Lunedì 15 aprile alle 20,45 alla sala del Museo Malmerendi, in via Medaglie d'oro 51, l'Altra Faenza promuove un confronto pubblico: "La progettazione della città pubblica".
L'iniziativa, che vedrà la partecipazione dell'urbanista Piero Paolo Cavalcoli, parte dall'Ordine del Giorno, presentato dal nostro Consigliere Edward Necki, e votato all'unanimità dal Consiglio Comunale di Faenza: “Percorso partecipativo per la preparazione del Piano Urbanistico Generale”.
Lo scopo è quello di avviare questo percorso, coinvolgendo tutti gli aspetti dell'organizzazione della città e della qualità urbana.
Su tali questioni noi riteniamo che le scelte messe in campo dall'attuale Amministrazione siano state insoddisfacenti. Si è continuato a permettere di costruire (o allargare) nuovi supermercati, a fare bandi per urbanizzare nuovi terreni agricoli, in un territorio che vede: circa 3800 unità immobiliari residenziali e circa 1.000 immobili destinati ad attività economiche, non utilizzati; mentre restano incompiuti o bloccati diversi cantieri e comparti edificatori; contemporaneamente la prestazione energetica degli edifici esistenti è mediamente bassa, con un'alta vulnerabilità sismica.
Non servono quindi nuove urbanizzazioni, ma una rigenerazione della città costruita (dal punto di vista sociale, energetico, sismico), occorre razionalizzare la mobilità urbana e la qualità ecologica e ambientale; costruendo, anche per questa via, occasioni di lavoro e occupazione qualificata.
Su tutto questo, abbiamo chiesto di interloquire, in primo luogo, con rappresentanti dell'associazionismo sociale e professionale, dei movimenti ambientali, culturali, sindacali; dei Consigli di quartiere; poi con le aggregazioni politiche interessate – incluso diverse nuove associazioni politico - culturali (Faenza 40 20; Faenza Futuro; Fronte Comune); oltre che gli Assessori all'urbanistica e all'ambiente.
Anche nella prospettiva delle future elezioni amministrative stanno nascendo a Faenza nuove aggregazioni politiche e culturali e si moltiplicano le interviste, fino ad oggi piuttosto fumose, di rappresentanti politici locali; le questioni rilevanti sulle quali confrontarsi, verificare interessi, priorità, programmi ci sembrano quelle che proponiamo di discutere in questo incontro.
Faenza, 13 aprile 2019
L'Altra Faenza
Autonomia differenziata: in campo la società per spingere la politica a bloccare un processo pericoloso per i diritti delle persone e per l'unità nazionale.
L'ansia da elezioni spinge la Lega a insistere con forza sull'autonomia differenziata.
Non deve trarre in inganno l'apparente fase di impasse, l'obiettivo dichiarato della Lega è di riavviare la procedura dell'autonomia differenziata ad ogni costo. Purtroppo l'esperienza ci dice che le resistenze del M5Stelle non hanno retto fino in fondo, almeno finora, di fronte agli assalti della Lega.
Per questo è necessario far comprendere più e meglio la posta in gioco sull'autonomia differenziata, cioè sulla possibilità per le Regioni di ottenere anche poteri dello Stato su materie come sanità, istruzione, ambiente, previdenza e naturalmente anche maggiori risorse a disposizione.
Il prof Viesti ha parlato di secessione delle regioni ricche, è una sintesi stringata ma fondata. Non a caso il Ministero dell'Economia ha preteso una norma, nei testi di cui si discute tra Governo e Regioni, che prevede l'invarianza della spesa complessiva, questo vuol dire che se qualche regione avrà di più qualche altra avrà di meno.
Attraverso l'autonomia differenziata passa una nuova versione della tradizionale richiesta della Lega di trattenere più risorse nel territorio, senza alcun riguardo all'indispensabile solidarietà tra le regioni del paese.
Il prof Villone ha scritto con rapidità un volume (scaricabile gratuitamente come quello di Viesti) che offre un apprezzabile inquadramento storico, politico e sociale del problema dell'autonomia differenziata. Differenziata perchè ogni Regione diventerebbe diversa dall'altra, creando una differenziazione normativa e istituzionale molto complicata, che contraddirebbe anche la richiesta delle imprese di avere regole semplificate e applicabili in modo simile nel territorio nazionale.
Più grave ancora è che diritti essenziali come quelli alla salute, all'istruzione verrebbero diversificati definitivamente nel territorio nazionale. Che questo sarebbe un vantaggio per i cittadini perchè le Regioni funzionerebbero meglio è una leggenda senza fondamento. Dalle mutande verdi di Cota fino alla detenzione di Formigoni, appena confermata dal giudice, alle vicende di Galan c'è la conferma che le regioni non sono immuni da vicende poco edificanti.
La questione di fondo tuttavia resta quella della garanzia per i cittadini italiani a vedere riconosciuti i diritti fondamentali previsti nella prima parte della Costituzione, senza diversità sulla base delle targhe regionali, che peraltro neppure esistono.
La Lega, nata per la secessione, oggi punta a rivolgersi a tutto il paese per crescere come partito nazionale, ma evita di dire agli abitanti delle regioni del Mezzogiorno che le scelte che sta sostenendo per Lombardia e Veneto vanno esattamente contro i loro diritti, fino a mettere in seria discussione l'unità nazionale.
Se la Lega tenta, con destrezza, il furto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione, altri dovrebbero denunciare con forza quanto rischia di avvenire. Purtroppo questo avviene con troppa debolezza e grande ritardo e per questo associazioni di cittadini come il Coordinamento per la democrazia costituzionale e personalità della cultura debbono assumersi insieme ad altri il compito di supplire con il loro impegno a far conoscere i fatti, a spiegare cosa rischia di accadere, a denunciare i pericoli per l'unità reale del nostro paese.
La Lega è dentro una palese contraddizione perchè da un lato, copiando gli slogan di Trump, afferma che prima di tutto vengono gli italiani, poi nella pratica prima vengono i lombardi, i veneti (promotori dell'autonomia differenziata), sapendo inoltre che di questo passo anche l'area regionale si rivelerà troppo ampia.
Non sarebbe difficile inchiodare la Lega alle sue contraddizioni, il problema è che l'opposizione, in particolare di quella che fu l'area del centro sinistra, dovrebbe fare una seria revisione critica delle posizioni che hanno in passato cercato di inseguire la Lega sul suo terreno e che hanno portato nel 2001 a votare la modifica del titolo V della Costituzione, fino ad arrivare al preaccordo tra il governo Gentiloni e le regioni Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Cosa ci faccia l'Emilia in questa compagnia resta in parte un mistero.
La differenza della fase attuale è tra gli errori del passato, che ci sono, e il diabolico perseverare nell'insistere su quelle posizioni.
Non si può fare troppo conto sulle resistenze del M5Stelle nel governo perchè abbiamo visto troppe volte come è finita. Se anche il Pd non ha la forza di fare i conti con gli errori del passato il problema diventa ancora più complicato di fronte all'arroganza di un partito pigliatutto come la Lega, che rivendica l'autonomia differenziata, ad imitazione delle regioni a statuto speciale, e insieme pretende di apparire come un partito nazionale. In realtà la Lega è tutto e il suo contrario. La contraddizione potrebbe diventare insostenibile per la Lega, a condizione che vi sia un'iniziativa di critica chiara e coerente.
La novità importante sta nell'entrata in campo di settori fondamentali della società: Alcune dichiarazioni di Landini (si dà il via libera all'autonomia differenziata tra Regioni che frantuma l'unità nazionale) sono state chiarissime, così il mondo della scuola si sta mobilitando e il 17 maggio ci sarà uno sciopero nazionale unitario con al centro anche l'autonomia differenziata.
Deve continuare e intensificarsi una vera e propria supplenza politica della società per rimuovere incertezze ed ambiguità che persistono nelle rappresentanze politiche per spingerle a decidere sulla base dei principi fondamentali della nostra Costituzione. La Costituzione e i suoi principi fondamentali restano l'unico possibile ancoraggio.
Alfiero Grandi
Che occasione mancata il Convegno dell’Unione della Romagna faentina del 20 marzo “I Comuni e l’Unione: innoviamo la comunità locale”!
Il sindaco Malpezzi è riuscito a trasformare un possibile stimolo al dibattito e di approfondimento delle complesse tematiche giuridiche, organizzative e politiche del nuovo livello istituzionale in un rito di immotivata autocelebrazione.
Un’occasione per contribuire a rafforzare una comunità nuova, l’Unione, per accompagnarne la crescita di una identità “in evoluzione” (ma non era meglio chiamare un sociologo piuttosto che un filosofo?) è stata trasformata in una parata propagandistica. Un convegno che di “scientifico” ha avuto soltanto l’intervento di Sabino Cassese: non si era mai visto un convegno nel quale manca una relazione tecnica di un dirigente dell’ente (sul palco non si è visto nessun dirigente né funzionario) mentre viene proposta soltanto una relazione politica da parte del sindaco/presidente, senza contraddittorio alcuno.
L’“autoriforma” dell’Unione e la revisione dello Statuto, sono stati presentati come un merito del presidente e della sua giunta, e non di un processo assolutamente indispensabile a causa dell’improvvisazione e dell’avventurismo dell’impianto iniziale. Nella relazione di apertura si è dato atto del coinvolgimento attivo di tutte le forze politiche presenti nell’Unione e nei vari Comuni, ma non si è detto che solo grazie all’attivismo, alla capacità di stimolo e proposta di alcuni gruppi sia all’interno dell’opposizione (fra i quali in prima fila l’Altra Faenza) sia della maggioranza, è stato possibile introdurre nel nuovo statuto alcuni elementi forieri di una positiva evoluzione dell’Unione stessa, della sua rappresentatività e del suo rapporto con i cittadini.
Ci tocca ricordare al sindaco di Faenza ciò ch’egli sembra aver così rapidamente dimenticato: cioè che l’Altra Faenza si è distinta dalle altre minoranze; il consigliere Necki ha fattivamente contribuito da presidente della Commissione speciale dell’URF sullo Statuto ed ha votato a favore del nuovo Statuto motivando con una valutazione politica i cui elementi essenziali è il caso di riportare anche in questa occasione.
Il voto favorevole dell’Altra Faenza vuole segnalare il passo importante compiuto nella direzione del miglioramento delle criticità presenti nello Statuto. Rimaniamo in attesa di verificare sul campo se tali modifiche si realizzeranno nel quotidiano.
In particolare per: rispondere prima di tutto ai bisogni e ai diritti dei cittadini; salvaguardare il ruolo delle assemblee elettive (Consigli comunali) quali espressione della volontà popolare, garantendo pari opportunità a tutti i Comuni; organizzare i lavori degli organi dell’Unione puntando ad un effettivo coinvolgimento di quanti ne fanno parte; promuovere il positivo coinvolgimento del personale e delle loro rappresentanze sindacali; adottare criteri di rappresentanza che assicurino la maggiore partecipazione democratica e contemporaneamente promuovere percorsi partecipativi effettivi, aperti alle realtà associative presenti nei territori, sulle scelte di rilevante interesse che competono all’Unione e ai singoli Comuni. Su quest'ultimo punto è ancora aperta la discussione su uno specifico “Regolamento per la partecipazione”, sul quale continueremo l'iniziativa e il confronto con tutti i gruppi consiliari disponibili.
Faenza, 30 marzo 2019
L'Altra Faenza
Risorse pubbliche spese a sostegno dell’oil and gas e mancati introiti: ecco tutti i numeri
tra finanziamenti diretti e indiretti, riduzioni di accise, esenzioni e deducibilità dall’imponibile
300 miliardi di dollari secondo l’IAE il valore complessivo di sussidi alle fonti fossili nel 2017
18,8 miliardi di euro in Italia
In Emilia-Romagna oltre il 63% del gas e del petrolio estratti sono esenti da royalties, con un mancato gettito per le casse pubbliche stimabile in oltre 6 milioni e mezzo di euro
Sono circa 18,8 i miliardi di euro che, secondo le stime di Legambiente, sono arrivati in un anno in Italia al settore delle fonti fossili, tra sussidi diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi. L’associazione, che da diversi anni pone la questione della cancellazione dei sussidi al settore dell’oil and gas al centro dell’agenda politica nazionale, ha presentato questa mattina a Ravenna il suo sesto dossier sull’argomento. Per ribadire, numeri alla mano, l’assurdo paradosso per cui le fonti inquinanti e responsabili dell’effetto serra continuano a beneficiare di ingenti sostegni, e sottolineare come, volendolo, esistano tutte le condizioni per accorciare i tempi dell’uscita dalle fonti fossili e contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta entro 1,5 gradi centigradi, ora che le fonti rinnovabili sono pienamente competitive per tanti usi.
L’Agenzia internazionale dell’energia stima in almeno 300 miliardi di dollari il valore complessivo dei sussidi alle fonti fossili nel 2017, una cifra cresciuta di 30 milioni di dollari rispetto al 2016. Il 45% del totale è andato a sostegno del petrolio, quasi 137 miliardi di dollari; il 23% al gas, circa 57 miliardi di dollari; 2 miliardi di euro al carbone.
In Italia, con la pubblicazione del ministero dell’Ambiente nel 2016 del Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli, i sussidi alle fonti fossili sono entrati nella rendicontazione nazionale; il catalogo, però, è fermo al 2017 nonostante ne sia stato previsto l’aggiornamento entro il 30 giugno di ogni anno. La cancellazione dei sussidi alle fonti fossili è stata uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle, ma nell’ultimo Piano energia e clima non è previsto nessun impegno e il tema viene trattato solo marginalmente. Per ora, il governo si è accontentato di aumentare timidamente i canoni di concessione per prospezione, ricerca ed estrazione di gas e petrolio.
Per questo, Legambiente chiede l’aggiornamento del catalogo dei sussidi e l’inserimento della road map per la cancellazione entro il 2025 dei sussidi alle fonti fossili nel Piano Energia e Clima. Secondo l’analisi dell’associazione ambientalista, oltre 14,3 miliardi di euro all’anno di sussidi alle fonti fossili sono eliminabili in parte subito e del tutto entro il 2025, mentre 4,5 miliardi di euro possono essere rimodulati, nello stesso settore o in altri, ma in modo da spingere l’innovazione e ridurre le emissioni. È una questione di volontà politica e se non lo si fa è perché evidentemente si vuole continuare a proteggere una rendita di cui beneficiano alcune imprese.
“Si potrebbe uscire dalla difficile situazione economica e sociale che vive l’Italia investendo in innovazione e ricerca, green economy e riduzione delle diseguaglianze - commenta la responsabile Energia di Legambiente Katiuscia Eroe - ed è davvero ipocrita e inaccettabile continuare a trasferire ogni anno miliardi di euro a sostegno di petrolio, gas e carbone quando il mondo intero, Italia compresa, soffrono già gli impatti di alluvioni, siccità e ondate di calore. Le fonti rinnovabili sono sempre più competitive: basterebbe eliminare questi sussidi per sostituire centrali inquinanti con impianti puliti. Già con la legge di stabilità 2019 - prosegue Katiuscia Eroe - si potrebbero avere risorse da investire per incrementare i fondi necessari al funzionamento del Servizio Sanitario nazionale, per l’Università e la Scuola, per i pendolari attraverso il fondo trasporti, per la messa in sicurezza e l’adattamento dei territori ai cambiamenti climatici. Con una attenta programmazione si potrebbe arrivare a 14 miliardi di euro all’anno nel 2025. E già nel 2020 si potrebbero determinare investimenti importanti in settori strategici. Per esempio, riducendo del 10% all’anno i sussidi agli autotrasportatori e vincolando le risorse all’acquisto di mezzi più efficienti e premiando le imprese che scelgono l’integrazione modale con ferro e navi; eliminando nelle isole minori i privilegi di cui godono vecchie centrali diesel e spostando la produzione verso solare, eolico, biometano e idroelettrico; cancellando le esenzioni dal pagamento delle accise di cui beneficiano le auto diesel e i voli di linea”.
Sussidi alle trivellazioni, CIP6 alle fonti assimilate, extra-costi per le isole minori, sussidi indiretti alle aree geograficamente svantaggiate, esenzioni per imprese energivore, finanziamenti pubblici, contributi a impianti e centrali, incentivi alla gassificazione da fossili, esenzioni oneri di sistema, garanzie e prestiti pubblici, elusioni reti interne: il dossier di Legambiente elenca un incredibile numero di sussidi di diverso tipo, nati in periodi e con motivazioni differenti. Indica, anche, come intervenire per ridurli o cancellarli o orientare le risorse in modo da premiare l’innovazione.
Tra tutti, di particolare rilievo sono:
i sussidi alle trivellazioni, che riflettono bene come l’intero sistema sia stato costruito in anni in cui l’interesse dello Stato combaciava con quello dell’ENI e, diversamente da oggi, non vi era alternativa all’utilizzo di combustibili fossili. Una delle maggiori criticità riguarda le royalties, che sono del 10% per le estrazioni in terra ferma e del 7% per quelle in mare. Per capire la dimensione del fenomeno, si consideri che, secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, Eni (ed Eni Mediterranea Idrocarburi S.p.A.) per l’estrazione di gas e petrolio del 2017 ha versato un importo complessivo di 117.514.111 euro, di cui 53,3 milioni allo Stato, 52,5 milioni alle Regioni coinvolte e 7,5 milioni di euro ai Comuni. Per un confronto: in Norvegia le royalties sono in media del 78%, nel Regno Unito oscillano tra il 68 e l’82%, in Danimarca il sistema non esiste più e il prelievo fiscale tocca il 77%. Anche nei Paesi a bassa produzione simili all’Italia, come Irlanda e Francia, le tasse pagate dalle società per produrre gas e petrolio arrivano fino al 50%. Legambiente propone di adeguare le nostre royalties almeno al 30%: invece di 117,5 milioni ci troveremmo con un gettito da 414 milioni di euro.
Ci sono poi le esenzioni: in base alle leggi italiane, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, le prime 50 mila tonnellate di petrolio prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare. Addirittura gratis, cioè esentate dal pagamento di qualsiasi aliquota, le produzioni in regime di permesso di ricerca. In pratica, stando ai dati del ministero dello Sviluppo Economico, parliamo per il 2017 di 434.580 tonnellate di petrolio estratte (10,5% del totale) e di 2.202 milioni di Smc pari al 38,9% del totale. Questo si traduce in circa 58 milioni di euro di mancati introiti per lo Stato, di cui circa 36,4 milioni euro da parte di Eni e 4 milioni circa da Edison. I canoni sono appena stati aumentati, nel decreto Semplificazioni, di 25 volte, ma le cifre rimangono ridicole: si passa da 2,58 euro per kmq per i permessi di prospezione a 64,5, da 5,16 euro per i permessi di ricerca a 129, da 41 euro a 1.033 per le concessioni di coltivazioni.
Nello specifico in Emilia-Romagna sul totale di 1.539.239 di tep estratte annualmente (quasi esclusivamente gas), solo il 36,6% è soggetto a royalties con un mancato gettito per le casse di Regione e Comuni stimabile in circa 6,5 milioni di euro.
i finanziamenti pubblici a progetti internazionali: tra il 2017 e il 2018 sono state almeno 10 le operazioni che hanno coinvolto una o più società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti a sostegno del settore Oil&Gas per un ammontare complessivo di 2,21 miliardi di euro, 1,49 miliardi nel 2018. Ci sono garanzie a finanziamenti, come nel caso di SACE per il finanziamento da 625 milioni di dollari da parte di BBVA SA Milan Branch a Kuwait National Petroleum Company per l’ammodernamento e l’espansione delle raffinerie Mina Abdullah e Mina Al-Ahmadi in Kuwait. O il supporto assicurativo, sempre da parte di SACE, a Sicilsaldo per la realizzazione di un nuovo metanodotto in Messico. O ancora l’acquisizione da parte di SIMEST dell’11% di Ansaldo Energia Switzerland.
le esenzioni e le riduzioni per l’utilizzo di combustibili fossili in diversi settori: 28 voci di sussidio alle fonti fossili che entrano direttamente nel bilancio dello Stato. Si tratta di detrazione e/o riduzione di accise, sconti diretti e indiretti, per un totale di 3.380,8 milioni di euro.
gli extracosti per le isole minori - che concorrono a formare il costo in bolletta e sono pagati dagli utenti finali - ammontano a 64 milioni di euro. Servono per coprire i costi di piccole aziende elettriche che operano sulle isole minori, con consumi di poche decine di GWh/anno e una produzione complessiva di circa 200 GWh. A questi vanno aggiunti 10 milioni di euro destinati alle 8 isole non interconnesse e ammesse al “regime di reintegrazione dei costi per attività di produzione”, produzioni molto basse, anche in questo caso a spese dagli utenti finali. Nati in un’ottica condivisibile, questi incentivi sono diventati, però, nel tempo un freno all’innovazione e una voce che ripaga la produzione di centrali vecchie e inquinanti in regime di monopolio dove l’operatore controlla anche la rete, impedendo di fatto lo sviluppo di impianti da fonti rinnovabili.
i 6.981,96 milioni di euro che il settore Oil&Gas riceve direttamente e indirettamente sotto forma di sconti ed esenzioni, secondo il Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e favorevoli pubblicato dal Ministero dell’Ambiente nel 2017. Particolarmente assurde le esenzioni dalle accise di cui beneficia il trasporto aereo per 1,5 miliardi di euro all’anno.
Ci sono inoltre i contributi a impianti e centrali attraverso la componente PD della bolletta elettrica destinata alla copertura dei costi di dispacciamento, cioè l’insieme di servizi che garantiscono l’equilibrio tra l’energia immessa nel sistema e quella prelevata. Tra le voci di spesa coperte con questa componente figurano i corrispettivi a copertura dei costi delle unità essenziali per la sicurezza del sistema, dei costi per la remunerazione della disponibilità di capacità produttiva e quelli a copertura dei costi per remunerazione del servizio di interrompibilità. “Gli impianti essenziali” sono costati nel 2017 ai contribuenti 327,5 milioni di euro, l’interrompibilità 359,8 milioni di euro, mentre per gli interconnector - linee elettriche finanziate da soggetti privati, di connessione con l’estero previste con l’obiettivo di potenziare i collegamenti con i Paesi confinanti - sono stati pagati in bolletta, sempre dagli utenti finali, 330,8 milioni di euro.
Gli utenti pagano inoltre in bolletta, attraverso la componente Asos, prima Ae, lo sconto sugli oneri di sistema alle cosiddette “aziende energivore”, identificate dal Decreto del 5 aprile 2013 come quelle caratterizzate da un consumo annuo superiore ai 2,4 GWh di energia elettrica e da un indice di intensità energetica superiore al 2%. Una voce di 689 milioni di euro nel 2017, che, in virtù del decreto del ministero dello Sviluppo Economico del 21 dicembre 2017, pesa per il 2018 tra 1.700 e 1.800 milioni di euro secondo l’Autorità per l’energia. Un altro aiuto riservato ai clienti con potenza interrompibile superiore a 40 MW è l’esenzione degli oneri di dispacciamento il cui costo riservato invece ai consumatori è compreso tra 100 e 150 milioni di euro.
Tornando alle proposte di Legambiente, illustrate dettagliatamente nel dossier, gli investimenti possibili eliminando i sussidi alle fossili si possono sintetizzare in 4 miliardi in più al Servizio Sanitario Nazionale e al Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente per garantire i fondi necessari per l’esercizio dei controlli e della prevenzione, perché nel 2019 per il SSN sono stati stanziati 114,4 miliardi che dovrebbero essere incrementati di 2 miliardi nel 2020 e di 1,5 miliardi nel 2021, ma le risorse sono sempre più ridotte;
4 miliardi in più all’istruzione scolastica e all’Università, perché a tanto corrisponde la riduzione prevista per il triennio 2019-21 in un settore che ha già subito tagli negli anni scorsi;
3 miliardi in più per il Fondo Nazionale Trasporti, non solo per evitare ulteriori tagli drastici al servizio ma anche per rilanciarlo, determinando ampi benefici per l’intero sistema economico nazionale;
3 miliardi per la lotta al dissesto idrogeologico e per l’adattamento ai cambiamenti climatici, anche se molto di più dovrebbe essere destinato a queste voci e alla prevenzione del rischio sismico.
Sarebbe, inoltre, opportuno introdurre il divieto di investire nelle fonti fossili per i fondi pensione privati e per le imprese a partecipazione pubblica, prevedendo l’obbligo di un piano di disinvestimento per quelle attualmente operative nel settore.
Il dossier integrale “Stop sussidi alle Fonti Fossili” è scaricabile a QUESTO LINK
Dal 27 al 29 marzo di quest’anno si terrà a Ravenna al Pala de Andrè, la 14esima edizione dell’OMC (Off Shore Mediterranean Conference), la fiera che affronta il tema dello sfruttamento di idrocarburi in tutto il bacino del Mediterraneo e che vede partecipare molti dei più grandi attori anche internazionali, del comparto.
L’iniziativa si svolge ogni 2 anni e quest’anno saremo alla 14° edizione; pertanto, si organizzano una serie di iniziative di contrasto e di dibattito alternative a quanto la stessa OMC andrà a proporre.
Martedì 12 Marzo 2019, i comitati acqua dell'Emilia-Romagna e la Rete regionale rifiuti zero, assieme ai consiglieri regionali di Sinistra Italiana, M5S, Misto-Per i molti e Altraemiliaromagna, hanno tenuto una conferenza stampa per annunciare la presentazione di una proposta di legge regionale in tema di acqua e rifiuti.
La proposta di legge sarà presentata sia come proposta di legge di iniziativa popolare comunale (occorrono a questo proposito deliberazioni di Consigli Comunali che rappresentano almeno 50.000 cittadini), sia come proposta da parte dei consiglieri suddetti.