E' possibile sottoscrivere l’Appello No all'autonomia che divide andando al link:
http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/2019/02/15/firma-la-petizione-su-change-org/
Rivolgiamo un appello a donne e uomini liberi, alle soggettività politiche e sindacali, al mondo dell’associazionismo, ai movimenti che si riconoscono nei principi di uguaglianza e nell’universalità dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
Un appello per incontrarci e costituirci in un Coordinamento nazionale in difesa della Repubblica, dell’universalità dei diritti e della solidarietà nazionale contro il federalismo differenziale.
Va avanti l’approvazione “dell’autonomia regionale differenziata”, nel silenzio generale mentre l’opinione pubblica viene distratta dall’assordante propaganda razzista e xenofoba. Senza discussione politica diffusa e all’insaputa di milioni di cittadine/i si sta per determinare nel giro di poche settimane la mutazione definitiva della nostra architettura istituzionale, la destrutturazione della nostra Repubblica.
La vicenda è partita con i referendum svolti in Veneto e Lombardia nel 2017, cui ora si vuole dare seguito senza tenere alcun conto dei principi di tutela dell’eguaglianza, dei diritti e dell’unità della Repubblica affermati dalla Corte Costituzionale
La Lega che ha voluto i referendum in Lombardia e Veneto oggi è al Governo e pretende che il governo dia risposte interpretando le norme costituzionali sull’autonomia in modo eversivo per l’unità nazionale e l’universalità dei diritti. La maggioranza politica giallo verde non può consegnarsi alle istanze secessionistiche della Lega. Il Pd farebbe bene ad opporsi non solo a questa richiesta targata Lega ma anche all’autonomia differenziata posta dalla maggioranza PD dell’Emilia Romagna, in forme solo in parte dissimili. Dal 2017, durante il governo Gentiloni, ad oggi sulla scia di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna anche altre Regioni si stanno attivando per ottenere maggiori poteri e risorse grazie alla sciagurata modifica del Titolo V della Costituzione del 2001.
Di fronte al rischio di una “secessione dei ricchi” è necessario un coordinamento delle forze che si oppongono a questo processo per dare vita a una mobilitazione efficace per bloccarla.
Un coordinamento che chieda anche una commissione di inchiesta parlamentare, ai sensi dell’art. 82 della Costituzione, sull’attuale stato delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali in ciascuna Regione Italiana, in modo da fotografare la situazione attuale già fortemente compromessa. Da una seria inchiesta parlamentare, tenuta anche a informare adeguatamente i cittadini, risulterebbero infatti gravi disparità fra Regione e Regione (soprattutto fra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, fra regioni del nord e del sud del Paese).
La gestione e l’attribuzione delle risorse deve restare in un ambito nazionale condiviso da tutte le regioni e dai comuni
Questa verifica aprirebbe finalmente un dibattito consapevole, basato su dati oggettivi, sullo stato dei diritti in Italia e non favorirebbe ulteriori fughe in avanti, destinate ad aggravare ancora di più le disparità fra i cittadini residenti nelle diverse regioni italiane, che nel caso della sanità sono già al limite per il SSN.
Non sono stati nemmeno definiti e garantiti in tutto il territorio nazionale i livelli essenziali di prestazione (LEP) nei diversi campi, rispetto ai quali dal 2001, a seguito della riforma del titolo V° della Costituzione, esiste un vuoto normativo, come denunciato più volte dalla Corte Costituzionale. Ogni scelta deve inoltre essere definita con il consenso di tutte le regioni e i Comuni, perché non è accettabile che diritti fondamentali vengano riservati ad alcune regioni e ad altre no, che le risorse vengano differenziate a danno delle aree più deboli e in difficoltà del nostro paese.
Il sistema di istruzione non è un semplice servizio ma una funzione primaria dello stato che in base alla Costituzione deve garantire il diritto sociale all’istruzione in tutto il paese fino ai massimi livelli.
Riteniamo necessario che non vi debbano essere ulteriori trasferimenti di poteri e risorse alle regioni su base bilaterale e che i trasferimenti sulle materie a loro assegnate debbano essere ancorati esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.
L’Autonomia regionale differenziata non può avvenire a scapito anche delle autonomie locali, le istituzioni più vicine alla cittadinanza, in quanto le esproprierebbe di alcuni poteri a favore di nuovi carrozzoni centralizzati e inefficienti a livello regionale.
In questo contesto di grandi egoismi verrebbe soppressa l’universalità dei diritti, trasformati in beni di cui le Regioni potrebbero disporre a seconda del reddito dei loro residenti; per poterne usufruire nella quantità e qualità necessarie, non basterebbe essere cittadini italiani, ma esserlo di una regione ricca, in aperta violazione dei principi di uguaglianza scolpiti nella Costituzione.
In questo quadro vi sarebbe una ricaduta negativa prioritariamente sulle regioni del Sud e sugli abitanti non ricchi di tutt’ Italia con la progressiva privatizzazione dei servizi. Il Mezzogiorno viene condannato a essere privo di pari riconoscimento della cittadinanza, con ancor maggiore desertificazione degli investimenti e sempre più debole economia. L’autonomia regionale differenziata negherebbe così la solidarietà nazionale, la coesione e i diritti uguali per tutte/i che garantiscono l’unità giuridica ed economica del paese.
Di fronte a tutto questo, vi sono le nostre ragioni, l’esigenza di un’opposizione e di una lotta politica e sociale in difesa dell’universalità dei diritti e della solidarietà nazionale.
Roma, 15 febbraio 2019
Promotrici/ori:
Paolo Berdini, Piero Bernocchi, Piero Bevilacqua, Marina Boscaino Loredana De Petris, Gianni Ferrara, Eleonora Forenza, Loredana Fraleone, Domenico Gallo, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Loredana Irene Marino, Roberto Musacchio, Rosa Rinaldi, Antonia Sani, Francesco Sinopoli, Giovanni Russo Spena, Guido Viale,Gianfranco Viesti, Massimo Villone, Vincenzo Vita, Eugenio Mazzarella, Alfonso Gianni, Pietro Adami, Mauro Beschi, Gaetano Rivezzi, Giulia Venia, Antonio Pileggi, Antonio Di Stasi, Fiorenzo Fasoli, Giulia Rodano, Maurizio Acerbo, Francesco Di Matteo, Rino Malinconico, Tomaso Montanari, Moreno Biagini, Maria Paola Patuelli, Mari Agostina Cabiddu, Maria Ricciardi, Fabrizio Bellamoli, Luigi Pandolfi, Antonio Caputo, Daniela Caramel, Raffaele Tecce, Claudia Berton, Miria Pericolosi, Beppe Corioni, Cristina Stevanoni, Francesco Baicchi, Dino Greco, Silvia Chiarizia, Enzo Camporesi, Maria Longo, Guido Liguori, Vittorio Agnoletto, Ugo Mattei, Sergio Caserta, Filippo Ronchi, Emilio Zecca, Vannino Chiti, Dante Loi, Mauro Cherubini, Vincenzo Laschera, Yorgos Panussis, Simonetta Venturini, Katia Zanotti, Nadia Urbinati, Nicola Fratoianni, Pancho Pardi, Cesare Antetomaso, Paolo Maddalena, Rosella De Troia
Lettera aperta ad istituzioni e parti sociali per non assecondare l’iniziativa
Nello stesso momento in cui studenti e società civile scendono nelle piazze d’Europa per chiedere azioni urgenti per fermare il riscaldamento globale, in Emilia Romagna si prepara una manifestazione a favore di autostrade e infrastrutture dedicate alla mobilità privata su gomma. Una strategia opposta alla decarbonizzazione dei trasporti non solo necessaria ma soprattutto urgente per rispettare gli accordi di Parigi.
Al netto delle motivazioni relative ai corretti rapporti tra istituzioni, l’ipotesi che Amministrazioni e parti sociali di questa regione scendano in campo nel 2019 sotto il vessillo delle autostrade ha qualcosa di triste e suona come la campana a morto di una stagione ormai conclusa. Una stagione in cui il tessuto sociale, imprenditoriale e politico dell’Emilia Romagna si è sempre dimostrato all’avanguardia nella capacità di elaborare e dar vita ad un nuovo futuro (dagli asili modello, alle norme sull’urbanistica, passando per i primi sistema di protezione integrata in agricoltura, … ). Oggi vediamo invece il sindaco di Bologna (!) e il presidente della Regione(!) chiamare a raccolta le forze sociali per difendere colate di asfalto simbolo stesso del passato e degli impatti sull’ambiente.
Non vogliamo apparire ideologici: strade e autostrade nel ‘900 sono servite a fare crescere la nazione, ed in misura limitata può essere utile completarne alcune lungo la penisola. Ci sembra però evidente come nel ventunesimo secolo non sia questa la risposta alle necessità di mobilità e di crescita del paese e della regione. Molti altri temi oggi meriterebbero la mobilitazione di ampie parti della società: dalle azioni per decarbonizzare l’economia contro l’emergenza climatica, alla difesa dei diritti delle persone e dei principi di convivenza oggi messi sotto attacco nel Paese. Temi peraltro che sono accomunati da uno stesso modello di crescita squilibrato.
Scriviamo dunque alle forze sociali, ai sindacati, alla politica, agli stessi amministratori ed elettori che militano nella parte politica di Merola e Bonaccini, perchè prendano le distanze da una scelta sciagurata: aprire uno scontro sui residuati di una pianificazione infrastrutturale di 20 anni fa. Opere che sono anche il simbolo stesso di uno sviluppo che la stragrande maggioranza degli scienziati, oltre che degli stati più avanzati, giudica a fine corsa.
Ci è chiaro che nel mezzo di una crisi economica perdurante, sarebbe folle non occuparsi del lavoro. Ma credere ancora che la crescita economica debba avvenire a discapito dell’ambiente è una visione che può solo acuire entrambe le problematiche, quella del degrado del pianeta e quella del diritto al lavoro.
Sbagliata anche la narrazione che si è fatta su queste opere, come soluzione salvifica per il mondo dell’ediliza. Degli interventi oggetto di confronto (Bretella di Sassuolo, Cispadana, adeguamento del nodo bolognese), se ne discute da un quindicennio e più. Imprese e mondo del lavoro avrebbero molte più chance di vedere aprirsi cantieri su opere davvero utili per clima, ambiente, e vita dei pendolari. Tante le ha ricordate anche la nostra associazione (dai tram, all’ammodernamento delle linee ferroviarie minori passando per l’adeguamento dei ponti malandati sul Po). Lo stesso PUMS di Bologna (il piano della mobilità sostenibile) sarebbe un progetto su cui fare convergere le forze di tutti (maggioranza e opposizione).
Un altro degli argomenti proposti a favore delle autostrade è quello della necessità di portare le merci verso il nord Europa, oppure di aiutare il turismo.
Ma lungo l’arco alpino, Svizzera e Austria stanno attuando chiare politiche di spostamento del traffico merci su ferro, in particolare al Brennero che impone limiti al numero di camion, in vista dell’apertura del Brenner base Tunnel, corridoio ferroviario per merci e passeggeri. La Svizzera ha realizzato l’importante traforo ferroviario del Gottardo, finanziando addirittura interventi su suolo italiano per il potenziamento dei terminal dove arriva l’operatore elvetico Hupac. Ma anche la Germania si è mossa dotandosi di un operatore ferroviario “di bandiera” attivo nel nostro paese, con l’acquisto di una società privata italiana.
Sul lato del comprensorio turistico romagnolo invece quello che veramente manca per essere al pari con la modernità è un sistema di trasporto pubblico di massa costiero che non è nemmeno presente nei documenti di programmazione.
E’ compito della politica pianificare infrastrutture all’avanguardia che favoriscano la mobilità pubblica, collettiva ed a emissioni zero. Ancora più prioritario nella nostra regione immersa nel bacino padano, area d’Europa che registra il più alto numero di decessi per la cattiva qualità dell’aria. Dalle parti sociali dovrebbe arrivare un sostegno a questo tipo di percorso con la richiesta, semmai, di politiche industriali coerenti nel tempo e nei diversi livelli di governo: al riparo dagli antagonismi tra schieramenti. Come non vedere il paradosso di piani per la mobilità pubblica che vanno a rilento mentre la principale industria di autobus italiana, che ha sede nella nostra regione, sta chiudendo i battenti.
E’ evidente infine che lo scontro in atto polarizza mediaticamente gli schieramenti in una sfida che fa parte di una campagna elettorale permanente. Vogliamo rimanere nel merito.
Il ministero delle infrastrutture ha fatto bene a cercare di onorare quanto promesso (e dunque atteso) in campagna elettorale: la riconsiderazione di opere come la Bretella Campogalliano-Sassuolo e il ridimensionare gli impatti del Passante di Mezzo di Bologna. Crediamo queste scelte vadano giustamente portate avanti con ogni opzione politica.
E’evidente che uno dei temi sullo sfondo è anche quello del corretto rapporto tra istituzioni: il mancato coinvolgimento degli enti locali sul cambio di progetto del Passante di Mezzo, rischia oggettivamente di determinare precedenti pericolosi.
Crediamo che pur nella fermezza della sua posizione il ministro Toninelli dovrebbe aprire il tavolo su Bologna. In questo tavolo andrebbero messe al primo posto le opere del trasporto collettivo in attesa di partire da troppo tempo (ad es. il Servizio Ferroviario Metropolitano di Bologna attende di essere completato da oltre un decennio). Riteniamo inoltre che il ministero dovrebbe affrontare il tema delle risorse di Autostrade per il nodo bolognese, lasciando da parte l’obiettivo di generare un risparmio di cui si è letto sui giornali.
Autostrade da tempo aveva accantonato 1200 milioni per il nodo bolognese: il tema non è fare risparmiare la Società, ma usare queste risorse per la mobilità dei cittadini della Città Metropolitana, utilizzandole anche e soprattutto per un trasporto pubblico economico ed efficiente, che renda non competitivo l’utilizzo del mezzo privato per gli spostamenti casa-lavoro e casa-studio 1. Una richiesta sullo stanziamento economico, avanzata alla politica e al sindaco di Bologna già dal 2016.
Sulla Bretella Campogalliano-Sassuolo e Cispadana appaiono invece del tutto pretestuose le recriminazioni del Presidente Bonaccini. In questo Paese manca da sempre un Piano nazionale delle infrastrutture che metta in relazione le risorse con le priorità. E’ una necessità che i governi mettano in fila le scelte infrastrutturali previste nei vari territori e valutino quali abbiano senso. Tanto più che se parliamo della Cispadana autostradale è lo stesso project financing a dimostrare enormi limiti facendo acqua da tante parti.
Certamente su questi temi non mancano le contraddizioni anche a livello governativo, come la proposta di aumento dei limiti di velocità per le auto (quando per l’inquinamento della pianura padana servirebbe invece ridurlo).
Al centro del confronto dovrebbero inoltre essere posti gli interventi di mitigazione per ridurre l’impatto dell’attuale asse autostrada-tangenziale, prendendo in considerazione la ricerca di soluzioni all’avanguardia (escludendo la costruzione di tragitti alternativi a nord e a sud)
Spinte di segno diametralmente opposto che vanno assolutamente arginate, se si vuole apparire coerenti.
Il problema dell’inquinamento dell’aria nel bacino padano, e delle morti che ne conseguono, deve essere in testa alle priorità nazionali e regionali. Dal ministero deve venire uno sforzo di maggiore coordinamento, per dare gambe al protocollo delle regioni del bacino padano che al momento è rimasto un libro dei desideri scritto su un documento mai attuato.
Bologna, 22 febbraio 2019