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Il volto della guerra Bare sul palco di Hamas e sacchi blu nelle fosse israeliane. Il dominio sulla vita e sulla morte - cosa e quando mangiare, dove e come vivere, in quali condizioni essere seppelliti - nell’occupazione e nella guerra tocca apici di disumanità che chi vive in pace non comprende. Va spezzato il circolo di disumanizzazione e colonialismo

A Gaza sedici mesi di orrori della necropolitica Palestinesi pregano prima della sepoltura dei caduti all'ospedale al Shifa di Gaza – Ap

Bare nere sul palco, uomini armati, una caricatura di Netanyahu vampiro. Hamas, in un macabro show, consegna i corpi di quattro ostaggi israeliani. Usa di nuovo un palcoscenico per parlare a Israele: siamo ancora qui, Netanyahu ha massacrato due popoli invano.

Importa poco: Hamas ha le uniformi stirate ma è debole, senza alleati, scaduta a guerriglia.

RESTA la spettacolarizzazione della morte e l’esposizione dei corpi. Va fatto uno sforzo per non cadere nella trappola tesa alla sensibilità occidentale da 16 mesi e 77 anni, ovvero che non c’è altro modo di leggere la società palestinese se non con il paradigma del selvaggio. Gli occhi di chi vive in pace e dignità non sanno cos’è la guerra, la riduzione del nemico a carne da macello, senz’anima né diritti. L’altro va disumanizzato per poterlo ammazzare.

Non è solo che ti rapiscono in casa o la casa te la abbattono con le bombe, con tutta la famiglia dentro. La guerra è la fame che costringe a mangiare cibo per animali, sono le esecuzioni sul posto, i soldati israeliani che nelle scuole-rifugio dividono uomini e donne e sparano in testa a chi non deve vivere. La guerra è il vilipendio dei corpi, lasciati a marcire per strada, sbranati dai cani.

È la riconsegna da parte di Tel Aviv dei cadaveri palestinesi senza nome, esumati dalle fosse comuni, stipati nei sacchi blu, mescolati, impossibili da riconoscere. È la «procedura mosquito», palestinesi usati come scudi umani tra le rovine delle case per cercare ordigni. A “lavoro” finito, sono giustiziati con un colpo alla schiena, come scrivono i giornali israeliani.

È il manuale della necropolitica, il potere – di Israele, di Hamas – che decide dei vivi e dei morti. È successo, succede ancora. Accade non solo a Gaza, perché la guerra è disgustosa. Ma va guardata con gli occhi di chi vive dentro lo sterminio per non fermarsi a uno sdegno lungo un’ora e a una disumanizzazione lunga per sempre.

IL DOMINIO sulla vita e sulla morte – cosa e quando mangiare, dove e come vivere, in quali condizioni di integrità e dignità essere seppelliti – nell’occupazione e nella guerra tocca apici di disumanità che chi ha il privilegio di scegliere (o pensa di poterlo fare) non comprende e scaccia con categorie semplici e inutili (il selvaggio), quando si dovrebbe spezzare il circolo di umiliazione e necropolitica coloniale.

Si può fare, con la politica e la giustizia. Con un processo che porti i due popoli sullo stesso piano, quindi in grado di riconoscersi prima come umani e poi come vicini. E riconoscendo le responsabilità dell’Occidente che a Israele garantisce armi e impunità. La via per l’imbarbarimento, la copertura morale al genocidio.