La rivalsa costituzionale targata Meloni
Innanzitutto focalizziamo l’attenzione sull’elemento centrale della “nuova” Costituzione, la sola cosa che interessa alla Presidente del Consiglio: l’elezione diretta (popolare dice la propaganda) del Capo (dell’esecutivo). Nelle promesse elettorali (definire programma qualcosa che è stato finora puntualmente e minuziosamente ignorato nell’azione concreta del Governo di Meloni sarebbe un insulto) FdI parlava di elezione diretta del Presidente della Repubblica ma Meloni si è presto convertita a quella del Presidente del Consiglio raccontandola così: per venire incontro alle “richieste delle opposizioni”. Ma di chi? Fare i nomi per favore, perché di trattative alla luce del sole non si è avuta notizia e l’unico che si è fatto avanti per trattare sembra essere il solito Renzi, porello, che però si lamenta di non essere stato consultato pur essendo disponibile; più che disponibile, pare piuttosto “a disposizione”.
La verità è che da un punto di vista parlamentare ha fatto la scelta più comoda: pochi articoli, apparente riformina puntuale (non è così che la volevate voi “vestali della Costituzione”?), senza toccare, dicono loro, il Presidente della Repubblica. Non certo per sommo rispetto per la più alta carica dello Stato e tanto meno per la persona o la storia politica di Mattarella (quanto di più lontano dal melonismo o dagli aborriti inciuci con i berlusconiani ed i postfascisti), ma solo per la sudditanza che hanno nei confronti dell’unica divinità pagana ancora venerata dalla politica decadente: l’idolo del sondaggismo.
La figura del Presidente della Repubblica, e non solo Mattarella, gode, infatti, da parecchio tempo nei sondaggi di grande favore, (e non sempre per motivi positivi dal punto di vista politico) ed allora diamogli pure una bella fregatura ma senza farcene accorgere, così di soppiatto, “senza toccare nemmeno uno degli articoli della Costituzione che lo riguardano direttamente” come dice la Meloni in persona personalmente (vedi il video iperpopulista diffuso a reti unificate da Palazzo Chigi).
Già, perché stabilire che lo scioglimento delle Camere è obbligatorio dopo il ripetuto voto di sfiducia di una di esse al Presidente del Consiglio acclamato dal corpo elettorale o la singola sfiducia al Presidente del Consiglio di seconda scelta, non significa privare il Presidente della Repubblica della sua prerogativa più importante per gestire i momenti di grave crisi politica e mediare fra Parlamento e Governo del Paese? No? Non basta questo a trasformarlo in un inutile notaio che prende semplicemente atto di quanto, non il popolo, ma il Capo eletto e poi cassato e la vituperata classe politica al potere hanno deciso?
Allora, il punto centrale della riforma è questo: nella forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione democratica
i cittadini eleggono il Parlamento. Scelgono i deputati e i senatori per la loro appartenenza politica (i partiti e le liste elettorali) e per le loro qualità personali (opinioni, competenze, esperienza). Il Governo si forma dopo le elezioni parlamentari, sulla base dei risultati elettorali conseguiti dalle varie liste (partiti e/o coalizioni) e sulla base delle trattative e degli accordi che intercorrono fra le varie forze politiche diretti a costruire, prima e dopo le elezioni, un programma per il Paese. È ciò che tipicamente avviene in un sistema caratterizzato da pluralismo politico, cioè da una molteplicità di partiti che non necessariamente sono riducibili ad una unica alleanza per governare e ad un'unica opposizione per contrastarla. Il Presidente della Repubblica svolge un ruolo fondamentale in questa fase, di consultazione e di coordinamento, nell’interesse supremo del paese e non di questa o quella forza politica (ed è questo che i cittadini sembrano, nei sondaggi, apprezzare). Il suo potere è in questa fase molto ampio, fino al punto di poter scegliere, interpretando le indicazioni degli elettori (il risultato delle elezioni) e le elaborazioni programmatiche dei partiti, il nome del Presidente del Consiglio incaricato. Poi i rappresentanti del popolo, il Parlamento, con il voto di fiducia lo investono del potere di governare.
Insomma c’è una chiara distinzione fra questi due organi costituzionali, Governo e Parlamento, ma non una separazione assoluta, l’azione di governo gode di una sua autonomia e quella legislativa del parlamento pure, ma il Governo la indirizza e può intervenire (l’iniziativa legislativa e ad. es i decreti legge) e l’azione di controllo del parlamento è costante fino a poter promuovere in ogni momento una mozione di sfiducia quando il rapporto fiduciario si rompe.
Che cosa accade passando ad una elezione diretta del Capo del Governo?
Innanzitutto richiamo la vostra attenzione sulla contestualità dell’elezione del Presidente del Consiglio con quella dei deputati e senatori. Addirittura la prima versione del DDL costituzionale prevedeva l’elezione “tramite un’unica scheda elettorale”. Che cosa accade quando un elettore deve “contestualmente”(cioè in un’unica tornata elettorale) dare 2 voti, uno per il Presidente del Consiglio e l’altro rispettivamente per il deputato e il senatore? Tralascio qui i problemi (giganteschi) che si pongono per redigere una legge elettorale (ne parlo dopo), ma è chiaro che non si aggiunge un bel niente al potere dell’elettore, perché o il voto al Capo si trascina dietro quello al parlamentare o viceversa, scelgo la lista e (fosse vero!) il mio rappresentante in Parlamento e allora son costretto a votare il capo designato dal partito (o dalla coalizione di partiti).
A meno di non prevedere la possibilità di voto disgiunto (per i sindaci c’è; non è forse questo nei sogni di Renzi e di qualche meloniano “il sindaco d’Italia”?) nella realtà non si aggiunge nulla al potere sovrano dell’elettore; non è per nulla “2 al prezzo di 1”, o scegli chi ti rappresenta in parlamento e così ti becchi il capo che ha designato il partito oppure ti accodi al plebiscito per un capo e mandi in parlamento qualcuno dei suoi famigli. Ma il voto disgiunto non è nelle previsioni del governo perché introdurrebbe un rischioso elemento di incertezza nel risultato elettorale con il rischio di un capo del governo maggioritario nel consenso personale ma non nel voto per il parlamento che si reggerebbe su una maggioranza parlamentare costruita grazie al macroscopico premio (al 55%) attribuito a partiti che hanno avuto meno voti di quelli di opposizione in una o in entrambe le Camere. Rischio non escluso del tutto anche in caso di divieto di voto disgiunto, a causa del possibile differente risultato fra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. In ogni caso una bella gatta da pelare per la futura legge elettorale!
Facciamo un piccolo quiz: quale di due alternative prima indicate vi sembra la più probabile?
Troppo facile! Già dai tempi di Berlusconi la semplice (ed abusiva) indicazione del leader sul simbolo di partito ha trasformato gradualmente il potere dell’elettore in qualcosa di simile a quello del pubblico della corrida. Per i giornali contava solo il leader vincente e spesso la stessa campagna elettorale finiva per essere tutta centrata sulle caratteristiche personali mentre di porcellum in rosatellum la possibilità di scegliere i propri rappresentanti veniva sequestrata col voto bloccato dai capipartito (quando non dai capibastone).
Insomma questa riforma è sommamente antiparlamentarista, indebolisce in ogni suo aspetto i poteri del Parlamento ed è fondamentalmente bonapartista, limitando il ruolo degli elettori ad un voto ogni 5 anni con strumenti di controllo politico estremamente evanescenti. Il potere di controllo del Parlamento infatti è svuotato dal ricatto immediato di scioglimento delle Camere e quello dell’opposizione è marginalizzato dall’impossibilità assoluta di rovesciare il governo e dall’irrilevanza di una rappresentanza minoritaria compressa dal premio di maggioranza imposto, a casaccio, per norma costituzionale.
Altro che stabilità dei governi! Qui l’obiettivo è la definitiva umiliazione del Parlamento e l’attacco al pluralismo politico attraverso la disintegrazione del potere dei rappresentanti dei cittadini elettori.
Quali cittadini potranno contare in un simile sistema? Quelli che appoggiano chi ha ottenuto la maggioranza dei voti plebiscitari, e, in realtà, solo quelli del partito che capeggia e, con molti problemi, quelli che si riconoscono nei suoi alleati. E gli altri? Chi non ha vinto perde gran parte del potere di controllo a livello parlamentare e sono soprattutto depotenziati o asserviti gli organi di garanzia, a partire dal Presidente della Repubblica per molti motivi che in seguito analizzeremo, ma in ogni caso perché organo di designazione parlamentare (Il Parlamento in seduta comune con i rappresentati delle Regioni) che si confronta con un organo di elezione popolare diretta.
Calano i controlli e i contrappesi, aumenta la concentrazione dei poteri, si conferma e si aggrava l’indebolimento del ruolo del Parlamento, si riduce la democrazia a un rito plebiscitario quinquennale. Non c’è che dire, non è un processo automatico ma la strada verso il modello delle autocrazie è spianata.
Alessandro Messina
21 novembre 2023