Bilancio Palazzo Chigi festeggia il recupero dall’evasione, gli alleati litigano su Irpef e rottamazione. La leader resta il collante tra Fi e Lega. I malumori azzurri li ha espressi Marina B.
Un frame del video diffuso sui social di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni, si sa, la si sente, rigorosamente senza contraddittorio o fastidiose domande, solo quando ha qualche successo da rivendicare. Ieri la «buona notizia da condividere» era il record nel recupero dell’evasione fiscale, 33,4 miliardi e niente da eccepire, è una cifra di tutto rispetto. Segue comizio di prammatica: «Ci accusano di aiutare gli evasori: tutte bugie. La nostra visione è chiara: niente spazio per chi fa il furbo ma chi è onesto e non ce la fa deve essere aiutato dallo Stato».
PER LA VERITÀ IL TASTO tasse nella destra è in questo momento di quelli da maneggiare con massima cura sennò esplode. Salvini vuole la sua pace fiscale di proporzioni colossali e non può arretrare o al congresso finisce che lo spennano. Tajani punta i piedi sulla riforma dell’Irpef. Meloni, come al solito sta nel mezzo. Non solo è l’unica che alla fine decide ma anche la sola che può tenere insieme due partiti, la Lega e Forza Italia, che senza di lei sarebbero già finiti ai materassi e agli agguati reciproci.
Cosa hanno in comune il partito che, con lettera autografa di Tajani, esorta la comunità in italiana in Germania a bloccare col voto i populisti neonazi di AfD e quello il cui leader si augura che i tedeschi «scelgano il cambiamento», cioè quei neonazi che l’alleato azzurro aborre? Cosa tiene insieme Fi, la cui azionista di maggioranza Marina B. Sospetta Trump di voler rottamare l’Occidente e Salvini che il tycoon lo vede sull’orlo del Nobel per la pace? Hanno in comune Giorgia ed è opportuno segnalare che le cose non stavano così quando la destra due anni fa vinse le elezioni. Da allora tutte le mappe sono cambiate, inclusa quella del centrodestra italiano.
Fingere che alla premier le cose stiano andando male vuol dire prendersi in giro da soli e abboccare al proprio wishful thinking. Per ora lo schema che ha adottato, sempre uguale che si tratti dell’Italia, dell’Europa o del mondo sta pagando. Stare nel mezzo. Imporsi come la sola figura in grado di tenere insieme visioni politiche e leader in carne e ossa che altrimenti sarebbero da divieto d’incontro: Salvini e Tajani, la destra europea e l’establishment di palazzo Berlaymont, le due sponde dell’Atlantico.
È UN GIOCO PERICOLOSO. Camminare su una fune implica per definizione il rischio di precipitare. È anche un gioco nel quale dare a ciascuno il suo, tenersi cioè in perfetta equidistanza, non è possibile. Forse prima o poi Meloni sarà costretta a una scelta aperta fra le realtà contrapposte tra le quali oscilla ma almeno in parte, senza dirlo, quella scelta già l’ha fatta e probabilmente proprio questo spiega l’intervento a gamba tesa, per lei molto inusuale, di Marina Berlusconi. La figlia del Cavaliere ha detto ad alta voce quel che Antonio Tajani, vicepremier e ministro, non poteva dire. Ha suonato la sirena d’allarme di fronte al progressivo spostamento del baricentro della destra italiana dalla parte della nuova destra che ha espugnato la Casa Bianca.
Alla vigilia del vertice di Parigi Meloni e Tajani avevano concordato il punto d’equilibrio: con l’Europa ma senza rompere con Trump. La premier la ha interpretata a modo suo, piegandola cioè molto più del previsto a favore di Washington. Ha fatto filtrare il suo scetticismo sulla formula voluta da Macron, con piena insoddisfazione del ministro degli Esteri. Ha parlato di Trump come di un presidente impegnato nella ricerca della pace, a fianco del quale l’Europa deve saper fare la propria parte. Si è schierata con Vance molto più di quanto non avesse già fatto pubblicamente, perché i valori che vale la pena di difendere sono quelli da lui illustrati, tra uno schiaffone affibbiato alla vecchia Europa e l’altro.
VA DA SÉ CHE A FI e alla potente famiglia che la mantiene questa torsione non piaccia affatto, come a Tajani piacerà poco la scelta probabile di puntare sulla rottamazione delle cartelle esattoriali. Ma gli azzurri hanno margine di gioco limitato. È anche chiaro che se l’Europa fosse in grado di procedere sulla strada indicata ieri da un Draghi ormai palesemente esasperato il gioco di prestigio della premier diventerebbe impraticabile. Ma così non è e nel vuoto prodotto da controparti inesistenti il gioco di Giorgia continua a pagare.