Condannato a otto mesi il sottosegretario Delmastro, che ha la delega alle carceri e vuole veder soffocare i detenuti. Per attaccare sulla giustizia il Pd ha svelato segreti d’ufficio. Dovrebbe dimettersi. Ma non lo farà perché per Meloni è una «condanna politica»
Ora aria Il sottosegretario ha violato il segreto del 41 bis. La procura aveva chiesto di assolverlo. La requisitoria tra fatti e dottrina: «Non ci sono state due testimonianze uguali tra loro». Per il pm mancava l’elemento soggettivo del reato. C’è anche un anno di interdizione dai pubblici uffici
Otto mesi di condanna e un anno di interdizione dai pubblici uffici. Questo il prezzo giudiziario che l’ottava sezione penale del tribunale di Roma ha stabilito per il sottosegretario Andrea Delmastro, colpevole di aver rivelato documenti segreti con le conversazioni tra Alfredo Cospito e altri detenuti al 41 bis del carcere di Sassari. Materiale che, il 31 gennaio del 2023, il deputato Giovanni Donzelli ha utilizzato in aula per attaccare la delegazione del Pd andata a far visita all’anarchico durante il suo lungo sciopero della fame, definendola come una specie di ponte tra il movimento libertario e la mafia. Un’assurdità politica mal sostenuta da documenti che dovevano restare riservati, anche perché il senso del «carcere duro», se ancora ne ha uno, è proprio quello di evitare che i detenuti possano comunicare con l’esterno.
LA SENTENZA è arrivata dopo un paio d’ore scarse di camera di consiglio e, soprattutto, dopo che il procuratore aggiunto Paolo Ielo aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato perché «il fatto non costituisce reato». Durante la requisitoria, andata in scena ieri mattina, la sostituta Rosalia Affinito aveva cominciato dicendo che il fatto sussisteva, e cioè che il segreto in effetti era stato rivelato, perché le carte con le conversazioni tra detenuti al 41 bis comunque erano uscite dal Dap e non ci sono mai stati dubbi sul fatto che fossero «a limitata divulgazione». Poi Ielo è intervenuto sul filo della dottrina: «Il segreto amministrativo è una materia complessa», ha ripetuto a più riprese il pm davanti ai giudici, ricordando che lui già aveva chiesto l’archiviazione per Delmastro, poi negata dal gip che ha disposto coattivamente il processo. Il punto, per Ielo, è che mancava l’elemento soggettivo del reato. «E questo lo dico perché faccio il pm e non sono l’avvocato dell’accusa», ha rintuzzato.
IN SOSTANZA Delmastro sarebbe incappato nel complesso giro delle «norme matrioska» che regolano il sottile confine tra documenti riservati, documenti segreti e documenti a limitata divulgazione: «Si tratta di un errore su norma extrapenale che ha prodotto un errore sul fatto». Da qui la richiesta di assolvere il sottosegretario perché il suo comportamento non avrebbe costituito reato. A queste parole il presidente Francesco Rugarli ha annuito, confermando l’antica credenza, diffusissima tra i processualisti, che quando un giudice fa segno di sì con la testa non è mai un buon segno per l’imputato. In effetti le tesi di Ielo lasciavano ampio spazio a una considerazione ulteriore: se il fatto sussiste ma
non costituisce reato vuol dire tutto sta nell’interpretazione del concetto giuridico di segreto. E se il giudice ne ha una diversa rispetto alla procura, la condanna è da ritenersi pressoché scontata. E così è stato. A Delmastro, in ogni caso, sono state riconosciute sia le attenuanti generiche sia la sospensione della pena (compresa l’interdizione). Respinte le richieste di risarcimento delle parti civili, cioè dei tre esponenti del Pd finiti nel mirino di Donzelli. Avevano richiesto 5 euro. Una cifra simbolica. «Avrebbero dovuto costituirsi anche la Camera, il Senato e il ministero della Giustizia», ha attaccato durante il suo intervento l’avvocato Mitja Gialuz.
DELMASTRO, con la sua ormai celebre scorta, è arrivato in tribunale a udienza appena cominciata e si è seduto di fianco al suo avvocato. Se n’è andato alla fine della requisitoria, senza nemmeno guardare in faccia i cronisti a caccia di sue dichiarazioni. A sentenza pronunciata, in compenso, sui social di Fratelli d’Italia è apparsa la versione ufficiale del partito: «Se tocchi il Partito Democratico finisci condannato? Nonostante la richiesta di assoluzione del pm, il sottosegretario Andrea Delmastro è stato condannato dal Tribunale. Il motivo? Aver condiviso con un collega dei documenti, non segreti e già rivelati dalla stampa, che mettevano in imbarazzo il Pd». Le cose non sono andate proprio così: la difesa di Delmastro durante tutto il processo ha insistito molto sulle notizie «già diffuse dalla stampa». Ma il pezzo di Repubblica che avrebbe dovuto provare questa tesi era successivo rispetto alle richieste di Delmastro al Dap sulle conversazioni di Alfredo Cospito in carcere. «In questa storia non ci sono mai state due testimonianze uguali», ha concluso Ielo.
GIÀ PERCHÉ tra email e appunti fatti partire dal Gom verso il ministero «a mezzo di un motociclista», le spiegazioni sul giro che hanno fatto i documenti non hanno mai convinto nessuno per tutta la durata del processo. «Spero ci sia un giudice a Berlino, ma non mi dimetto», il commento finale di Delmastro. Che di giudice comunque ne ha incontrato uno a Roma.