Due giorni dopo l’entrata in vigore della tregua a Gaza, Israele trasferisce la guerra in Cisgiordania. Sotto l’egida di Trump che toglie le sanzioni Usa ai coloni, parte l’operazione «Muro di Ferro». Città isolate, Jenin colpita da aviazione e artiglieria. Almeno nove palestinesi uccisi
Far West Bank Netanyahu ha dato il via a una vasta offensiva militare che dalla città palestinese si estenderà a tutta la Cisgiordania: già 9 gli uccisi
Un attacco dei coloni israeliani nel villaggio cisgiordano di Jinsafut – Ap
Il colpo più devastante sul campo profughi di Jenin e varie parti della città è avvenuto nella prima ora dell’attacco israeliano. «All’improvviso sono apparsi in cielo elicotteri Apache e droni, sparavano su tutto. Sei (dei nove) uccisi sono stati colpiti nei primi quindici minuti, in gran parte civili», ci raccontava ieri al telefono Amer Nofal, 61 anni, residente nel centro di Jenin. «Quelli che erano in strada hanno cercato un riparo dalle mitragliate. Poi, dopo gli attacchi dal cielo, sono arrivati i blindati con i soldati. Quindi le ruspe militari, che come sempre, hanno distrutto strade e danneggiato edifici», ha aggiunto, sottolineando che «non è una operazione come le altre, è qualcosa di più grosso». Ha ragione Amer, quella che Israele ha lanciato ieri contro Jenin, città simbolo della resistenza palestinese all’occupazione, è una offensiva che si annuncia di vaste proporzioni. Di fatto è un il capitolo successivo della guerra a Gaza.
Benyamin Netanyahu l’ha chiamata «Muro di Ferro», in onore del manifesto ideologico del leader sionista, e suo modello di riferimento , Zeev Jabotinsky, che scrisse nel 1923 di una colonizzazione sionista in Palestina attraverso un «muro di ferro che la popolazione nativa non può violare…Non può esserci alcun accordo volontario tra noi e gli arabi palestinesi». È una esortazione all’uso sistematico della forza che ben si sposa con la guerra incessante che 102 anni dopo il premier da Gaza ora porta nella Cisgiordania occupata. «L’esercito, i servizi di sicurezza e la polizia di Israele hanno avviato oggi un’operazione militare – denominata «Muro di ferro» – vasta e significativa per combattere il terrorismo a Jenin…Agiamo in modo sistematico e deciso contro l’asse iraniano ovunque esso estenda le sue mani: a Gaza, in Libano, in Siria, in Yemen, in Giudea e Samaria (la Cisgiordana, ndr). E non finisce qui», ha comunicato l’ufficio di Netanyahu. Jenin, perciò, è solo l’inizio di una campagna militare che arriverà in altre città dove Israele vuole «sradicare il terrorismo» e continuare la «distruzione di Hamas».
A Jenin si vivono ore di tensione con l’esercito israeliano impegnato a «cercare ed eliminare» i combattenti palestinesi della Brigata Jenin (Jihad islami), di Hamas, Fronte popolare e altre formazioni. Ciò che hanno fatto per sei settimane fino a qualche giorno fa, le forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese in un vano quanto impopolare tentativo di affermare il potere di controllo del presidente Abu Mazen. Tra i 36 palestinesi feriti ieri a Jenin ci sono anche alcuni poliziotti dell’Anp (uno è grave) tornati nel campo profughi e nel centro della città sulla base di un accordo di riconciliazione con i gruppi combattenti. L’attacco israeliano ieri ha dimostrato l’irragionevolezza delle spaccature interne: l’occupazione era e resta la questione centrale nella vita di ogni palestinese. Oltre al campo profughi, le forze israeliane hanno preso d’assalto i
quartieri di Al-Jabriyat, Al-Hadaf e l’area dell’ospedale Al-Amal. Rinforzi sono giunti poco dopo ai checkpoint di Dotan e Al-Jalama, mentre droni ed elicotteri hanno continuato a sorvolare tutta la zona, Esplosioni e raffiche di mitra sono andate avanti per diverse ore. «Manca l’elettricità in varie zone, l’oscurità è rotta dai razzi illuminanti che guidano le truppe (israeliane) nei rastrellamenti. Il ronzio dei droni non ha soste», riferiva ieri sera Musa Natur, un profugo.
Le avvisaglie di «Muro di Ferro» si sono sentite domenica, con la scarcerazione di 90 palestinesi in cambio di tre ostaggi israeliani. Mentre Gaza rifiatava dopo 471 giorni di guerra, il capo di stato maggiore israeliano Herzi Halevy ha avvertito che sarebbero partite operazioni militari «preventive» di «attacchi terroristici in preparazione». All’improvviso i controlli sono stati irrigiditi ai posti di blocco dell’esercito, non pochi dei quali sono stati chiusi sigillando in città e villaggi gran parte della popolazione palestinese. Con la chiusura, interrotta a tratti, dei posti di blocco di Qalandiya, Jaba e Bet El, uscire da Ramallah è stato quasi impossibile e migliaia di palestinesi sono stati travolti da un caos totale ai valichi per Gerusalemme. I militari hanno alzato sbarramenti e posizionato blocchi di cemento sulle strade per decine di centri abitati piccoli e grandi. Ai palestinesi che ufficialmente risiedono a Gerusalemme, e che per ragioni economiche e mancanza di alloggi vivono in Cisgiordania, sono giunti messaggi sul telefono con l’ordine di rientrare nella città santa. I palestinesi temono una incursione nell’area di Kufr Aqab e Qalandiya, tra Gerusalemme e Ramallah. L’esercito ha arrestato dozzine di palestinesi nella notte tra lunedì e martedì, in particolare ad Azzun (Qalqilya). Nei video si vedono giovani a terra a pancia in giù e a camminare in fila con le mani in testa sorvegliati da soldati. Un corrispondente militare israeliano, Hillel Biton, ha commentato: «Questa non è Jabaliya, è Azzun. Ciò che stiamo vedendo qui è l’attuazione della politica del pugno di ferro approvata dal governo di cui vedremo l’applicazione in tutta la Cisgiordania nelle prossime ore e nei prossimi giorni».
Il capo di stato maggiore Halevy ieri ha annunciato le sue dimissioni per il 6 marzo, assieme al comandante della regione meridionale Yoram Finkelman, per il «fallimento del 7 ottobre 2023». Quindi sarà lui a guidare fino a marzo «Muro di Ferro». Ma il capo militare dietro le quinte sarà il ministro ultranazionalista delle Finanze, Bezalel Smotrich. Oppositore della tregua a Gaza, Smotrich dice di aver avuto da Netanyahu l’assicurazione che la guerra continuerà. La tv Canale 14 aggiunge che grazie alle pressioni del ministro delle Finanze sono stati approvati «cambiamenti secondo i quali la libertà di movimento in Cisgiordania è un diritto fondamentale, in primo luogo, per i coloni ebrei». E i coloni, forti anche della decisione di Trump di revocare le sanzioni Usa contro alcuni di essi, la «libertà di movimento» in Cisgiordania la stanno usando lanciando attacchi e raid contro i villaggi palestinesi dove danno alle fiamme edifici e auto e distruggono coltivazioni e alberi. L’esercito resta a guardare.