La politica di Bibi Netanyahu è davvero fondata solo sull’idea del grande Israele, parola la cui etimologia non è chiara, espressa nel Genesi, secondo cui la Terra ad esso promessa sia da identificare con ciò che Geova promise ai discendenti di Isacco figlio di Abramo? Mi dispiace per i culturalisti che ancora oggi si attardano a vedere ovunque guerre di religione, di civiltà, di valori (tra i quali il cinico Blinken), ma gran parte delle cause stanno altrove e ad esse fa in parte riferimento il sempre aggiornato Giacomo Gabellini. Ho già accennato al fatto che il cosiddetto Occidente collettivo ha avuto bisogno dalla fine dell’Impero ottomano di mantenere divisi gli arabi, di collocare uno Stato gendarme in Medio Oriente per ragioni strategiche ed economiche e soprattutto per contrastare la formazione di un Movimento panarabo aconfessionale a sfondo socialista, cui accordò la sua fiducia inizialmente anche l’Unione Sovietica. Per riassumere, la guerra dei sei giorni del 1967, che segnò la messa in crisi di vari regimi arabo-socialisti, e la Rivoluzione islamista in Iran del 1979 questo movimento, che aveva un carattere antimperialista e nazionalista, benché sia Nasser che Gheddafi si richiamassero ad un socialismo generico, fu sconfitto e sostituito dall’islamismo nelle sue varie forme.
A parere di Scott Ritter, ex ispettore delle Nazioni Unite, che considera Israele, violatore di 62 risoluzioni dell’Organismo internazionale, un nemico degli USA e il vero terrorista in questo gioco al massacro, in realtà le azioni militari contro Gaza non si dispiegano secondo un piano pensato dal corrotto Netanyahu, che vuole mettersi al riparo da gravi incriminazioni con riforme istituzionali.
Tuttavia, ora sono a disposizione nuove informazioni, che gettano luce su un progetto molto più preciso dietro l’invasione assai difficile da completare di Gaza, che si fonderebbe addirittura sulla riproposizione del cosiddetto canale di Ben Gurion, progettato segretamente dagli USA nel 1963 per collegare, passando attraverso Gaza appunto, il Mediterraneo orientale al golfo di Aqaba in antagonismo con il canale di Suez. Il canale si svilupperebbe dal porto di Eilat in Israele, attraverserebbe il Golfo di Aqaba, superando il confine giordano e dispiegandosi attraverso la Valle dell’Arabah prima di entrare nel Mar Morto e volgersi a nord verso la Striscia di Gaza. Questa notizia circola su vari media, ma il suo scopritore sarebbe il giornalista indipendente, Richard Medhurst ed è stata ripresa dall’economista spagnolo Lorenzo Ramírez, oltre che da Pepe Escobar. Il progetto era nato come risposta alla nazionalizzazione del Canale di Suez fatta da Nasser nel 1956 ed avrebbe avuto lo scopo di rafforzare il controllo marittimo e militare esercitato dagli USA e da Israele nel Medio Oriente.
Già nel 1993 il documento era stato declassificato, solo un mese fa Richard Medhurst lo ha saggiamente diffuso. Il nuovo canale, lungo circa 260 km., costruito facendo esplodere centinaia di bombe nel sottosuolo, consentirebbe ad Israele di controllare il Mar rosso, attenterebbe all’importanza geostrategica dell’Egitto, alleato della Russia, che perderebbe almeno la metà dei suoi introiti, e forse avvantaggerebbe l’Arabia saudita, armata sino ai denti dagli USA. Inoltre, cosa rilevantissima, metterebbe a rischio la costruzione della Via della seta, immaginata dalla Cina, le cui propaggini dovrebbero estendersi in quelle regioni. Questa grandiosa ipotesi è ovviamente in stridente contraddizione con il cosiddetto Corridoio del Medio Oriente (India-Middle East-Europe Economic Corridor) tirata fuori dal cappello da Biden per allontanare molti paesi dal progetto cinese e finora scarsamente finanziata; corridoio, che coinvolgerebbe anche l’India e persino il nostro disgraziato paese allontanatosi dai precedenti accordi con la Cina. Tuttavia, quest’ultima – non dimentichiamocelo – attraverso il Shangai International Port Group nel 2021 ha investito un miliardo e 700 milioni dollari nel porto israeliano di Haifa situato nel Mediterraneo, suscitando notevoli preoccupazioni negli USA.
Naturalmente l’ambizioso progetto del canale Ben Gurion, sulla cui fattibilità ci sono ancora molti dubbi, trova il suo principale ostacolo nella presenza dei palestinesi, dei quali ci si può disfare tranquillamente massacrandoli, – come sta avvenendo anche in questo momento –, costruendo il nuovo canale sui loro cadaveri disfatti oppure facendoli forzosamente emigrare. Anche l’Egitto e la Giordania, che finora a parole, anche se di fuoco, si sono schierati con i palestinesi, ma che hanno buone relazioni con Israele, non vedrebbero di buon occhio la realizzazione di questo progetto, perché i palestinesi scampati allo sterminio si riverserebbero nelle loro terre, accrescendo i problemi economici e sociali di questi paesi. Su questo aspetto, così scrive Gabellini: “pur di vincere l’irriducibile opposizione del Cairo, le autorità israeliane si sarebbero addirittura prodigate per organizzare un ambizioso piano volto a cancellare i debiti internazionali dell’Egitto attraverso la Banca Mondiale e l’Unione Europea. Ma a dispetto della critica situazione finanziaria in cui versa il Paese, l’Egitto si è opposto con forza”. Gabellini menziona la evidentemente non tanto strampalata ipotesi fatta da Ram Ben-Barak, ex vicedirettore del Mossad e parlamentare alla Knesset, che non ha avuto la vergogna di proporre di “ridistribuire” 2,5 milioni di palestinesi in un centinaio di paesi. I recenti viaggi di Antony Blinken, non tanto ben accolto, in Medio Oriente non hanno avuto come scopo – come ci propala anche il Sole24 ore - ottenere da Israele pause militari (ora ottenute ma a che pro? Per ammazzarli qualche giorno dopo?); si è certo preoccupato di impedire l’estensione del conflitto nella regione mediorientale, ma anche di convincere Egitto e Giordania ad accettare l’ipotesi del nuovo canale, naturalmente in cambio di qualche mancia sostanziosa, come per esempio l’importazione del grano ucraino da cui dipende il primo.
Il leader israeliano è giunto persino ad ipotizzare la creazione di un corridoio di pace e di prosperità che condurrebbe i palestinesi nel Sinai o in alcuni paesi mediterranei quali Spagna e Grecia, ed ha promesso di trasformare il suo paese nel maggiore esportatore di gas all’Europa, che ha masochisticamente rinunciato a quello russo, con gli effetti che conosciamo. Non ha detto, tuttavia, che in gran parte questo gas appartiene agli abitanti di Gaza, la quale sarebbe per di più trasformata in una zona per il turismo di lusso con grandi alberghi e magnifiche infrastrutture. Le risorse di gas scoperte si dislocano dalle coste israeliane (i giacimenti di Tamar e Leviathan) a quelle egiziane, quelle palestinesi sono state di fatto sequestrate nel corso della catastrofica operazione “Piombo fuso”, avvenuta nel periodo dicembre 2008 gennaio 2009.
Se il quadro qui tracciato è realistico, c’è da chiedersi ancora una volta: le due grandi superpotenze, USA e Cina, i cui presidenti si sono recentemente incontrati a San Francisco, troveranno il modo di di continuare a non confrontarsi direttamente, impedendo per ora a tutti noi di sprofondare in un abisso senza fondo?
* Alessandra Ciattini ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.