Precisazione de L'Altra Faenza, sulla riorganizzazione del servizio118
Prendiamo atto della replica dell'Ausl sulla riorganizzazione dell'assetto dei mezzi dell'emergenza 118, secondo la quale, non sarebbe cambiato nulla, se non il nome e il codice di identificazione di 2 mezzi.
Noi ci siamo limitati a raccogliere la percezione, di una parte dei lavoratori, sui possibili effetti di riduzione del servizio per effetto di questa riorganizzazione.
Sarà nostra premura verificare esattamente la situazione in tutti i territori limitrofi e vigilare perché ciò non avvenga, per garantire la miglior efficienza dei servizi sanitari, che a differenza di quanto affermato, non sempre brilla in ogni settore, ma che la Ausl deve garantire a tutti i cittadini.
Faenza, 5 luglio 2019
L'Altra Faenza
“Abbiamo appreso della recentissima decisione del Direttore del 118, dott. Maurizio Menarini, di togliere una ambulanza di servizio a Faenza, non se ne capisce la ragione” ha dichiarato Edward Necki, Consigliere de L'Altra Faenza, proprio in un periodo nel quale probabilmente sta aumentando la necessità”.
Quindi, l'attuale assetto delle ambulanze sul nostro territorio sarebbe di 1 ambulanza a Russi, 1 a Riolo Terme, 1 a Faenza. Solo ieri, martedì 2, a Faenza ci sarebbero stati 14 interventi in 12 ore, più alcune chiamate rimaste inevase. Questa situazione riduce la qualità del servizio e la sicurezza dei cittadini.
“Per questo – ha concluso Necki – mi attiverò con una interpellanza urgente al Sindaco di Faenza e Presidente dell'URF, per chiedere spiegazioni e per sollecitare un servizio di pronto soccorso efficiente e sicuro, perché non è possibile che, anche in questo caso, l’AUSL penalizzi Faenza e i suoi cittadini”.
Faenza, 3 luglio 2019
L'Altra Faenza
La Goletta Verde di Legambiente lancia da Rimini l'appello per l’immediato smantellamento delle 34 piattaforme inattive e abbandonate nei nostri mari.
Un piano per l’Adriatico: riconvertire il settore off- shore del fossile partendo dal distretto di Ravenna
Legambiente: “Emilia Romagna ancora troppo dipendente dalle fossili. Paradossale che ENI si ostini ancora nell’estrazione delle fossili e non investa in impianti ad energia rinnovabile, se non pochi kW per impianti sperimentali.”
Un piano per l’Adriatico per salvare clima e lavoro, partendo dal grande “cantiere” di dismissioni delle piattaforme e dalle energie rinnovabili.
E’ questo quanto ha presentato Legambiente oggi a Rimini nel dibattito a cui hanno preso parte il Sindaco di Ravenna Michele De Pascale, Ivan Missiroli Fiom Ravenna, Alberto Bernarbini di Quint’X; Franco Nanni rappresentante settore off shore; Paolo Calvano, Consigliere Regionale Emilia Romagna; Marco Croatti, Commissione Industria del Senato; Rappresentanti del Friday for future Rimini
Secondo l’associazione ambientalista il settore degli idrocarburi in Emilia Romagna è da tempo in crisi. Lo è dal punto di vista dell’occupazione e del fatturato e nonostante i tanti “regali” che i Governi hanno garantito alle società del fossile. Sarebbe inutile e sbagliato pensare che il settore artigianale ed industriale dell’indotto possa essere risollevato con ulteriori regali alle lobby delle fossili aggravando la crisi climatica.
Nelle condizioni attuali, occorre al contrario rivolgere l’attenzione politica e delle forze economiche e sindacali, verso un netto cambio di passo che offra anche una seria e pragmatica riconversione dell’intero settore industriale, puntando sulle rinnovabili e sul decommissioning delle piattaforme.
“Nel mare italiano sono 138 gli impianti offshore, 94 dei quali nella fascia delle 12 miglia. Di questi almeno 34 possono essere smantellati subito, perché mai partiti o non più produttivi - afferma il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti -. L’attivazione di un programma di dismissione cadenzato e razionale porterebbe ad un vero e proprio “cantiere” diffuso della durata di non meno di 15-20 anni. Un tempo di fatto compatibile con una transizione economica sempre meno dipendente dal fossile. Ma il percorso verso la riconversione energetica - conclude Zampetti - passa anche dalla cancellazione dei sussidi alle fonti fossili che in Italia ammontano a circa 18 miliardi di euro all’anno tra diretti e indiretti”
Anche sul programma di dismissione delle piattaforme ormai fuori produzione, il sistema nazionale sta garantendo alle società petrolifere benefici ingiustificati, senza chiederne le dismissioni. Spostando avanti nel tempo gli investimenti e le spese a carico delle aziende.
Tra le piattaforme da smantellare almeno 15 si trovano entro le 12 miglia marine nell’Adriatico ravennate. Ovviamente il Decommissioning avviato sul livello locale garantirebbe anche la formazione di uno specifico know-how da potersi spendere anche su un mercato globale.
Non solo dismissioni, ma anche nuove installazioni: in particolare si è dibattuto della fattibilità di eolico off-shore lontani dalla costa, reso più interessante grazie alle nuove tecnologie. Oltre ad investimenti su solare, biometano, e risparmio energetico.
“E’ ovvio che se la guida di un simile percorso può essere solo nazionale - dichiara Lorenzo Frattini Presidente di Legambiente Emilia Romagna - le spinte dal territorio, a cominciare da Regione Emilia Romagna e rappresentanti dell’area ravennate (politica, come aziende e sindacati) devono chiedere di andare nella giusta direzione.”
Da tempo Legambiente chiede inoltre che la principale azienda energetica controllata dallo Stato, cioè l’ENI, riorienti i propri investimenti in modo significativo verso le energie verdi ed il risparmio energetico. Purtroppo su questo il lavoro è tutto da fare.
Nel pieno della crisi climatica ENI non manifesta infatti alcun impegno sulle rinnovabili in Emilia Romagna, eccetto alcuni impianti pilota per l'energia da maree, partiti quest’anno. E’ drammatico che in una delle regioni dove ha maggiori interessi nazionali, ENI non abbia attivato un parco di impianti ad energia rinnovabile, se non pochi kW per impianti sperimentali.
Una inadeguatezza dell'azienda, ma anche un fallimento della politica che continuamente rivendica la centralità dell'Emilia Romagna sul settore energetico tradizionale, ma non è stata in grado di ottenere di più sulle energie verdi.
“Investimenti che non guardano al futuro e che non garantiranno la sopravvivenza del settore - sostiene sempre Frattini -. Per questa ragione è importante riflettere su nuovi modelli e motivare le aziende del fossile ad innovarsi. Serve più lungimiranza nelle politiche energetiche nazionali e regionali: l’Emilia Romagna vede oggi solo un 10,5 % di quota rinnovabile”.
Ancora oggi invece, buona parte degli idrocarburi estratti in Emilia Romagna è esente da royalties: nel 2018 la produzione è stata esentata per il 63% con un “mancato introito” pubblico di oltre 6 milioni di euro. Anche il mancato adeguamento ai parametri di altri Paesi dei canoni di concessione, nonostante ci sia stato un piccolo rialzo di recente, ha portato un mancato incasso da parte della Regione di 50 milioni di euro.
L’associazione ha concluso ricordando l’emergenza climatica che colpisce già in modo forte in modo forte anche la Regione. “Un’emergenza che, nel nostro territorio - ha concluso il Presidente di Legambiente Emilia Romagna, Fratini - si traduce irreversibilmente in danni alla costa, sempre più soggetta a mareggiate e rischio ingressione. Assistiamo ad una miscela esplosiva: la somma di subsidenza, innalzamento del mare e mancanza di apporto solido dai fiumi sempre più artificiali. In questo quadro e con risorse pubbliche finite, è evidente che nei decenni futuri le istituzioni non potranno difendere in modo adeguato tutta l'intera costa regionale. La politica dovrà fare scelte difficili e capire come gestire questo rischio, oggi del tutto trascurato”.
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Autonomia differenziata. È stato un errore che il governo Gentiloni abbia fatto pre-intese con le regioni interessate per i nuovi poteri. Gli errori ci sono, ma l'unico modo per affrontarli è scegliere la stella polare dell'interesse nazionale, correggendo quello che è necessario e invitando tutta l'opposizione a contrastare con decisione la pressione leghista
Il rinvio della decisione sull’autonomia differenziata offre la possibilità di continuare la campagna di informazione e di critica sul pericolo che incombe sul futuro dell’Italia. Sulla forte spinta di Salvini per farla subito, complice la batosta elettorale del del M5S. E il periodo luglio-agosto è storicamente quello dei colpi di mano parlamentari.
La scuola – uno dei punti di maggiore resistenza a questa follia istituzionale che rischia di spezzare il nostro paese – prima di settembre difficilmente potrà rilanciare un’azione di contrasto. Salvini lo sa e tenta di costringere i 5S a subire, sotto il ricatto della crisi di governo. La scuola non è l’unico settore in cui l’autonomia differenziata a trazione leghista può creare fratture non ricomponibili tra regioni
La voce dal sen fuggita di Zaia, dopo la decisione sulle olimpiadi invernali, rende evidente un disegno di allontanamento del Veneto e della Lombardia dal resto dell’Italia, prendendo a modello la Baviera.
La pressione di due regioni molto importanti del nostro paese per ottenere tutti i poteri possibili, fino all’affermazione che il 90% delle risorse debbono restare in Veneto, indica con chiarezza che il rischio dell’Italia è una frattura in cui le regioni economicamente più forti abbandonano sostanzialmente al loro destino le altre. Altrimenti non si spiega perché la trattativa tra Veneto, Lombardia e governo è avvenuta in gran segreto, fino a quando qualcosa è trapelato ed è stato possibile iniziare a contrastare questo disegno.
Perché l’Emilia Romagna si sia accodata, sia pure con meno pretese, è difficile da comprendere. Questo regionalismo estremizzato, volto a conquistare nuovi ed estesi poteri, mette a rischio l’unità del paese, ed è una scelta avvenuta senza alcun coinvolgimento delle altre regioni, del tutto all’oscuro della trattativa tra Veneto, Lombardia e governo.
Il tentativo della Lega di governo è stato fare accordi diretti con le regioni da portare in parlamento senza la possibilità di emendarli, da approvare o respingere in toto come se si trattasse di confessioni religiose. Per di più bloccando la possibilità di sottoporre queste decisioni a referendum abrogativo, come può avvenire sulle altre leggi.
La Lega di Salvini vuole presentarsi come un partito nazionale, per prendere voti ovunque, ma in realtà questa propaganda nasconde la sostanza della separazione di queste regioni, in realtà la Lega di Salvini non è altro che la proiezione politica della Lega Nord.
La debolezza di Di Maio e dei 5 Stelle dopo la sconfitta alle europee offre alla Lega l’occasione per l’affondo sui nuovi poteri per Lombardia e Veneto, a conferma che la Lega è il dominus della coalizione.
Anche il Pd deve cambiare orientamento. La riforma costituzionale del 2001 sul titolo V si è rivelata un errore. La correzione tentata da Renzi era inaccettabile e tuttavia a suo modo confermava l’esistenza del problema.
Tuttavia neppure dal titolo V del 2001 discende l’autonomia differenziata nella versione estremista della Lega che rappresenta la forzatura del nuovo dettato costituzionale, al di là dei suoi difetti.
È stato un errore che il governo Gentiloni abbia fatto pre-intese con le regioni interessate per i nuovi poteri, tanto più che era in ordinaria amministrazione.
Gli errori ci sono, ma l’unico modo per affrontarli è scegliere la stella polare dell’interesse nazionale, correggendo quello che è necessario e invitando tutta l’opposizione a contrastare con decisione la pressione leghista.
Diritti fondamentali come istruzione, salute, lavoro, ambiente, beni culturali e demaniali diventerebbero differenti a seconda della regione di residenza.
Siamo di fronte ad un passaggio decisivo da cui può dipendere anche il futuro delle classi sociali, della loro rappresentanza. Da questa forzatura della Costituzione può derivare una seria minaccia per una visione unitaria e nazionale. Anche i contratti di lavoro potrebbero cambiare radicalmente, fino a far tornare dalla finestra le gabbie salariali. Scendere in campo è necessario, con chiarezza e impegno, anche per le imprese che dopo avere alzato la bandiera della semplificazione si troveranno a fare i conti con normative diverse da regione a regione.
Un passaggio così decisivo per il futuro del nostro paese va bloccato unendo tutte le energie necessarie all’obiettivo comune.