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Sullo stesso numero de “il Manifesto“ del 29 novembre in cui è stata pubblicata la bella intervista di Daniela Preziosi e Giovanni Stinco a Mattia Sartori (tra i promotori della mobilitazione delle “sardine” in Emilia-Romagna) https://ilmanifesto.it/noi-sardine-insieme-saremo-un-presidio-contro-la-deriva-leghista/ appare questo commento di Marco Bersani (fondatore di Attac Italia, fra i promotori del Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua e della Campagna «Stop TTIP Italia»). 
Esiste un obbligo morale, prima ancora un'opportunità politica, a rispettare l’autonomia del movimento delle Sardine e a evitare ogni strumentalizzazione: soprattutto chi spesso ha lavorato per soffocare i movimenti non può certamente ambire a mettervisi alla testa nè sfruttarne le posizioni. Ciò non significa che lo si debba circondare di una ovattata atmosfera di silenzio e protezione: è un movimento che esprime un’istanza politica ed è pertanto non solo utile ma giusto analizzarne i contenuti e discuterne le prospettive anche perché i suoi leader (per loro stessa ammissione) sono soltanto coloro che hanno voluto interpretare un bisogno proprio riconosciuto come diffuso e collettivo, ma non coloro che hanno un disegno compiuto da sovrapporre alle mobilitazioni spontanee. Ben vengano quindi le analisi sincere e l’interlocuzione critica.
Ecco perché dopo l’intervento di Michele Prospero di qualche giorno fa, apparso su “Strisciarossa” e centrato sugli effetti che il movimento può avere sulla trasformazione del Pd, riportiamo qui oggi quello di Marco Bersani che sottolinea l'urgenza di intercettare la frustazione sociale di coloro che hanno "la precarietà come quotidianità, la solitudine competitiva come orizzonte" e faticano perciò a immaginare un futuro, finendo così preda della "strategia autoritaria e razzista" della Lega.
AM

Nel mare aperto e in burrasca, il bivio delle sardine

di Marco Bersani

Che il Capitano del Papeete, tutto ruspe, bacioni e rancore, sia rimasto dapprima abbastanza spiazzato e poi intimorito dalla comparsa di branchi di migliaia di sardine, nel mare in burrasca dentro cui naviga questo Paese, non può che far piacere. Perché a chi da anni predica l’individualismo proprietario del chiudersi in casa e difendersi dall’esterno, le sardine hanno risposto con la ripresa delle piazze come luoghi dell’incontro collettivo.

Perché a chi da anni semina odio per raccogliere rancore elettorale, le sardine hanno opposto la forza dell’ironia, che ha reso il re improvvisamente nudo.
Perché a chi pensa che la società si sostanzi nella perenne competizione tra individui proprietari, le sardine hanno risposto con il mare aperto come luogo della cooperazione fra tutte e tutti. C’è tuttavia un passaggio, nel «manifesto» delle sardine ormai pubblicato sui social, che non può che far riflettere davvero problematicamente.

Ed è quando le sardine provano ad auto-riconoscersi così: «Siamo un popolo di persone normali, di tutte le età: amiamo le nostre case e le nostre famiglie, cerchiamo di impegnarci nel nostro lavoro, nel volontariato, nello sport, nel tempo libero. Mettiamo passione nell’aiutare gli altri, quando e come possiamo. Amiamo le cose divertenti, la bellezza, la non violenza (verbale e fisica), la creatività, l’ascolto».

Parole senz’altro positive, speranzose, in qualche modo anche sagge, ma…..davvero è questa la normalità della maggioranza delle persone di questo Paese?
Siamo un Paese dove tutti hanno una casa, una famiglia amorevole, un lavoro, un’istruzione e

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Per fermare il declino serve un’operazione di verità

di Michele Prospero dal blog strisciarossa

Fu nel crollo traumatico registrato dalla partecipazione nelle consultazioni regionali del 2014 che si consumò il vero, forse irreversibile declino del Pd. A seguito delle reazionarie legislazioni sul lavoro (dal jobsact alla cancellazione dell’articolo 18), varate dal governo guidato dal segretario del Pd, l’elettorato un tempo rosso preferì la fuga immediata. Persino Gianni Morandi allora si diede alla diserzione. Anche adesso che Renzi ha lasciato il Nazareno per tentare un’esperienza più consona alle sue credenze conservatrici di fondo, nel Pd prevale la rimozione della rottura radicale con il mondo del lavoro.

L’Emilia espugnabile
Nei giorni passati a Bologna per rinfrescare qualche idea da cui ripartire, di tutto si è parlato tranne che del vero nodo che ha reso espugnabile dalla destra sovranista anche le civili terre che hanno ospitato una quasi secolare subcultura rossa che ha inventato grandi modelli di società. Come si fa a difendere la bella fortezza assediata dai barbari con le camicie verdi senza fare i conti con la ferita che proprio dall’Emilia è stata inferta sulle tradizioni ideali del movimento operaio?

Non si può ricominciare senza affrontare, assieme alle responsabilità enormi del fiorentin fuggiasco, anche le complicità non meno distruttive riconducibili alla figura di Poletti. Già segretario di una federazione comunista, e poi presidente delle Coop, è stato il campione dell’ortodossia liberista nel governo Renzi. La sua parabola svela meglio di ogni altra cosa che le Coop sono diventate ben altra maschera rispetto alla straordinaria esperienza associativa che negli anni ’50 ebbe l’impulso dei militanti socialisti e comunisti licenziati dai padroni.  Con Poletti si avverte l’eco più dell’oltranzismo dell’impresa capitalistica che una memoria di cose archiviate. E questo come può non pesare?

La resistenza delle sardine
Davvero si può tenere l’Emilia e ricominciare un nuovo percorso politico della sinistra senza questo prioritario discorso di verità? Certo, il laboratorio tosco-emiliano contiene ancora grandi residui di esperienze di mobilitazione e di organizzazione politica. La bella manifestazione di piazza delle sardine è impensabile senza la vitale storia politica delle regioni rosse che si aggrappano alle loro ultime riserve e resistono all’estremo prima di consegnarsi alla destra. E però si tratta di un fenomeno prevalentemente cittadino, e entro le mura della città, si parla di una mobilitazione dei ceti informati, istruiti.

Resta lo stato cronico di abbandono dei ceti sociali colpiti dalla crisi che hanno maturato una coscienza di classe all’incontrario, e cioè hanno deciso l’appoggio ai partiti della destra populista e padronale per colpire con maggiore accanimento il tradimento della vecchia sinistra che li snobba e si rinchiude nel mondo etereo dei valori. La straordinaria vitalità della società civile “rossa” potrà nell’immediato scacciare i barbari padani e però la questione strutturale resta immutata.

Il non-partito senza memoria
L’equivoco del Pd va rimosso, non è la risposta

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Quando mai sui nostri giornali si parla dell’art. 32 della Costituzione?. Di rado, molto di rado. E quando mai si tessono le lodi del servizio sanitario nazionale? SSN, quello pubblico, quello che noi, noi Italia, abbiamo da 41 anni ed altri no. Che so ad es. l’Argentina, un paese civilissimo, pieno di italiani, un sistema sanitario veramente pubblico non ce l’ha proprio!
Ma la cosa che davvero non ti aspetti è che a tesserne le lodi sia Il tempio dell’opinione pubblica lombarda, il Corriere della Sera. Nella regione che ha un buon sistema sanitario ma forse quello, in Italia, che più di altri favorisce la sanità privata. Eppure ..

Eppure è lì, proprio lì sul Corrierone, che Sandro Spinsanti afferma  “da questa radice [l’art. 32 Cost. ndr.] è nato uno dei frutti della nostra vita sociale di cui siamo più orgogliosi: il Servizio Sanitario Nazionale..”.

 Si va beh, non è un editoriale in prima pagina, ma ci informa che “… Di recente il GIMBE ha diffuso un’immagine eloquente: medici che esaminano una radiografia ed esclamano: «Lo stiamo perdendo». Il malato, come mostra la radiografia, è l’Italia. Ovvero il suo SSN. Non si tratta dell’eterno problema del suo rifinanziamento. L’emergenza riguarda piuttosto i non celati progetti di smantellamento. …

Ora è pur vero che si tratta di una spalla a pag. 27 ma dove lo trovate uno che vi dice paro paro che: “ … Le minacce vengono dal regionalismo differenziato, che rischia di compromettere l’uguaglianza e la solidarietà, canoni fondamentali del sistema. Circolano anche espliciti inviti all’opting out. Tradotto: chi può permetterselo, scenda dalla nave prima che affondi, abbandonando il Ssn a favore di altri sistemi di copertura sanitaria. Né i partiti di governo, né quelli all’opposizione sembrano accorgersi dell’incombere del pericolo.  “
L’autonomia differenziata, proprio quella che Lombardia e Veneto esigono a suon di referendum e di dichiarazioni ultimative e che anche l’Emilia-Romagna, sia pur con qualche moderazione, incautamente richiede, sta lì secondo Spinsanti il pericolo del“Lo sgretolarsi della sanità universalistica: i cittadini lo sentono sulla propria pelle.”

Ok lo confesso, è a pag. 27 dell’inserto Salute del Giovedì, ma in fin dei conti chi è più sensibile a questi temi di chi cerca lumi sul reflusso laringofaringeo (meno noto di quello gastrico), sulle differenze fra la polmonite batterica e quella virale…, sull’ansia che ci può salvare la vita, ma ci può far soffrire..”? Io, lo ammetto, ci ho dedicato un pomeriggio di lettura con grande soddisfazione ed accrescimento culturale, e poi, anche se non è il Manifesto, sapete come conclude?
“È tempo di alzare la voce con una mobilitazione, perché arrivi all’orecchio dei politici nelle cui mani è riposta la nostra sicurezza sanitaria.  “
Bravo Spinsanti!! Vedo sardine dappertutto.

 Alessandro Messina

L’articolo citato si intitola: “«Lo stiamo Perdendo» Radiografia Del Ssn” di Sandro Spinsanti e lo potete trovare a pag. 27 dell’inserto Salute del Corriere della Sera di giovedì 21 novembre 2019. Purtroppo non ve lo posso linkare perché sul sito non è presente.

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da "il Manifesto” del 13.11.2019

È stato presentato alla Camera dei deputati, sottoscritto dai capigruppo di tutte le componenti della maggioranza, il testo della proposta di legge costituzionale di modifica degli articoli 57 e 83 della Costituzione. La richiesta di riduzione a 25 anni dell’elettorato passivo per il senato dovrebbe invece essere inserita come emendamento al disegno di legge costituzionale sulla riduzione a 18 anni dell’elettorato attivo per il senato, già approvato dalla camera e attualmente all’esame in prima commissione al senato. Entro dicembre, infine, è prevista la presentazione della nuova proposta in materia elettorale.
Con la modifica dell’articolo 57 si vuole sostituire il riferimento alla «base regionale» già prevista nella Costituzione per l’elezione dei senatori con una più generica «base circoscrizionale». In tal modo si lascia alla legge ordinaria la determinazione dell’ambito territoriale per l’elezione dei membri del senato. La ragione di questa scelta è data dall’esigenza di assicurare una rappresentatività plurale anche dopo la riduzione del numero dei senatori nei diversi territori del paese. In effetti, il vigente sistema elettorale, ove non venisse modificato, non garantirebbe una adeguata rappresentanza delle minoranze in diverse parti del territorio nazionale, nonché renderebbe gli attuali collegi uninominali del tutto disomogenei con grave lesione del principio di eguaglianza e rappresentatività nel voto. Ma non si doveva cambiare la legge elettorale?

È anomalo questo modo di procedere e – forse – indicativo di una cattiva coscienza. Si modifica la Costituzione per adeguarla ad una normativa ordinaria che si è deciso di trasformare. L’occhio è puntato sull’oggi, non confidando sul domani. Che senso avrà la riforma se poi si dovesse adottare un sistema proporzionale di lista, ovvero si dovessero ridurre le dimensioni

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photo of Nadia Urbinati

 I due giorni di lavori dell’assemblea del Partito Democratico a Bologna sono stati importanti, un ottimo inizio di un processo che, speriamo, sia ricostruttivo del partito e della sinistra, senza tentennamenti. E la distinzione che Nicola Zingaretti ha proposto tra il Pd e i suoi possibili o ipotetici alleati, è interessante: “Noi ribadiamo una scelta di sperimentare le alleanze. Quando dicono ‘non vogliamo un accordo storico’, mi fanno sorridere. Io dico solo che non si governa fra avversari politici. E quando dico ‘vocazione unitaria’ parlo ai leader, ma soprattutto alle persone che ci guardano. Governiamo per l’Italia e non per accrescere noi stessi dando picconate alla coalizione”.

Pd, lotta su due fronti

La riflessione di Zingaretti è un commento alla dura alleanza di governo – dura, soprattutto a causa delle quotidiane scermaglie renziane mosse da due obiettivi: continuare la campagna acquisti dei parlamentari di altri partiti (a tutto campo); sbaragliare elettoralmente il Pd per ottenere che solo il suo movimento e la Lega si contendano il campo. La lotta del Pd è quindi su due fronti alla sua destra: quello centrista e su quello di destra radicale. Renzi e Salvini. Questo per il futuro prossimo.

Emilia-RomagnaPer il futuro vicino, ovvero la campagna elettorale nella Regione Emilia-Romagna, la ricerca di “sperimentare alleanze” senza “accordi storici” potrebbe riguardare la sinistra del Pd. Visto che in Regione la lista Bonaccini ha già inglobato i renziani, quel che il Pd dovrebbe fare è aprire il cantiere della alleanze con la sinistra, per esempio la lista Coraggiosa attivata da Elly Schlein, che non è certamente un’avversaria del Pd e non ha altre ambizioni se non dare una possiblità di rappresentanza a quei cittadin*, che sono tanti, che non sentono o non sentono ancora di poter avere fiducia nel Pd – ricordiamo che Bonaccini è stato eletto cinque anni fa con una partecipazione al voto del 37%.

Una politica ragionevole senza manicheismo

Per il futuro vicino e meno vicino, è importante un’altra riflessione di Zingaretti: “Il Pd rifiuta il mito della forza, del machismo tracotante e volgare che la destra ha riproposto. E’ tipico che i dem ricorrano di più alla forza del pensiero femminista, per costruire una società di rispetto dell’altro. Ribaltiamo i miti della destra”. Si tratta di una suggestione di unità nazionale, una promessa di ragionevolezza e di politica come discorso, che espelle il manicheismo, il quale fa parte di una visione religiosa e dunque radicalmente opposizionale.

Certo, un partito che vuole essere un partito e non un movimento populista deve proporsi in questi termini di giudizio politico. Ma attenzione a non cadere nell’eccesso opposto, ovvero a rifiutare di essere “contro”.

Il buon governo, la politica “per” non basta

La campagna elettorale che già infiamma la Regione Emilia-Romagna è stata impostata dalla Lega di Salvini-Borgonzoni come una lotta religiosa tra amici e nemici. E questo è uno stile opposto alla politica democratica e al Pd. Tuttavia, al manicheismo non si può rispondere solo sfoderando il pragmatismo del buon governo regionale. La politica del “per” non basta a contrastare la politica del “contro”.
Occorre anche sapere usare il pedale della contrapposizione contro un avversario che non deve passare, che non deve vincere. Non deve passare perché eminentemente intollerante, e corrotto, perché vergognosamente fazioso e manipolatore dell’opinione dei cittadini, perché dispregiatore della solidarietà sulla quale si regge la cittadinanza democratica. Questi temi “contro” devono essere sfoderati con la stessa chiarezza e forza con la quale si elencano le belle conquiste del buon governo della regione emiliano-romagnola.

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Finisce di parlare Pierpaolo Bombardieri, segretario aggiunto della Uil, e il moderatore annuncia l’intervento del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. E’ uno dei momenti più attesi della seconda giornata (ieri) della tre giorni dei democratici intitolata “Gli anni 20 del 2000, tutta un’altra storia”,  che si conclude oggi, con l’intervento di Nicola Zingaretti, a Palazzo Re Enzo, nel cuore della Bologna medievale. Il leit motiv di tutti i discorsi che si susseguono sul palco della sala principale, piena come un uovo, è la rottura con il paradigma delle politiche fin qui condotte da un partito democratico che con fatica, autocriticamente, prova a ritrovare una sua identità dopo anni di sbornia neoliberale renziana. E da Catania, proprio mentre Landini si appresta ad iniziare il suo discorso, coraggioso e a tratti autocritico, arrivano le radiazioni di fondo della convention nazionale di Italia Viva, le parole della segretaria del nuovo “partito lavatrice” di Renzi, Teresa Bellanova: “Prendiamo a destra, a sinistra, al centro”. Prendiamo pure Mara Carfagna e Renata Polverini. Prendiamo tutto. Poco prima, Fabrizio Barca, dallo stesso palco da cui sta per prendere la parola Landini, applauditissimo, aveva lanciato un monito che sembra raccogliere il sentimento della platea bolognese: “Basta con la rotta neoliberista”. Mondi lontanissimi, Bologna e Catania, che si allontanano in espansione nello spazio-tempo della sinistra.

“Ringrazio Gianni (Cuperlo) e Nicola (Zingaretti) per l’opportunità che mi è data di intervenire oggi”, esordisce Landini. “Un’opportunità che voglio usare parlando con franchezza”. E in effetti, nei suoi 27 minuti di discorso, continuamente interrotti dagli applausi (ben 26), il segretario della Cgil, richiamerà più volte, criticamente e autocriticamente, le responsabilità della sinistra, nelle sue varie declinazioni storiche e organizzative, in quello che definisce “il disastro della precarietà del lavoro”. Un intervento, agli occhi dei più attenti osservatori, coraggioso, che non risparmia nessuno, nemmeno il sindacato.

IL BIENNIO ROSSO

“Sarò molto franco”,  dice Landini. “Prima si diceva di individuare una parola per il futuro. Ebbene, potrà apparire banale che lo dica io, ovvio, ma mai come adesso penso che la parola sia lavoro. Come stanno oggi le persone che hanno bisogno di lavorare per vivere? E soprattutto qual è il contributo che si può dare per ricostruire una rappresentanza politica del lavoro? Siamo vicini al 2020.  Nel secolo scorso  questo stesso periodo è stato molto importante  dal punto politico. Fu chiamato il Biennio Rosso, una fase molto importante di grandi lotte per l’emancipazione e per i diritti”.

IL LAVORO E LA COSTITUZIONE

“Il tema – continua Landini – non è semplicemente quello di avere un’attività che mi permetta di vivere perché oggi non permette neanche quello ma il tema è che se una persona non è libera nel lavoro, se non è in grado di potersi realizzare attraverso il lavoro, non può fare alcun progetto di vita, non può entrare in relazione positiva con gli altri. E non è un caso che la nostra Costituzione dica al primo punto che la Repubblica è fondata sul lavoro. E la Costituzione non è né comunista né socialista né democristiana. Semplicemente mette al centro il valore del lavoro, andando oltre la singola appartenenza politica”.

AUMENTA LO SFRUTTAMENTO

“Io credo – prosegue Landini – che si debba ripartire da quello che sta avvenendo oggi e cioè dal peggioramento secco delle condizioni di lavoro e soprattutto della libertà delle persone nel lavoro, anche nei settori apparentemente più evoluti. Prendete l’algoritmo: in realtà sta determinando in molti casi un aumento dello sfruttamento nel lavoro. Si pensi al controllo sul lavoro delle persone. Proviamo a riflettere su quello che succede ad Amazon, ma non solo. Ma in qualsiasi luogo di lavoro si vada, che sia un ospedale o un centro commerciale, un’azienda o un ente pubblico, si vedrà come persone che fanno lo stesso lavoro non hanno più gli stessi diritti e non hanno più le stesse tutele. E tu sei di fronte al fatto che in molti casi questo determina non la solidarietà ma la competizione tra le persone. Io una situazione così difficile tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare, come adesso, non l’ho mai vista: quando fai un’assemblea, quando discuti in tanti luoghi di lavoro vedi che le persone anziché prendersela con chi le sfrutta,  hanno paura di quello al loro fianco”.

I NUOVI MURI

“Ma non solo in Italia”, specifica Landini: “Negli ultimi vent’anni in Europa, in Francia, in Germania, in Spagna, noi siamo di fronte a una messa in discussione dei diritti senza precedenti, della centralità della finanza sull’economia. Abbiamo tutti pensato che con la caduta dei muri si sarebbe estesa la democrazia, ma la realtà è che l’unica cosa che oggi può liberamente circolare nel mondo senza vincoli sono i soldi mentre le persone non possono neanche più girare. Diciamo che è caduto il muro ma tanti altri ne sono stati costruiti”.

LA SINISTRA HA ESAURITO LA SUA SPINTA PROPULSIVA

Ma è alla sinistra che Landini riserva il passaggio più forte, quasi volesse dare una scossa: “E allora penso che le parole debbano tornare al loro vero significato. La dico grossa. Io penso che la sinistra nelle varie forme e culture politiche in cui si è espressa in Italia e in Europa, socialista, comunista socialdemocratica, ma anche la cultura cristiano sociale abbia esaurito la sua spinta propulsiva verso il cambiamento. E se vogliamo essere onesti con noi stessi occorre ammettere che queste culture, tutte, con gradi diversi, sono corresponsabili anche del disastro sociale che si è determinato nel mondo del lavoro. Per tanti di noi, anche per me, per la mia storia, per la mia esperienza, la parola sinistra, era la parola che tu potevi associare alla speranza di cambiamento. Ma se oggi prendiamo un giovane precario che era precario quando c’era il governo di centro-destra, poi era precario con il governo di centro-sinistra, poi è rimasto precario con il governo giallo-verde ed è ancora precario con il governo giallorosso, quale diversità dovrebbe vedere tra destra e sinistra se la politica cambia e lui rimane sempre precario. Come può pensare che la sinistra sia lo strumento per cambiare la propria condizione”. Applausi.

 IL CORAGGIO DELL’AUTOCRITICA

Ma Landini continua con un passaggio che, rompendo gli schemi della retorica autoreferenziale, riguarda anche il sindacato: “Guardate che questo ragionamento – aggiunge Landini – non lo faccio come quello che vuole insegnare nulla agli altri, mi rendo conto che in parte è un tema che riguarda anche il sindacato: vorrei essere chiaro, non sono qui a spiegare che noi abbiamo capito tutto e qualcun altro non ha capito niente. Perché anche noi, anche il sindacato abbiamo capito in ritardo i disastri che avrebbe determinato la precarietà nel lavoro. Non a caso mi permetto di dire che una delle cose più importanti che la Cgil ha fatto in questi anni, e non l’ho fatta io che ancora non ero segretario (il riferimento è alla carta universale dei diritti e alla raccolta di firme – oltre tre milioni – contro il Jobs Act promosse durante la segreteria di Susanna Camusso ndr), è stato porre il tema che i diritti non possono essere legati al tipo di rapporto di lavoro che hai ma devono essere in capo alla persona a prescindere dal rapporto di lavoro”.

LA RIUNIFICAZIONE DELLE PERSONE

“E allora penso che il problema non è semplicemente riunificare la sinistra o riunire la sinistra, penso che c’è una cosa ancora più importante che è quella di riunificare socialmente le persone che lavorano e che non sono mai state tanto divise e contrapposte. E noi, come sindacato, abbiamo bisogno di lanciare con forza un’idea di ricostruzione di un’unità che non è una semplice somma, perché il processo di unità sindacale non lo fanno dei dirigenti illuminati se non c’è un processo che mette nelle condizioni le singole persone che lavorano di poter partecipare  e di poter essere persone che decidono del loro futuro e del loro destino. E, consentitemi, questa domanda di partecipazione non la risolvi solo chiedendo alle persone di arrivare con la bandiera in tasca: le persone devono avere la possibilità di usare la testa, senza chiedere con chi stai, ma tu cosa pensi e che cosa vuoi fare per risolvere quel problema lì. La discussione tra di noi, anche al nostro interno, non deve essere una discussione di posizionamento, ma di quello che concretamente tu realizzi. Di questo abbiamo bisogno  e a me sembra che questo sia il vero modo per ricostruire anche quella capacità di mobilitazione che può apparire persa. Sapendo che i valori fondamentali su cui noi siamo nati, e cioè l’antifascismo e l’antirazzismo, hanno la maggioranza del consenso in questo paese”.

Fortebraccio News

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