«Zelensky è un dittatore, un comico mediocre a caccia di soldi, si muova in fretta o non avrà più un paese…». Nel più clamoroso capovolgimento di fronte dal dopoguerra, Trump scarica il leader dell’Ucraina e la sua guerra. E insieme a lui, ottant’anni di politiche atlantiche
Usa e getta «Un dittatore, un comico mediocre, cerca soldi facili...»: poche ore dopo il vertice russo-americano di Riad, la Casa Bianca apre il fuoco. In un messaggio zeppo di falsità sul suo social Truth, il leader Usa getta via l’ex alleato
Volano gli stracci, tra gli Stati uniti di Donald Trump e l’Ucraina di Volodymyr Zelensky. In un completo capovolgimento di posizioni quale non si era mai visto nella politica estera americana dalla fine della seconda guerra mondiale, e certamente mai a questa velocità, l’alleato di ieri già diventato ingombrante è oggi trasformato decisamente in un nemico. Un conflitto che sobbolliva da molto tempo, reso esplicito durante la campagna elettorale americana, ma che ieri è esploso in tutta la sua magnitudine solo un pugno di ore dopo il clamoroso vertice russo-americano di Riad, in cui Stati uniti e Russia hanno avuto il primo ed esclusivo contatto dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
LA SEQUENZA è stata devastante. Poco dopo la fine del vertice a Riad, in cui Washington e Mosca hanno tagliato fuori l’Ucraina e l’Europa dall’avvio di un negoziato costruito per i rispettivi mercati molto più che per la fine dei combattimenti, Trump ha parlato con la stampa americana dalla sua reggia di Mar-a-Lago, lamentandosi che la leadership ucraina avesse permesso una guerra e quindi non meritasse di sedere al tavolo del negoziato appena aperto con il presidente russo Putin. «Non avreste mai dovuto cominciarla, avreste dovuto fare un accordo», ha detto Trump dalla sua Versailles in Florida, aggiungendo che Zelensky ha un tasso di approvazione del 4% e suggerendo che ormai è politicamente finito. Il dettaglio che in effetti non sia stata l’Ucraina a invadere la Russia ma il contrario non è sfuggito alla “leadership ucraina”, e ieri mattina Volodymyr Zelensky ha immediatamente convocato un po’ di giornalisti nel palazzo presidenziale di Kiev (ancora con i sacchi di sabbia alle finestre) e accusato Trump di «essere intrappolato in una bolla di disinformazione» russa, chiedendo ai team di Washington di «essere più sincero». E le cateratte si sono aperte: al mattino americano, Trump ha imbracciato la sua arma preferita – il suo social media Truth – e ha aperto il fuoco come non era immaginabile.
ZELENSKY «è un dittatore, niente elezioni» ha scritto Trump, «è meglio che si muova in fretta o non gli resterà più un paese». E la tirata era appena cominciata. «È un attore comico di modesto successo», continua il presidente americano, «che ha convinto a chiacchiere gli Stati uniti d’America a spendere 350 miliardi di dollari in una guerra che non può essere vinta e che non avrebbe dovuto mai essere cominciata». «Ha fatto un lavoro terribile – prosegue l’invettiva trumpiana – e la sola cosa in cui è stato bravo è suonare Biden come un violino. Ora stiamo negoziando la fine della guerra con la Russia, qualcosa che tutti ammettono solo TRUMP e l’amministrazione Trump possono fare» (il tutto maiuscolo è originale).
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Intanto i russi avanzano e gli ucraini resistono: «Finché non ci diranno che è finita, noi combattiamo»Dittatore e niente elezioni? Dopo che mezza Europa si è impiccata al
mantra “niente accordi se non lo dicono gli ucraini”? Anche se le elezioni previste per marzo-aprile 2024 sono state spazzate via dalla legge marziale (e dal voto unanime del parlamento)? Prontamente, il principale istituto demoscopico dell’Ucraina mette sul suo sito l’ultimo sondaggio: nella prima settimana di febbraio l’approvazione di Zelensky è al 57%, mentre il 37% non si fida di lui. Si tratta del Kiis, sigla per Istituto internazionale di sociologia di Kiev, e – sorpresa delle sorprese – è un’ente ucraino-americano, significa finanziato in dollari da almeno tre anni.
QUEL MISERABILE 4% di consensi che dice Trump sono certamente balle, di cui il presidente è solito costellare le sue sventagliate a mezzo Truth (come i 350 miliardi spesi: a seconda di come contarli, sono circa 190), e sono balle forse anche quel 57% di approvazione. Ma sono il segno che qualcosa si è rotto, sembra in modo definitivo. «Questa guerra è molto più importante per l’Europa che per noi», chiude infine Trump, «abbiamo un grande e meraviglioso oceano che ci separa». Si tratta dell’Atlantico. Ottant’anni fa era il nome dell’unione tra Stati uniti e Europa. Ora ne è il muro di separazione.
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Secondo round all’Eliseo: «Così tutte le democrazie sono in pericolo»In tutto questo celebra sommessamente Vladimir Putin, riaccolto tra i partner economici e quindi politici, nello stesso giorno in cui gli Usa parlano di togliergli e sanzioni e l’Unione europea approva invece il suo 16esimo e abbastanza inutile pacchetto di castighi economici. È troppo tardi, il partner russo ormai è Washington, gli europei si arrangino come possono. E lo zar si annette il cambio di regime,
AL VERTICE di Riad «Trump ha avuto informazioni sincere e ha cambiato idea», dice Putin alla Tass, e definisce «isteria fuori luogo» quella di Zelensky. Non deve neanche far fatica, il presidente russo: Trump sta facendo tutto il lavoro per lui. Il cammino è già tracciato.