Rispettare la Memoria vuol dire commemorarne il ricordo ma anche tramandarla alle generazioni future, soprattutto quelle che non hanno vissuto gli eventi in prima persona.
Abbiamo bisogno del tuo sostegno per poter finanziare il 40° anniversario della strage alla stazione di Bologna. Il progetto è quello di celebrarla attraverso iniziative e canali trasversali in una sorta di percorso a tappe che, Sabato 1 agosto, si diramerà lungo via Indipendenza. Qui si articoleranno diverse stazioni: alcune multimediali (con totem hi-tech che mostreranno immagini storiche e testimonianze dirette), altre di natura letteraria (con narratori ad hoc) o artistica (uno street artist realizzerà un’opera sulla scritta “Bologna non dimentica”) fino a una stazione dedicata appositamente ai bambini.
Insomma, le idee sono tante e ognuno di noi può fare la propria parte con una piccola donazione: perché ricordare il passato significa rispettare il presente e capire il futuro.
Il corteo che ogni anno percorre via Indipendenza da Piazza Maggiore a Piazza Medaglie d’Oro è la spina dorsale delle celebrazioni per l’anniversario della strage del 2 agosto 1980. Particolarmente significativo in questo 2020 che segna il 40° anniversario dell’attentato.
Quest’anno però, a causa del Covid19, la manifestazione non si potrà tenere secondo le forme tradizionali.
Abbiamo pensato dunque di immaginare una formula che integri l’iniziativa pubblica, in virtù di una decisiva considerazione: la distanza temporale dall’attentato fa sì che siano sempre di più coloro che in quella data non erano neppure nati e, di conseguenza, privi di ricordi personali, conservano una memoria labile di quanto accaduto, delle responsabilità, delle vicende giudiziarie, dell’impegno dei familiari e della città per la verità, del contesto sociale e politico.
Per questo deve giocare un ruolo decisivo la coltivazione della memoria, impegno verso il quale molti si sono spesi in questi anni.
L’idea centrale è mantenere viva la memoria attraverso iniziative trasversali che utilizzino diverse forme di arte e comunicazione atte a coinvolgere persone di ogni età e cultura, stimolandone una partecipazione attiva nella giornata che precede l'anniversario: sabato 1 agosto.
Stazioni della memoria a 40 anni dal 2 agosto
Per tutta la giornata una decina di “stazioni della memoria” si districheranno a partire da piazza del Nettuno e lungo via Indipendenza fino a piazza XX settembre. Il nostro progetto è ambizioso e vogliamo realizzarlo insieme a te:
In tre punti vorremmo installare tre “stazioni multimediali”, isole della memoria materializzate in piccoli totem con schermo. Ognuna di queste presenterà un video dove immagini e testimonianze si alterneranno nell'intento di raccontare i diversi aspetti della strage: un soccorritore che racconta i primi soccorsi, un medico che racconta come da quella esperienza sia nato il 118, un magistrato che racconta la storia giudiziaria, un avvocato di parte civile che illustra lo stato delle nuove inchieste, un autista di bus che racconta l’autobus servito come ambulanza, il presidente dei familiari che racconta la battaglia per la verità e la giustizia, il cameraman che girò le prime immagini, una storica che illustra il contesto storico-politico ecc. Insieme a questo saranno presentate anche le immagini e i nomi delle vittime della strage con una brevissima biografia, per ricordare a tutti che non si tratta di nomi ma di persone.
Oltre alle tre stazioni multimediali, vi saranno le altre “stazioni” costituite da iniziative artistiche che contribuiscano a coltivare la memoria della strage (letture di testimonianze da parte di artisti, musica, dipinti…).
In una “stazione” dotata di leggio e microfono, durante il corso della giornata, si alterneranno narratori (famosi e non) pronti a leggere e interpretare testimonianze dirette o ricordi della strage.
In un’ulteriore “stazione” alcuni writers potranno lavorare ad una grande opera grafica da esporre il giorno dopo in Piazza Maggiore.
Un’altra “stazione” ancora sarà dedicata ai bambini: un illustratore farà colorare loro simboli della memoria nel rispetto della loro sensibilità anagrafica.
Le ultime tre stazioni ospiteranno (a) una mostra fotografica; (b) brevi concerti dal vivo di artisti invitati; (c) performance teatrali.
In questo modo i viaggiatori, i passanti e in generale gli abitanti di Bologna avranno la possibilità di ricevere in modo nuovo un’informazione agile ma dettagliata sui diversi aspetti dell’attentato e di contribuire con la presenza fisica e in modo attivo al ricordo delle vittime della strage.
Il progetto ha il sostegno dell'Associazione tra i familiari delle vittime e il patrocinio del Comune di Bologna.
Il COVID-19 non deve consentire ulteriore consumo di suolo in Emilia Romagna
Assessore e consiglieri propongono una dilazione della data in cui cancellare le previsioni dei vecchi piani.
La Regione lanci invece un vero piano per le città e la rigenerazione urbana
Legambiente chiede che il Covid-19 non venga usato per prolungare la stagione del consumo di suolo. È di questi giorni la notizia dell'intenzione di prorogare la scadenza di legge prevista a fine 2020, quella per cui le previsioni dei vecchi piani urbanistici non ancora applicate sarebbero decadute. Un principio della legge regionale urbanistica 24 del 2017 che Bonaccini e l'assessore Donini avevano rivendicato come rivoluzionaria.
La proposta di rinvio è stata fatta al tavolo di monitoraggio della nuova legge per bocca dell'assessore Lori, proposta già votata in Commissione Ambiente e Territorio sostenuta dal PD e centrodestra, e contrastata da Europa Verde, M5S e Coraggiosa.
Legambiente durante l'approvazione della legge regionale aveva polemizzato sulle troppe deroghe, ma ha sempre ritenuto importante far decadere le previsioni: una richiesta già fatta ai tempi di Errani.
“Dai dati emersi sull’ultima edizione del rapporto di ISPRA sul consumo di suolo, in Emilia Romagna dal 2018 al 2019 sono stati consumati 404 ha di suolo vergine, circa 420 mq/ora.
Negli ultimi 30 anni sono state trasformate superfici agricole sufficienti a sfamare centinaia di migliaia di persone. Lungo la costa, da Ravenna fino ai confini marchigiani, si registra una linea ininterrotta di urbanizzato che rischia di addensarsi ulteriormente per interventi previsti a Casalborsetti, lido di Classe e Comacchio .” – sottolinea Legambiente.
Situazioni cui rischia di sommarsi a breve la cementificazione per strade e autostrade: sia quelle pianificate anni fa, sia idee più recenti come la proposta di strada a 4 corsie, di collegamento tra Ravenna e Venezia, che impatterà su aree di importante interesse naturalistico.
Rimangono sempre le criticità sul piano urbanistico del Comune di Comacchio estremamente non in linea con le esigenze ambientali dell’area del Delta del Po.
In questo quadro non ha senso tenere in vita le previsioni di urbanizzazioni dei Comuni fatte in tanti casi più di un decennio fa.
Legambiente è convinta che per il settore edilizio sarebbe molto più utile avviare un piano massiccio di rigenerazione urbana, rilanciando il bando regionale già proposto la scorsa legislatura ma potenziandolo in modo deciso. Questo potrebbe dialogare e fare sinergia con gli incentivi statali del 110% portando ad ampi interventi sulle città in grado di coinvolgere immobili pubblici e privati.
Questi interventi avrebbero maggiori possibilità di realizzarsi e di coinvolgere una platea più ampia di attori: professionisti, imprese, artigiani ecc. Insomma operazioni a più ampio livello di occupazione che non i futuribili cantieri delle grandi opere - che tengono bloccate risorse da decenni - appannaggio di pochi grandi gruppi del cemento.
Infine, sebbene la legge urbanistica nel suo complesso stia registrando ampi e ingiustificati ritardi di applicazione per quanto riguarda la realizzazione dei nuovi Piani, sono molte le amministrazioni che hanno avviato o stanno terminando l'approvazione dei PUG con una puntuale supervisione delle strutture tecniche della Regione. Prorogare la durata delle previsioni dei vecchi Piani penalizzerebbe dunque anche i Comuni più virtuosi che hanno seguito la Regione nei percorsi di sperimentazione, premiando invece quelli che non hanno nemmeno iniziato il percorso.
Vale la pena ricordare che questi ritardi hanno ben poco a che fare con il l’emergenza sanitaria del COVID-19, che ha rallentato - ma non fermato - il lavoro di uffici e professionisti per soli 3 mesi.
Le proroghe potrebbero essere concesse su altre parti della Legge 24/2017, ma il principio che al 31 dicembre 2020 le previsioni dei vecchi piani decadranno in tutti i Comuni va tenuto fermo.
Legambiente chiede dunque di non usare la scusa del coronavirus per premiare amministrazioni inadempienti e supportare ulteriore consumo di suolo.
“L'Emilia Romagna ha già dato troppo in termini di consumo di suolo.” - conclude
L’Ufficio stampa
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Tel: 051241324
Il progetto ENI di costruire a Ravenna il più grande centro mondiale per lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CO2) è un enorme rischio finanziario senza certezze dal punto di vista climatico e ambientale
Nella conferenza stampa tenuta al termine degli Stati generali dell’Economia a Roma, il presidente Conte ha annunciato che fra le azioni per risolvere il problema energetico nascerà a Ravenna il più grande centro al mondo di cattura e stoccaggio di CO2.
Come è noto, la CO2 è un gas generato dall’uso dei combustibili fossili che, immesso nell’atmosfera, contribuisce a creare l’effetto serra e il conseguente cambiamento climatico. Secondo gli scienziati dell’IPCC (un comitato che agisce sotto il patrocinio dell’ONU), per evitare un catastrofico cambiamento climatico, definito il pericolo più grave per l’umanità, è necessario azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050. Questo è quanto prevede l’Accordo di Parigi, al quale hanno aderito praticamente tutte le nazioni del mondo, compresi gli Stati Uniti che poi, con Trump presidente, sono usciti dall’accordo. Le azioni sono urgenti, perché lo “spazio” rimasto per nuove emissioni è limitato, quindi si debbono realizzare entro il 2030 piani di riduzione delle emissioni nette.
La strada maestra per raggiungere l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni di CO2 entro il 2050 è la progressiva riduzione dell’uso dei combustibili fossili da attuare con una graduale transizione alle energie rinnovabili (Sole, vento e acqua) che non producono né CO2 né sostanze inquinanti. Le compagnie petrolifere invece, prima fra tutte ENI, stanno intensificando le ricerche in tutto il mondo e, con il loro grande potere, operano a tutti i livelli e con ogni mezzo per evitare che i combustibili fossili vengano messi al bando entro il 2050.
Secondo le compagnie petrolifere si può continuare ad usare i combustibili fossili evitando che la CO2 prodotta sia immessa in atmosfera e, addirittura, anche prelevando dall’atmosfera la CO2 già emessa. Queste operazioni, indicate con la sigla CCS (Carbon Capture and Sequestration), implicano la cattura della CO2 emessa o già in atmosfera e il suo immagazzinamento in caverne sotterranee. Questo processo, oltre ad essere poco logico, poiché si versano in atmosfere quantità sempre maggiori di CO2
per poi ricatturarle e sequestrarle, è complesso dal punto di vista ambientale; molto costoso; e richiede un forte sviluppo perché è ancora a livello di ricerca.
Infine, è solo una parte del complesso mosaico di interventi necessari per mantenere l’aumento di temperatura entro 1.5 (o 2) °C. Deve essere armonizzato con tutte le azioni che riguardano la pianificazione energetica e l’uso efficiente dell’energia.
L’adozione delle tecnologie CCS è critica per diversi motivi:
lo stoccaggio nel sottosuolo è rischioso perché non sono noti i suoi effetti sismici. Tale rischio è ancora maggiore in una zona fragile come la costa di Ravenna, dove sono in corso significativi fenomeni di subsidenza.
teoricamente può compensare le emissioni derivate dalla produzione di energia da fonti fossili, mantenendo quasi invariata l’attuale proporzione tra fonti energetiche rinnovabili e fossili. Tuttavia, i combustibili fossili sono limitati, quindi questa soluzione non può essere strutturale, ma solo temporanea, rendendo estremamente critici gli aspetti economico-finanziari dell’investimento.
la cattura di CO2 all’interno degli impianti di produzione di energia da fonti fossili riduce le prestazioni del 10%-20%. I costi di produzione dell’energia sarebbero sostanzialmente raddoppiati. In alternativa, si può catturare la CO2 dall’aria, anche se non esistono tecnologie mature e verificate. Oppure, si può catturare la CO2 all’interno di impianti di conversione di biomasse in energia. Quest’ultima opzione avrebbe un forte impatto sull’uso del suolo agricolo e sulle emissioni di metano e NOx.
oggi non esistono progetti industriali maturi relativi al CCS; si è ancora alla fase di ricerca. In Norvegia, che è il maggiore produttore europeo di idrocarburi, un report indipendente commissionato da Governo ha analizzato la possibile realizzazione di un impianto di stoccaggio di CO2 nei giacimenti esauriti del Mare del Nord. Tale progetto è stato valutato un potenziale disastro finanziario e il Governo sta valutando di sospendere il progetto stesso.
In conclusione, riteniamo non opportuno investire ingenti risorse pubbliche nella realizzazione di un sistema di stoccaggio di CO2, perché i risultati non sono garantiti, né dal punto di vista della sicurezza, né dal punto di vista climatico.
Le stesse risorse debbono essere investite sulle energie rinnovabili, sugli impianti di accumulo di energia elettrica, sull’efficienza energetica degli edifici e delle attività produttive e commerciali, settori con alta intensità di occupazione. Ovvero, debbono essere investite su tecnologie mature e disponibili che garantiscono una rapida riduzione delle emissioni a effetto serra, tecnologie che attendono solo di essere utilizzate.
Vincenzo Balzani
Coordinatore Energia per l’Italia Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale dell'Emilia Romagna scrive alle Sindache e a i Sindaci di tutti i Comuni della Regione
Chiediamo GARANZIE per assicurare PARTECIPAZIONE e SICUREZZA
Alle Sindache e ai Sindaci di tutti i Comuni della Regione Emilia Romagna
e p.c. alla Stampa
Numerosi sono i Comitati che, attivi da anni in tutte le realtà regionali, si impegnano per promuovere la conoscenza e la cultura della Costituzione. E, senza soluzione di continuità, per informare sulle ragioni dei Referendum costituzionali, dal 2006 al 2016, fino ad oggi, per il Referendum previsto per i prossimi 20 e 21 settembre, dopo il rinvio, dovuto al Covid, della precedente data del 31 marzo scorso.
Già in quella occasione levammo argomentate proteste - inascoltate - per il tempo brevissimo concesso per una adeguata informazione in merito al taglio del numero dei parlamentari, da noi giudicato assai grave, e per la totale carenza di una adeguata informazione rivolta alla cittadinanza e alla pubblica opinione. Stiamo verificando sul campo che la cittadinanza è pressoché all’oscuro dell’indizione del Referendum e del quesito che comporta.
Oggi, di fronte alla nuova data indicata, 20 e 21 settembre - decisione del Governo nella seduta del 15 luglio scorso - denunciamo l’ ulteriore peggioramento del contesto nel quale dovrebbe tenersi il Referendum Costituzionale accorpato nell’election day alle elezioni amministrative e regionali indette per alcuni comuni, province regioni.
Situazione paradossale, per varie ragioni. Avremo due mesi di campagna elettorale in piena estate e in una Italia coinvolta a macchia di leopardo e in modo diseguale. Informazione e partecipazione consapevole rese poco praticabili se non al limite dell’impossibile, per un Referendum di rango costituzionale, che tocca in modo profondo la Costituzione, ne indebolisce gli interni equilibri, riduce ulteriormente il valore della rappresentanza, già minata da pratiche politiche e da leggi elettorali che ne hanno mortificato il valore.
Garantire il massimo possibile di informazione e di spazi di partecipazione in tale negativo contesto è quello che chiediamo a tutti i Comuni della nostra regione, tenendo conto che la partecipazione è uno dei doveri che la Costituzione chiede al popolo sovrano, e alle Istituzioni che lo rappresentano.
Avanziamo quindi due precise richieste.
Spazi per la partecipazione
Chiediamo che le Sindache e i Sindaci rendano noti immediatamente alla cittadinanza e a tutti i Comitati referendari, qualunque sia la loro posizione in merito al quesito referendario, con informazione resa pubblica e ampiamente diffusa, in quali spazi, all’aperto e al chiuso, con quali regole - tempi per le richieste di utilizzo, distanziamenti, misure sanitarie, procedure, spazi elettorali, altro - sarà possibile svolgere la campagna referendaria.
Sicurezza
Chiediamo che in previsione della riapertura delle scuole, fissata per il prossimo 13 settembre - una settimana prima, quindi, dell’election day -, che già si annuncia assai problematica e di difficile attuazione, i seggi elettorali non siano allestiti nelle scuole ma in ogni altro spazio utile e possibile. Per ragioni sanitarie e non solo.
La scuola, in ogni sua componente, è stata fra le più colpite dalla pandemia e dai suoi effetti. Perdita di altro tempo e rischi non sono accettabili. Scuola e sanità sono fra i primi diritti universali ed eguali che la nostra Costituzione garantisce ad ogni persona, qualunque sia la sua condizione.
In attesa di riscontro, inviamo distinti saluti.
Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale della Regione Emilia Romagna
Bologna
Forlì, con Cesena, Civitella, Santa Sofia, Modigliana, Forlimpopoli
Rimini
Modena
Parma
Piacenza
Ravenna, con Alfonsine, Bagnacavallo, Cervia, Faenza, Longastrino, Lugo, Russi
Reggio Emilia
24 luglio 2020
Terminare le estrazioni dalla Vena del Gesso, riorganizzare da subito le produzioni della Saint- Gobain.
Condividiamo pienamente, la denuncia della Federazione Speleologica dell'Emilia-Romagna, sul progressivo sfruttamento del crinale di Monte Tondo, che ha provocato un forte impatto dal punto di vista paesaggistico e ambientale.
A questo si aggiunge la notizia della richiesta, da parte della multinazionale Saint-Gobain, di espandere ulteriormente l'area di estrazione della cava, nel sito di Borgo Rivola.
Riteniamo questa richiesta irricevibile, visti i diversi vincoli di tutela sull'area, citati anche nel Piano Infraregionale delle Attività Estrattive (PIAE), che la definisce “patrimonio naturale unico dal punto di vista geologico/speleologico, naturalistico, paesaggistico e archeologico” e la definizione, nel 2000, del massimo quantitativo volumetrico estraibile, pari a 4,5 milioni di metri cubi di gesso.
In questi quasi 20 anni le quantità estratte sono state più lente del previsto e quindi l'azienda potrebbe continuare ancora per qualche tempo la sua attività di costruzione di pannelli di cartongesso, che occupa circa 80 lavoratori (si ipotizza addirittura per 10 – 15 anni). Quindi è esattamente questo il periodo per avviare una riconversione produttiva, che già avrebbe dovuto essere progettata in passato.
Come Legambiente, siamo particolarmente sensibili alla necessità della tutela del patrimonio naturale, in particolare in un ambiente unico come la Vena del Gesso Romagnola, ma il nostro interesse non si limita al “protezionismo” di alcuni luoghi più sensibili; noi pensiamo che tutte le attività umane, anche quelle che hanno necessariamente un impatto antropico, debbano essere il più possibile rese ecocompatibili, su tutto il territorio.
La multinazionale in questione, il gruppo Saint-Gobain, e Saint-Gobain PPC Italia S.P.A, si definiscono, sul loro sito,”leader nell’edilizia sostenibile e nei materiali e soluzioni pensati per il benessere di ciascuno ed il futuro di tutti”; è stata inserita tra le prime 100 aziende più innovative al mondo, dovrebbe avere quindi tutto il know how necessario per avviare la riorganizzazione produttiva, anche con materiali alternativi al gesso, garantendo il futuro occupazionale degli attuali e di altri lavoratori.
Contemporaneamente, anche pensando alle necessarie attività di ripristino ambientale dell'area della Cava e delle aree circostanti, possono essere avviate attività di valorizzazione di tutto il territorio: “ecoturismo, didattica, tutela del paesaggio, anche agricolo, recupero dei siti archeologici”, come chiede la Federazione Speleologica, (http://fsrer.it/site/un-confronto-sui-problemi-ambientali-della-vena-del-gesso-romagnola/) che possono creare importanti occasioni economiche e occupazionali, anche qualificate.
Per quanto ci riguarda intendiamo attivarci per sollecitare e coinvolgere tutti i soggetti interessati, assieme agli speleologici e alle associazioni ambientaliste, i Comuni, la Regione, il Parco della Vena del Gesso, le organizzazioni sindacali, i lavoratori e le comunità locali, per fare le necessarie pressioni sull'azienda.
Le affermazioni che, fortunatamente, si sentono oggi da più parti, sulla necessità di una nuova sostenibilità ambientale, sul green news deal, su un“nuovo patto per il clima e il lavoro”, ecc., non possono essere buone solo per i convegni e i comunicati stampa, ma devono essere declinate nella realtà quotidiana di tutti i territori.
Faenza, 20 luglio 2020
Circolo Legambiente “Lamone” Faenza
per fare il punto sulle potenzialità dell’eolico, ribadire la necessità di smantellare le piattaforme petrolifere nell’Adriatico, dire no al progetto di CCS di Eni a Ravenna
e sì all’impianto eolico off-shore di fronte alla costa riminese
L’impianto eolico off-shore di fronte alla costa riminese un’opportunità per proporre un distretto turistico green e per riconvertire il distretto romagnolo del fossile.
Solo 400 nuovi MW di eolico installati nel 2019 e 10,7 GW di potenza complessiva: numeri inadeguati per raggiungere gli obiettivi al 2030 fissati dal Piano Energia e Clima
“Un grave ritardo che dipende solo dalla volontà politica”.
Flash mob e dibattito questa mattina a Riccione per ribadire la necessità di smantellare le piattaforme petrolifere nell’Adriatico e per fare il punto sulle potenzialità dell’eolico, ancora non abbastanza sfruttate, in occasione della tappa in Emilia Romagna della Goletta Verde 2020. In particolare, Legambiente ribadisce il proprio appoggio al progetto di eolico in mare al largo di Rimini, per 330 MW di potenza.
In Italia, l’energia pulita cresce ancora troppo lentamente rispetto a quanto si potrebbe e si dovrebbe fare per rispettare gli impegni nella lotta ai cambiamenti climatici: di questo passo, gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano energia e clima (Pniec) verrebbero raggiungi con 20 anni di ritardo.
Quest’anno la storica campagna estiva di Legambiente in difesa delle acque e delle coste italiane non viaggia, come sempre, coast to coast ma assume una formula inedita a causa delle restrizioni e del distanziamento fisico imposti dalla pandemia. Citizen science e territorialità sono le parole chiave per continuare a non abbassare la guardia sulla qualità delle acque e sugli abusi che minacciano le coste. Tra i grandi temi portati avanti dalla Goletta si inserisce naturalmente la questione climatica e la lotta alle fonti fossili che l’innalzamento delle temperature ci impone di sostituire subito con le tecnologie pulite.
Tra queste, sicuramente non rientra il Carbon Capture and Storage (CCS), la cattura e il sequestro del carbonio, tecnologia costosa e fallimentare di cui l’Eni intende realizzare a Ravenna il più grande hub al mondo, utilizzando le risorse comunitarie dell’Innovation Fund come attivatore di possibili ulteriori finanziamenti attraverso il Recovery Plan. Un progetto che rappresenta, in pratica, un ulteriore sussidio alle fonti fossili, distogliendo risorse pubbliche a progetti davvero innovativi.
La richiesta presentata, invece, dagli sviluppatori del progetto off-shore a largo di Rimini alle autorità competenti (richiesta per una concessione trentennale di uno specchio acqueo all’interno di un’area marina di 114 km² nel Mare Adriatico, nel tratto antistante i comuni di Rimini, Riccione, Misano Adriatico e Cattolica) è secondo Legambiente una proposta che può rappresentare un elemento importante per il settore energetico del territorio e nella riconversione del settore estrattivo, considerata la crisi del settore oil and gas e in vista dell’ormai necessario programma di decommissioning delle piattaforme estrattive inattive. La crisi climatica e le sue conseguenze impongono, infatti, di progettare il futuro del settore energetico dell’Alto Adriatico, riconvertendo aziende e lavoratori, e di dare finalmente il via al programma di dismissione delle piattaforme di idrocarburi in Italia ormai pronto dal 2018 dopo due anni di confronti tecnici tra gli stakeholder. Il piano contenuto nel programma prevede lo smantellamento e la messa in sicurezza ambientale nel breve periodo (2020-2025) di 22 relitti industriali, pericolosi per l’ambiente e la navigazione, e di altri 12 nel medio periodo. Le linee guida per l’individuazione delle piattaforme da mandare a dismissione sono state emanate e il procedimento è di fatto possibile.
“Oggi non esistono ragioni tecniche o economiche per rinviare ancora queste scelte e disegnare uno scenario di rilancio ambientale ed economico ambizioso per il nostro Paese - dichiara il presidente di Legambiente Stefano Ciafani -. Non è neanche un problema di risorse per gli investimenti perché lo sviluppo delle fonti rinnovabili consente di ridurre fortemente le importazioni di gas e carbone, mentre il prezzo degli investimenti nell’eolico, così come nel solare, scendono anno dopo anno. Tutto dipende dalla volontà politica del governo, dalla burocrazia e dalle preoccupazioni territoriali. Le risorse dell’Innovation Fund – ha proseguito il presidente di Legambiente – devono essere destinate a sostenere l’efficienza energetica e le rinnovabili per accelerare la transizione verso un’Europa libera da fonti fossili e con zero emissioni nette entro il 2040, per contribuire così a contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C in coerenza con l’Accordo di Parigi. Il denaro dei contribuenti europei deve servire per tradurre in realtà il Green Deal Europeo, non può essere sprecato finanziando progetti, come la cattura e il sequestro del carbonio, che guardano al passato e rendono più acuta l’emergenza climatica”.
“Diversi soggetti stanno valutando ipotesi di eolico off-shore nell’Alto Adriatico - aggiunge Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia-Romagna -. Occorre che la politica e il dibattito locale colgano questa opportunità per il clima, inserendola in un progetto territoriale per l’economia: da una parte il settore turistico romagnolo, da sempre connotato come innovativo, potrebbe proporsi come distretto CO2 free; dall’altra l’eolico potrebbe dare nuove prospettive a un settore dell’oil and gas in crisi, i cui addetti oggi sono ormai un terzo di quelli degli anni 90”.
I dati sull’eolico in Italia raccontano, purtroppo, che il nostro impegno è largamente insufficiente. Il Piano d’Azione Nazionale (PAN) individuava nel 2010 in attuazione della Direttiva 2009/28/CE un obiettivo di installazioni al 2020 pari a circa 12.680 MW di cui 12.000 MW on-shore e 680 MW off-shore. Siamo a due mila MW in meno sulla terra ferma e il target per l’off shore è totalmente mancato. La media di installazioni di impianti eolici all’anno, dal 2015 a oggi, è di appena 390 MW. Nel 2019 le installazioni sono leggermente cresciute con 400 nuovi MW (meno 118 MW rispetto al 2018), arrivando a 10,7 GW di potenza complessiva, numeri assolutamente inadeguati per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano Energia e Clima, e che presto dovranno essere rivisti con l’innalzamento dei target previsti a livello europeo. L’Italia dovrà infatti impegnarsi a installare almeno 1 GW di potenza eolica l’anno con impianti a terra e in mare, e in parallelo realizzare investimenti diffusi per ridurre drasticamente consumi energetici e emissioni di CO2 in tutti i settori produttivi.
Uno studio di Anev stima il potenziale dell’eolico off shore italiano in almeno 950 MW, di cui almeno 650 MW tra le coste dell’Abruzzo e della Puglia e altri 300 MW tra Sardegna e Sicilia, senza considerare l’eolico galleggiante che consentirebbe di portare il potenziale a ben altri numeri. Complessivamente, le tecnologie pulite hanno prodotto nel 2019 circa 114 TWh di energia elettrica e circa 10.661 ktep (dato al 2018) di energia termica, arrivando a coprire il 36% dei consumi elettrici e 19% dei consumi dei consumi complessivi.
A dimostrazione che la strada dell’eolico è ampiamente percorribile, basta guardare quello che succede nel mondo dove questa tecnologia continua a crescere a tassi rilevanti. La Cina è il Paese con i maggiori investimenti nel settore, con 25,8 GW realizzati e una potenza complessiva di oltre 210 GW, mentre in Europa i paesi con più installazioni sono stati nel 2019 Germania e Francia, rispettivamente con 1.979 MW e 1.360 MW, ben lontani dai 400 MW dell’Italia. Secondo il report di WindEurope, il 2019 è stato un anno record per l’eolico offshore, con l’Europa che ha installato 3,6 GW di nuova capacità eolica offshore, per un totale di 22 GW di eolico in mare. La Commissione Europea afferma che l’Europa ha bisogno di una capacità compresa tra i 230 e i 450 GW di vento offshore entro il 2050 per decarbonizzare il sistema energetico e raggiungere gli obiettivi del Green Deal. Ciò significa che l’Europa dovrà installare 7 GW di nuovo eolico offshore all’anno entro il 2030 e 18 GW all’anno entro il 2050.
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