallentamento del mercato del lavoro cresciuto quantitativamente. Ieri l’Istat ha detto che era stabile a dicembre, ha confermato l’aumento del lavoro fisso e un calo di quello precario, ma anche il fatto che lavorano di più gli over 50 mentre gli under 29 e le donne sono i più penalizzati. Considerati insieme, e in prospettiva, questi fattori non lasciano al momento intravedere la possibilità di una crescita all’1,2% stimata dal governo per il 2025. Potrebbe essere invece della metà, o anche meno. Ciò influirà su una politica economica che procede a vista, per di più senza investimenti, a parte quelli in scadenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sempre che si riescano a spendere.
IL NUOVO SCONTRO avvenuto ieri tra l’Inps e la Cgil sull’interpretazione dei dati sull’aumento della cassa integrazione è stato un altro sintomo di una crisi resa invisibile dal governo. Per la Cgil le ore di cassa integrazione a dicembre 2024 sono aumentate: oltre 507 milioni, +20% rispetto all’anno precedente. C’è stato un balzo di oltre il 50% in Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Campania e Puglia.
DATI E SPIEGAZIONI diverse si sono lette nel report dell’Osservatorio dell’Inps secondo il quale il «mercato del lavoro è resiliente», la cassa integrazione è la prova di un «adattamento del sistema». «Quella dell’Inps è una lettura parziale e distorta della realtà – ha sostenuto il sindacato – Bisogna restituire la reale situazione dei lavoratori. Il fatto è che le crisi industriali stanno aumentando, il governo non ha una visione di politica industriale e gli ammortizzatori da soli non sono risolutivi». Lo scontro rivela un clima surriscaldato e un conflitto tutto politico sull’interpretazione dei dati. Un elemento, quest’ultimo, caratteristico di tutti i governi (ricordiamo quello Pd targato Renzi). Al tempo dei «fattoidi» di Trump, e delle nuove destre estreme, è la regola.
A PIAZZA DELLA PILOTTA, vicino alla Fontana di Trevi a Roma, ieri era in corso una conferenza sulla finanza e sull’economia locale di Ifel mentre l’Istat stava snocciolando i suoi dati. Tra l’altro c’è stato un confronto tra il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e il presidente dell’Anci e sindaco di Napoli Gaetano Manfredi a proposito delle conseguenze dei tagli agli enti locali (5,6 miliardi fino al 2029) disposti dalla legge di bilancio. Ad avviso di Giorgetti gli enti locali devono «collaborare» al conseguimento degli obiettivi della finanza pubblica, cioè realizzare i tagli o «accantonamenti di bilancio».
A GIORGETTI, Manfredi ha risposto che, data questa «traiettoria» della spesa pubblica (cioè l’austerità), «i comuni non saranno in grado di erogare neanche il livello di servizio attuale perché la capacità fiscale sarà saturata». «È una storia che abbiamo già visto nel 2008-2013. Se vogliamo ripetere questa storia è meglio che lo diciamo perchè già sappiamo quello che succede, è un film già visto». Stiamo vivendo in un remake, ma il governo non lo dirà.
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Ambiente Mancate bonifiche e sversamenti illeciti: a rischio la vita degli abitanti dei comuni tra Napoli e Caserta per l’inerzia delle autorità. Il ricorso è stato presentato 11 anni fa da 41 residenti e 5 associazioni
Giugliano, la protesta dei comitati che chiedono le bonifiche – Alessandro Barone / Pacific Press
Undici anni dopo la presentazione del ricorso da parte di 41 cittadini residenti in quel territorio e di 5 associazioni, la Corte europea per i diritti dell’uomo sancisce che le autorità italiane mettono a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, l’area tra le province di Napoli e Caserta inquinata per decenni dall’interramento e dai roghi di rifiuti speciali e nocivi e dalle discariche abusive. L’Italia ha ora due anni per introdurre misure che risolvano l’emergenza sanitaria e ambientale. La Corte ha riconosciuto un rischio di morte «sufficientemente grave, reale e accertabile» che può essere qualificato come «imminente». Alessandro Cannavacciulo è stato uno dei promotori del ricorso alla Cedu ed è tra i volti più noti dei comitati proliferati in quel territorio per chiedere interventi volti a contrastare gli inquinatori e a bonificare le aree già contaminate.
VIVE AD ACERRA, il comune che ospita il termovalorizzatore recentemente riaggiudicato dalla regione ad A2A. E dove abitano i tre fratelli Pellini: furono condannati in via definitiva per disastro ambientale al termine del processo Carosello, il quale accertò lo sversamento e l’interramento nelle campagne tra le province di Caserta e Napoli di un milione di tonnellate di scarti industriali provenienti da Veneto e Toscana. Cannavacciuolo è figlio e nipote di due pastori: il gregge, che si manteneva con il pascolo vagante nelle campagne acerrane, risultò contaminato da elevati livelli di diossina. «Sono stati abbattuti – racconta Alessandro – 3.000 animali. Ci fu riconosciuto un indennizzo di circa 250mila euro, ma non lo abbiamo mai incassato perché non c’erano i soldi e nel frattempo papà e mio zio si sono ammalati e sono morti entrambi di tumore». Alessandro è convinto che la malattia sia stata provocata dalle condizioni ambientali deteriorate di alcune aree di Acerra.
«RISPETTO AD ALLORA – racconta – certamente oggi sono aumentati i controlli sul territorio ma gli sversamenti abusivi non si sono fermati. I roghi ancora si verificano e, soprattutto, le bonifiche sono incompiute. Ad Acerra restano inquinati i terreni, per esempio, di Calabricito, Lenza Schiavone, Langiolla. Sono state dilapidate risorse». Cita un esempio: «L’impianto che avrebbe dovuto disinquinare l’acqua di falda è costato 5 milioni di euro e non è mai entrato in funzione. Ormai è uno scheletro, è stato rubato tutto il possibile».
L’ESPRESSIONE Terra dei fuochi alla quale fa riferimento anche la Cedu è ormai entrata nella Treccani e nei documenti ufficiali della pubblica amministrazione, compreso il decreto legge 136 del 2013, che prevedeva la mappatura dei terreni, indagini ambientali sui livelli di inquinamento e sanitarie sulla popolazione dei comuni (ne furono individuarti 90 all’epoca, 56 in provincia di Napoli e gli altri nella provincia di Caserta), inasprimento delle pene per chi fosse stato sorpreso ad appiccare i roghi e intensificazione dei controlli finalizzati a prevenire e contrastare gli sversamenti illeciti. Il copyright spetta a Peppe Ruggiero, che ha sfornato per Legambiente decine di rapporti sulle ecomafie: «Era il 2003 – ricorda – e qui in Campania il fenomeno dei roghi tossici era tutt’altro che ignoto.
C’ERANO STATE già alcune inchieste, c’era lo spettacolo indegno dei fumi densi e maleodoranti che si innalzavano nelle campagne del napoletano e del casertano. E c’era stata già la vicenda di Mario Tamburrino, il trasportatore che fu ricoverato in ospedale e rischiò di perdere la vista, contaminato dalle sostanze che fuoriuscirono dai fusti che stava illecitamente scaricando a Villaricca, in provincia di Napoli. Al di fuori della Campania, però, la faccenda era misconosciuta o comunque sottovalutata». E ancora: «Inventai quella espressione, Terra dei fuochi, che è stata poi utilizzata anche per descrivere altre situazioni critiche. C’è una Terra dei fuochi in Brianza come nella Taranto avvelenata dall’Ilva».
CONTINUANO oggi gli sversamenti abusivi? «Rispetto ad alcuni anni fa – risponde Anna Terracciano, un’archeologa che vive ad Acerra e fa parte del circolo locale di Legambiente – ci sono maggiori controlli. Continuano però ad essere abbandonati in alcune aree copertoni delle auto, scarti della industria tessile, amianto, residui delle autofficine. Cumuli e strisce di centinaia di metri da incendiare». Sono la testimonianza dell’economia grigia (o nera) che smaltisce illegalmente i propri scarti. Evasione più danno ambientale. Un copione che si ripete in tutta la Penisola. Il Pd e i 5S hanno invitato il governo ad agire, la Lega ha addossato il fallimento al governatore De Luca. Il quale ha taciuto, ma ha lasciato campo libero al suo vice, il fedelissimo Fulvio Bonavitacola: «È stata avviata un’importante azione di bonifica. Dovrà proseguire nei prossimi anni per la numerosità dei siti contaminati nel passato».
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«Non mollo di un millimetro, gli italiani sono con me». Tranne «chi rema contro» e i magistrati «che vogliono governare». Meloni non va in parlamento ma trasforma il caso Elmasry in un continuo comizio su di sé. Il salvataggio del torturatore libico era «difesa della nazione»
Atto voluto La premier si collega con la platea amica di Porro e sferra nuovi attacchi ai magistrati. Tajani rilancia l’accusa di alto tradimento
Non è un fatto personale. Non è per se stessa che Giorgia Meloni è furiosa. «Io non sono né preoccupata né demoralizzata. Sapevo a cosa andavo incontro. Ma è alla nazione che è stato fatto un danno e questo mi manda ai matti». La strategia pianificata in un paio di vertici di maggioranza, anticipata dalla premier nel messaggio social di due giorni fa, si dispiega e a guidare le danze è ancora lei. Si presenta in collegamento allo spettacolo di Nicola Porro «La Ripartenza 2025», una platea che chiamarla amica è poco, e riprende i contenuti di quel messaggio. Ma con parecchi decibel in più, passando al comizio furibondo e alla denuncia di alto tradimento. Questo sono il procuratore Francesco Lo Voi, i magistrati «politicizzati» e chiunque «remi contro»: traditori della Patria. Accoltellano alle spalle la nazione.
L’ATTO INVIATO dalla procura di Roma a lei e ai ministri Nordio, Piantedosi e Mantovano «è stato un atto voluto, non dovuto: le procure hanno discrezionalità. A chiunque nei miei panni sarebbero cadute le braccia». Colpa di «alcuni magistrati», ma non tutti per carità, solo «alcuni» che «vogliono decidere tutto, vogliono governare e allora si candidassero». La sfidassero nelle urne perché tanto lei «non molla di un centimetro», non finché «la maggioranza degli italiani è con me».
LA PREMIER SA TENERE un comizio. Sembra trascinata da ira e sdegno, in realtà è fredda. Tra un’accusa rovente e uno strillo assordante quasi nessuno si accorge che dalla narrazione è completamente sparito il “generale” Elmasry. Il fattaccio all’origine di tutta la faccenda semplicemente non c’è più. Si parla di tutto, e se non lo fa la premier ci pensa il vice Antonio Tajani, tranne che di quel di cui si dovrebbe parlare: la fuga pilotata del torturatore. Il chiasso serve a tenere sotto schiaffo la magistratura, in particolare quella che deve decidere sui trasferimenti in Albania. Ma serve soprattutto ad affossare quel che non avrebbe mai dovuto emergere. La complicità italiana con il criminale libico e anche gli immondi accordi italo-libici che spiegano la scelta di mettere subito al riparo Elmasry.
Della scandalosa liberazione almeno l’opposizione parla. Del memorandum italo-libico siglato dal governo Gentiloni-Minniti nel 2017, confermato nel 2020 dal Conte 2, quello giallorosso, ripreso paro paro dal governo di destra, invece no. Solo Riccardo Magi di +Europa chiede una commissione d’inchiesta e lo si può capire: il suo è il solo partito senza responsabilità dirette.
IL GOVERNO COMUNQUE ha tutte le intenzioni di mettere la sordina sul caso Elmasry. L’ipotesi del segreto di Stato è remota ma non
Commenta (0 Commenti)AGI0751 3 EST 0 R01 / == M.O.: due italiani fermati a Hebron, rilascio vicino = (AGI) - Roma, 30 gen. - Stanno per essere rilasciati l'ex deputata Luisa MORGANTINI e il giornalista del Sole 24 Roberto Bongiorni, fermati oggi a Hebron, in Cisgiordania. A quanto si apprende dalla Farnesina, i due si trovano in una stazione di polizia ma dovrebbero tornare liberi tra poco. Sempre secondo fonti diplomatiche, i due erano entrati senza autorizzazione in una zona militare. (AGI)Sab 301718 GEN 25 NNNN
Luisa Morgantini, già vicepresidente del Parlamento UE, presidente di AssoPace Palestina, notissima attivista in difesa dei diritti palestinesi, è stata arrestata dalle truppe occupanti israeliane. nei pressi di Hebron.
Con lei è stata arrestato un giornalista italiano del Sole 24 Ore, che lei, esperta conoscitrice del territorio, accompagnava per raccogliere materiale per un reportage sulle colonie (illegali, tutte) israeliane. L'accusa per loro e per le guide palestinesi è di avere violato una zona militare. Consiglio a tutti, al proposito, la visione del docufilm in programmazione in queste settimana, "No Other Land", che mostra come pezzi di terra palestinese vengano ogni giorno rubati, con la motivazione che proprio quel posto deve essere dichiarato "zona militare". Ci aspettiamo ora una mobilitazione (politica e mediatica) non inferiore a quella che, giorni fa, ha trasformato una sconosciuta giornalista di regime, in una icona della libertà. Il mondo "democratico e progressista" griderà "FREE LUISA!"?
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